Il Circular economy act europeo si avvicina: ecco cosa manca ancora alla quadratura del cerchio
Il 6 novembre scadono i termini per presentare le osservazioni e proposte al documento preliminare della Commissione europea in vista del Circular economy act (Cea), la cui approvazione finale è prevista per la seconda metà del 2026: un atto di grandissima importanza nel quadro delle politiche europee per l’economia circolare e il Green deal.
Tutte le associazioni di categoria del settore rifiuti e riciclo si sono mosse per contribuire nel corso del dibattito pubblico con le proprie proposte per arrivare ad un atto legislativo efficace e concreto, da cui le imprese del riciclo si attendono molto.
Il Cea è previsto dal Clean industrial deal, varato dalla nuova Commissione Ue, e introduce nel contesto regolatorio un nuovo obiettivo, oltre quelli già esistenti di riciclo dei rifiuti urbani, degli imballaggi e di altri flussi minori (Raee, Elv, pneumatici fuori uso): il raddoppio dell’attuale indice di circolarità della materia medio europeo, che deve passare dall’11,8% del 2023 al 24% al 2030. Una bella sfida, raggiungibile soltanto con una profonda revisione dei meccanismi del mercato europeo del riciclo.
In questo contesto, il Circular economy network (Cen) ha avanzato le sue proposte in un position paper consegnato alla Commissione. Due le principali.
La prima riguarda la rapida attuazione delle misure normative già definite dalle Istituzioni europee: il regolamento sull’ecodesign, la nuova direttiva quadro sui rifiuti, la direttiva sul diritto alla riparazione, il Critical material act. Misure che, dopo anni di centralità delle policy sul riciclo, puntano a rendere più efficiente l’uso dei materiali riducendo quindi il “denominatore” della formula di calcolo dell’indice di circolarità (quantità di materia riciclata diviso quantità totale di materia usata prima e seconda).

La seconda riguarda misure di ottimizzazione del mercato del riciclo e dei prodotti riciclati: investimenti in impianti di riciclo moderni ed efficienti, creazione di un mercato unico europeo dei rifiuti, delle materie prime secondarie, dei sottoprodotti e degli end of waste, agevolazioni fiscali per i prodotti riciclati, aiuti alle imprese e incentivi da escludere dal regime degli aiuti di Stato, quote minime di contenuto riciclato nei prodotti. Azioni che invece puntano a aumentare il “numeratore” di quella formula.
Vediamo dunque ad oggi come stanno le cose. L’Europa “consuma” (dati 2023) 7,9 miliardi di tonnellate di materiali, ne importa 1,5, ne estrae dal proprio territorio 5,3 e usa 1 miliardo di tonnellate di materia riciclata (quindi l’11,8% del totale, al netto dell’export). Come sono andati questi numeri nel tempo?
Dieci anni fa, nel 2014, l’Europa consumava 7,7 miliardi di tonnellate di materiali, ne importava 1,5 e ne estraeva dal proprio territorio 5,2, con un riciclo che arrivava a 900 milioni di tonnellate. Nel 2019 invece i consumi erano superiori a 8,2 miliardi di tonnellate, con un import a 1,7 ed un’estrazione dal territorio continentale di 5,5, e un riciclo pari a 980 milioni di tonnellate.
Insomma, il trend di consumo di materia oscilla introno agli 8 miliardi di tonnellate annue, il riciclo stenta a superare il miliardo, l’export sta introno al miliardo e mezzo. Purtroppo i margini di manovra per raddoppiare l’indice di circolarità in 7 anni non sono alti. Se arrivassimo a 7,5 miliardi di consumo di materia totale e a 1,5 miliardi di riciclo arriveremmo al 20%. Per arrivare al 24% dovremmo, con consumi a 7,5 miliardi, avere un riciclo di 1,8 miliardi di tonnellate. Il totale dei rifiuti (urbani e speciali) che l’Europa produce oggi è intorno a 2,3 miliardi di tonnellate.
Come afferma il Cen, occorre una chiara accelerazione delle politiche, altrimenti il margine stretto sopra descritto non lo utilizziamo. Servono scelte industriali ed economiche per sostenere l’obiettivo ambientale (uso efficiente delle risorse, decarbonizzazione).
Sul lato riduzione dei materiali, oltre a quanto indicato da Cen occorre ricordare che nel calcolo dell’indice di circolarità pesa anche il flusso di combustibili fossili (nel 2023 pari a 1,3 miliardi di tonnellate di cui 1 importato). Basterebbe abbassare questo valore, nella logica della decarbonizzazione, per migliorare molto anche l’indice di circolarità, oltre che il tasso delle emissioni di gas serra.
Sul lato dell’aumento del riciclo, occorrono cose semplici e di buon senso ma che non sarà facile far digerire agli Stati membri. Omogeneizzare il mercato europeo significa una cosa semplice: un end of waste italiano (o caso per caso) vale automaticamente in tutta Europa. Sui sottoprodotti c’è una policy comune ed omogenea. Le norme doganali devono essere le stesse. Una parte della circolazione dei rifiuti potrebbe essere sottratta alla normativa sulle spedizioni transfrontaliere. Ci vuole l’accordo fra gli Stati, non semplice.
Anche la definizione di norme fiscali europee comuni sarebbe saggia ed intuitiva, ma significa mettere mano ad aliquote Iva per i prodotti riciclati definite a scala continentale.
Superare i vincoli degli aiuti di Stato per sostenere gli investimenti o attivare i certificati del riciclo è facile a dirsi, ma difficile a farsi.
Insomma serve una spinta forte, con una politica industriale a scala europea, che oltretutto riduca le importazioni, specie quelle di materiali riciclati da Paesi che praticano apertamente la concorrenza sleale.