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Firenze verso il Forum euromediterraneo dell’acqua. Dalla grande alluvione del 1966 alla messa in sicurezza dell’Arno, un caso scuola per affrontare i crescenti rischi della crisi climatica

 |  Editoriale

L’alluvione del 1966 rappresenta per Firenze non solo un evento di memoria collettiva, ma anche un punto di svolta nel riconoscimento, troppe volte dimenticato, della vulnerabilità idraulica della città. L’Arno, per la sua conformazione idrografica e per la disposizione morfologica del bacino, presenta storicamente livelli significativi di pericolosità.

Le analisi più recenti sui livelli di pericolosità idraulica mostrano come una parte consistente della popolazione metropolitana viva in aree a rischio medio o alto di alluvione. I dati comunali, solo per esemplificare il problema con i casi più significativi, indicano che il 51% della popolazione di Firenze, il 65% di Scandicci, il 55% di Campi Bisenzio e il 53% di Signa ricadono in zone soggette a potenziale esondazione.

Il cambiamento climatico costituisce un fattore di aggravamento ulteriore. Da un lato, gli scenari climatici regionali prevedono un aumento dell’intensità e della variabilità delle precipitazioni su scala di bacino, con picchi giornalieri che si accentrano in poche ore e in aree ristrette; dall’altro, si registra una crescita degli eventi di “flash flood” in ambito urbano, dovuti a piogge intense e improvvise che superano la capacità di drenaggio delle reti fognarie non adeguatamente supportate da sistemi di drenaggio e stoccaggio temporaneo delle acque piovane.

Questi fenomeni si ritrovano, pur nella diversità strutturale ed evolutiva dei singoli territori, a livello di sistema euromediterraneo. Il Mediterraneo allargato, comprendente l’Europa meridionale, i Balcani, il Nord Africa, i Paesi Arabi e il Medio Oriente mediterraneo, è sempre più soggetto a fenomeni meteorologici estremi che influenzano il rischio di alluvioni. Attualmente, la regione sperimenta una crescente instabilità atmosferica dovuta a basse pressioni che generano temporali intensi e piogge concentrate, con particolare impatto nelle aree montuose, vallive e urbane vulnerabili, dove il pericolo delle esondazioni fluviali si accompagna al rischio di intensi allagamenti pluviali.  La combinazione di aria fredda in quota e mare ancora caldo favorisce la formazione di sistemi convettivi intensi, mentre fenomeni ibridi come i cicloni mediterranei di tipo tropicale, detti “medicane”, possono produrre piogge abbondanti e venti forti in brevi periodi di tempo. È per questo motivo che anche Paesi più conosciuti come aree interessate alla “mancanza di acqua”, come il Marocco, la Libia, a Tunisia e altri ancora dell’area nordafricana e medio orientale hanno sperimentato nell’ultimo decennio alluvioni e allagamenti urbani di notevole intensità.

A Firenze, il 4 novembre 2025, 59° anniversario della grande alluvione, si terrà, nel Salone dei 500 di Palazzo Vecchio, a cura del Comitato “One Water” la Conferenza internazionale sulla riduzione dei rischi da alluvioni e siccità, in preparazione dell’Euromediterranean Water Forum del 2026 a Roma.

In quella sede le politiche per la messa in sicurezza dell’Arno, sviluppate dalle Istituzioni pubbliche dopo l’evento del 1966 in particolare nell’ultimo decennio grazie anche all’impulso di Italiasicura, la struttura di Missione dei Governi Renzi e Gentiloni che ha operato dal 2014 al 2018, saranno presentate all’opinione pubblica metropolitana e regionale e agli esperti nazionali e dei paesi esteri partecipanti.

Mentre nell’Arno pisano le opere strategiche di messa in sicurezza idraulica erano stare avviate in tempi più adeguati, si pensi allo scolmatore di Pontedera capace di deviare fino a 30 milioni di mc di acqua e alla Cassa di Espansione di Roffia con una capacità di 9 milioni di mc, nell’Arno fiorentino fino a un decennio fa non si era andati oltre all’innalzamento delle spallette nel centro storico e un abbassamento dell’alveo nel tratto centrale della città.

Con il Piano straordinario per le aree metropolitane di Italiasicura del 2016, che interessa particolarmente le aree urbane di Genova, Milano e Firenze, il programma strategico di mitigazione del rischio di Firenze e della sua area metropolitana comincia a delinearsi e, negli anni a venire, a prendere forma. Il primo grande intervento è quello della laminazione a monte delle piene nell’area intorno a Figline. Un sistema di quattro casse di espansione con Pizziconi (già completata), Restone (lavori in corso), Prulli (in avvio) e Leccio (in progettazione) che svilupperanno una capacità di oltre 25 milioni di mc. Questo sistema verrà ulteriormente rafforzato dal rialzo della Diga di Levane (in avvio) per circa 10 milioni di mc e dal sistema di casse di espansione sulla Sieve attualmente avviato con la progettazione nell’area di Rufina per una capacità totale di 3,7 milioni di mc.

