Belém triste replay della COP29 di Baku in Azerbaigian. Nuovo flop alla COP30 sul clima boicottata da Trump ma alimentata a tutto diesel. Impasse sulla “transizione energetica”
Il flop era nell’aria fin dall’apertura della trentesima Conferenza delle Parti con 196 Stati e l’aperto boicottaggio degli Usa che Trump per la seconda volta ha lasciato fuori dalla porta. Un flop beffardamente annunciato anche dalla eco mediatica dell’incendio divampato tra gli stand e innescato - reggetevi forte! - da un generatore diesel! Se anche i simboli e le scelte mai come oggi contano e hanno un senso poiché indicano una direzione di marcia, il diesel brasileiro tra i killer dell’atmosfera è diventato un protagonista imbarazzante della prima e storica COP nel cuore dell’Amazzonia. Lo hanno utilizzato per alimentare i 160 generatori che hanno fatto funzionare i circuiti dell’aria condizionata e tutta l’elettricità in un’area grande quanto 16 campi di calcio. La spola dei camion cisterna riempiti di diesel resterà impressa come un tristissimo paradosso, con i mezzi che hanno sostituito l’alimentazione a bio-diesel, idroelettrico e solare promessa e annunciata. Ma la scelta fossile fa il paio con i permessi concessi dal governo brasiliano alla compagnia energetica Petrobras per trivellare petrolio alla foce del Rio delle Amazzoni. E fa tripletta con il primo dispositivo finale della Conferenza Onu, imposto e presentato dalla presidenza del Brasile, nel quale era scomparso qualsiasi accenno alle roadmaps per la riduzione dei combustibili fossili, giustamente bocciata da molti delegati, con 36 Stati che minacciavano il veto sul documento da approvare all’unanimità.
La svolta energetica green può attendere anche su temi chiave come le “3 F” - foreste, fossili e finanza. L’impasse sul Fondo foreste, il Tropical Forest Forever Facility, che avrebbe dovuto essere riempito con capitale pubblico iniziale di 25 miliardi di dollari e con contributi privati fino a 125 miliardi per garantire le foreste tropicali che potrebbero contenere un riscaldamento globale di oltre 1°, sequestrando grandi quantità di carbonio e ridurre le deforestazioni. Sulla finanza climatica, se la Corte Internazionale di Giustizia ha chiarito l’obbligo legale dei Paesi sviluppati di sostenere finanziariamente l’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo, dei 1.300 miliardi di dollari all’anno pubblico-privati che servirebbero i Paesi sviluppati sono fermi ai 300 promessi nella COP 29, con zero fondi per l’adattamento per i Paesi poveri. Sui combustibili fossili, l’inizio della sempre promessa transizione energetica con riduzioni di quote di petrolio, gas e carbone indicate dalla COP 28 di Dubai resta un sogno nel cassetto.
Lo scontro sulle conclusioni ha visto il muro alzato dai Paesi produttori dall’Arabia Saudita alla Russia per cancellare le due parole “combustibili fossili” dal testo finale, fatta circolare dalla presidenza brasiliana, volute anche da 14 Paesi europei con in testa Francia e Germania, da Gran Bretagna e dagli Stati del Sud del mondo, con la moral suasion della Cina. Impegnavano a una generica «tabella di marcia per l’attuazione di una transizione giusta, ordinata ed equa dai combustibili fossili», nel percorso della Mutirão, parola-chiave in lingua Tupi-Guarani che indica lo sforzo collettivo verso obiettivi comuni. Il commissario al Clima dell’Ue, Wopke Hoekstra spiega: «Non siamo minimamente vicini all’ambizione di cui abbiamo bisogno».
Ma la verità è che il lavoro diplomatico è stato penalizzato dal secondo forfait statunitense che ha rafforzato anche quel clima di disinteresse globale che sta abbattendo ogni ambizione definita nell’accordo storico di dieci anni fa siglato a Parigi, ma non attuato. Donald Trump, che ha definito il riscaldamento globale «una truffa» nell’impasse assapora la sua rivincita. E del resto l’agenda politica internazionale oggi ha altre priorità - guerre in corso, dazi americani, riarmo anche atomico - e non solo dagli Usa per la prima volta non è arrivato neppure un osservatore ufficiale, ma molte sedie sono rimaste vuote per l’assenza di capi di Stato e di governi. E batterie di negazionisti sullo sfondo provano a demolire le certezze scientifiche sui rischi e i disastri da fenomeni meteoclimatici sempre più inediti per frequenza e intensità distruttiva, con elevata mortalità e prevedibili collassi finanziari.
Un sentiment di rassegnazione al peggio emerge anche per il disimpegno generale a ridurre le emissioni serra con nuove energie, nonostante un 2026 che seguirà a ruota gli anni più caldi di sempre con la crescita della temperatura media globale rispetto all’era preindustriale.
Eppure l’industria fa ricerca, innova, e mai come oggi si può investire nella difesa dell’ambiente e del clima e le rinnovabili cresceranno più velocemente di qualsiasi altra fonte energetica. Servirebbe il rilancio europeo del nuovo Green Deal, comunicando molto meglio le convenienze economiche e di crescita della progressiva decarbonizzazione. Nessuno nasconde la complessità dei problemi legati alla transizione energetica, ma mai come oggi ogni investimento per abbassare la febbre alta del Pianeta diventa un moltiplicatore di crescita.
A Belém rimbombano ancora le più dure parole di accusa mai rivolte ai leader mondiali in un vertice Onu sul clima. Sono quelle di António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite: «Il fallimento nel limitare il riscaldamento globale a 1,5°C non è solo un errore politico, è un fallimento morale e una negligenza mortale».