Skip to main content

Se l’Italia facesse l’Italia. La Cop30 di Belém indica la Penisola nella hit parade delle aree più colpite e meno difese da eventi meteo estremi. Eppure abbiamo uno dei migliori Piani di adattamento: è tempo di realizzarlo

 |  Editoriale

Tornado, tifoni, ondate di calore, siccità, alluvioni, frane, scioglimento dei ghiacciai, incendi boschivi incontrollabili. Il clima devasta e uccide, e se la crisi climatica non risparmia nessun Paese: noi siamo al sedicesimo posto nella speciale classifica dei 195 Stati del mondo più bersagliati nell'ultimo trentennio 1995-2024 con le più terrificanti prospettive future. Ufficialmente sono 832.000 le persone che hanno perso la vita in tutto il mondo a causa di 9.700 eventi meteo estremi, che hanno causato danni economici per la stratosferica cifra di 4.500 miliardi di dollari. Le alluvioni sono l'evento più letale col 48% di vittime, seguite dalle ondate di calore e siccità con il 33% di morti e da uragani, cicloni e tifoni con il 33%. Questi ultimi hanno provocato le perdite economiche maggiori per il 58%, pari a 2.640 miliardi di dollari. L’elenco è nell’ultimo Climate Risk Index, il rapporto sul grado d’impatto del cambiamento climatico nei singoli Paesi presentato alla Cop30 in corso nell’amazzonica Belém dall’ong Germanwatch.

Siamo messi davvero molto male, restiamo alle spalle o davanti ai Paesi più poveri del globo, finiti nell’elenco dei meno difesi di fronte a impatti mai visti con questa frequenza e intensità, ma con la sostanziale differenza di esser a pieno titolo tra i Paesi più sviluppati e più attrezzati per reagire tutelando persone, beni pubblici e privati, luoghi.

Questa nostra contraddizione è plateale, indica una rimozione inconcepibile dei rischi e un disimpegno generalizzato da opere e interventi nonostante le nostre potenzialità, tecniche e tecnologiche, ma applicate con successo soprattutto in altri Paesi.

Nel bacino del Mediterraneo siamo in compagnia di Grecia, Spagna, Portogallo, Francia e Marocco, territori sottoposti anch’essi a ondate di calore persistenti sempre più calde tra 1,7 e 3,5 °C in più rispetto all'epoca preindustriale. E le nostre gravi siccità hanno tempi di ritorno raddoppiati dal 2000, con perdite produttive e finanziarie. Nel mondo siamo in quel 40% di abitanti del Pianeta – oltre tre miliardi di persone – che vivono in 11 Stati che negli ultimi 30 anni hanno subito gli impatti più distruttivi. Figuriamo tra la piccola isola caraibica di Dominica, collassata più volte per uragani, e il minuscolo Myanmar colpito da cicloni, e i giganti India e Cina.

climate risk paesi più colpiti

Ma il nostro paradosso è di avere tutte le condizioni e le possibilità, se solo lo volessimo, per prevenire, rafforzare e adattarsi agli effetti del riscaldamento globale. Potremmo ridurre le nostre fragilità di fronte a rischi anche letali. Sapere che siamo e saremo tra i più duramente colpiti da eventi che continuiamo a considerare estremi, quando sono ormai sempre più ordinari, dovrebbe spingerci a assumere la leadership nella battaglia climatica, a diventare un Paese-argine al negazionismo climatico, quell’area del mondo che affronta la questione climatica per quella che è, ovvero il più grande pericolo di oggi e all’orizzonte, con la più grande capacità di reazione nell’adattamento. Tutto imporrebbe una tregua politica per creare le condizioni per affrontare la battaglia della vita!

Invece da questo trentesimo vertice delle Nazioni Unite sul clima in Amazzonia, a meno di miracoli, difficilmente arriverà quel segnale di reazione che servirebbe. Viviamo in un mondo che pensa al riarmo e a gestire conflitti armati, tra guerre di dazi ed economiche. Ma se c’è una guerra che soprattutto per l’Italia vale la pena di combattere, questa guerra è quella per difendersi dai cambiamenti climatici. La nostra Penisola è un luogo del mondo altamente simbolico per mille motivi. Accettare la sfida di ridurre le emissioni di gas serra, mostrare al mondo politiche climatiche allineate all’Accordo sul clima siglato a Parigi dieci anni fa e all’impegno europeo a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 con obiettivi intermedi rispettati, chissà, potrebbe persino spingere altri Paesi al contenimento del riscaldamento globale. È un sogno ma, come si dice, anche i sogni oggi possono aiutare ad affrontare la realtà.

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.