Il secondo intervento riguarda l’utilizzo della Diga di Bilancino, non più solo come riserva di acqua “potabile” e come strumento di produzione di energia idroelettrica, ma anche come strumento di laminazione delle piene attraverso il Protocollo firmato dalla Regione Toscana, l’area metropolitana e Publiacqua che è il gestore operativo della diga. Con questo accordo si mette a disposizione della sicurezza dell’Arno un volume fra i 15 e i 20 milioni di mc.

Il complesso degli interventi conclusi, avviati e in progettazione prevede una capacità complessiva di stoccaggio di acqua a fini di laminazione delle piene vicina ai 60 milioni di mc. Si tratta di un volume di acqua che non va considerato in maniera statica: questi strumenti non sono dei “serbatoi inerti e passivi”, ma sono “capacità dinamiche” che devono essere gestite da team di esperti supportati da modelli di previsione e da informazioni metereologiche e idrauliche in tempo reale così da rendere più efficiente e più utile il loro utilizzo.

Fra gli interventi a valle di Firenze, a vantaggio di una crescente sicurezza nella valle dell’Arno, vanno poi ricordate le opere per la conclusione della Cassa dei Renai a Signa, con una capacità intorno ai 10 milioni di mc, e la cassa di Fibbiana nell’area empolese con una capacità di 4 milioni di mc che speriamo possa concludere a breve i tempi burocratici e politici per l’apertura del cantiere.

Ma la messa in sicurezza dell’area metropolitana di Firenze, come del resto delle aree urbane toccate dall’Arno e dai suoi affluenti, non si concludono con la messa a terra degli interventi strutturali. Occorre affiancare questo processo con altre due importanti strategie di prevenzione. La prima riguarda due importanti elementi di azione non strutturale che attengono all’allertamento, sia previsivo del giorno prima sia quello in tempo reale (nowcasting), e alla formazione e informazione sul rischio della popolazione. L’attuale sistema di allertamento deve essere completato e supportato da tecnologie innovative. E deve puntare sempre di più a passare dalla previsione del giorno prima all’allertamento in nowcasting. Il sistema di formazione e informazione sul rischio, sostenuto attualmente dal Piano Comunale di Protezione Civile, mette in evidenza una debolezza intrinseca che deve essere superata. La popolazione difficilmente si avvicina ad un documento “complesso” con informazioni e conoscenze di difficile comprensione. Occorre, anche in questo caso, utilizzare la tecnologia per avvicinare le conoscenze tecniche al linguaggio dei cittadini. Il modello dei “chatbot” sembra il più adatto a svolgere questa utile funzione.

La seconda strategia riguarda invece la difesa dei sistemi urbani dagli allagamenti pluviali. Stabilito infatti che le alluvioni fluviali richiedono opere strutturali a monte delle città, rimane la problematica delle precipitazioni violente e concentrate a livello territoriale e temporale che producono danni ingenti alle strutture e alle infrastrutture cittadine. In questo caso occorre rivedere il “sistema città”, attraverso una pianificazione urbanistica e idrologica integrata, in grado di trasformare l’ambiente urbano in città spugna. Cioè, una città che, a fronte di piogge intense, riesce a trattenere acqua per tempi lunghi, a stoccare volumi di acqua che possono poi diventare riserva di risorsa nei periodi secchi, a drenare i flussi di pioggia senza interferire con le acque reflue ed infine a depurare in maniera naturale e artificiale le acque di prima pioggia che generalmente presentano livelli di sostanze nocive ad alto dosaggio. Un progetto per interventi che si richiamano alla città spugna nell’area vasta Firenze-Prato-Pistoia è attualmente in discussione a cura della Multiutility Plures – con regia dell’ingegneria di Publiacqua – con risorse che possono essere tratte dalle tariffe, da fondi europei, nazionali e regionali e da finanziamenti di tipo privato per interventi su aree private.

Il messaggio che può venire dalla Conferenza, da presentare e condividere con gli esperti nazionali ed esteri, è che, se è vero che il cambiamento climatico tende a far aumentare il rischio per i territori e le popolazioni del sistema mediterraneo è altrettanto vero che questo rischio può, anzi deve, essere mitigato attraverso opere, tecnologie e azioni che sono alla portata delle istituzioni. Un Piano di adattamento contro il rischio legato al ciclo dell’acqua non è più procrastinabile. E deve diventare una priorità nelle agende dei paesi che si affacciano al Mediterraneo visto che, come recitano le previsioni sul cambiamento climatico, è proprio su questa area del Mondo che si realizzeranno i cambiamenti più critici per le popolazioni.

La partecipazione alla conferenza del 4 novembre è gratuita, previa registrazione qui: https://www.onewater.it/conferenza-4-novembre-2025

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Mauro Grassi

Mauro Grassi, economista, ha lavorato come ricercatore capo nell’Istituto di ricerca per la programmazione economica della Toscana (Irpet), ha lavorato a Roma come dirigente caposegreteria del Sottosegretario ai Trasporti Erasmo D’Angelis (Ministero delle Infrastrutture) e quindi come direttore di Italiasicura (Presidenza del Consiglio) con i Governi Renzi e Gentiloni. Attualmente è consulente e direttore della Fondazione earth and water agenda.