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Aree Idonee Rinnovabili: criticità aperte e correttivi urgenti

 |  Editoriale

Per rispondere alle urgenti necessità del Paese, è compito del Governo individuare soluzioni, delineare strategie, fissare obiettivi con tempistiche certe e definire in anticipo un quadro normativo che renda possibile raggiungerli rispettando le scadenze stabilite.

In materia di energia, in Italia le priorità sono evidenti: ridurre i costi e garantire stabilità a lungo termine. La soluzione è nota e condivisa ormai da anni: accelerare la crescita delle fonti energetiche rinnovabili. Gli obiettivi sono chiari: il DL Transizione 5.0 e Aree Idonee punta a installare oltre 80 GW di nuova potenza rinnovabile entro il 2030.

Il problema nasce però se si guarda al quadro normativo che dovrebbe consentirci di raggiungere questi obiettivi e di farlo entro il 2030.

L’individuazione delle aree idonee, indispensabile per accelerare gli iter autorizzativi, attende da 4 anni una definitiva regolamentazione.

A giugno 2022 il Governo avrebbe dovuto emanare il decreto con i criteri per consentire alle Regioni di individuare le aree idonee.

A giugno 2024, con due anni di ritardo, arriva il DM Aree Idonee che viene prima sospeso dal Consiglio di Stato (ordinanza n. 4298 del 14 novembre 2024) e poi annullato dal TAR Lazio (sentenza n. 9155/2025) a causa di gravi lacune, tra cui l’assenza di misure di salvaguardia per i procedimenti autorizzativi già in corso.

A fine novembre 2025, il Consiglio dei Ministri vara con grande urgenza il DL Transizione 5.0 e Aree Idonee per rispettare la scadenza del PNRR, di cui le aree idonee sono una milestone obbligatoria.

Non si comprende come, dopo un lungo e travagliato percorso di 4 anni, si possa arrivare a pubblicare frettolosamente la nuova disciplina sulle aree idonee, introducendo peraltro disposizioni che mettono a rischio il raggiungimento degli obiettivi del PNRR oltre che quelli contenuti nello stesso decreto-legge.

Le nuove norme adottate dal Governo introducono disposizioni gravemente restrittive e delineano un quadro addirittura peggiorativo rispetto a quello introdotto dal precedente DM Aree Idonee.

Infatti, con il nuovo DL Transizione 5.0 e Aree Idonee la quasi totalità del territorio nazionale non sarà idonea alle rinnovabili e, per effetto della loro applicazione retroattiva – non essendo stato previsto alcuna norma transitoria – si bloccheranno non solo i progetti futuri, ma anche tutti i progetti che sono già in iter autorizzativo.

Questo è lo stesso vizio di legittimità che il TAR ha censurato nel precedente DM del 2024: l’assenza di una disciplina transitoria di salvaguardia dei procedimenti autorizzativi degli impianti rinnovabili in corso di svolgimento. Questo elemento è stato ritenuto decisivo dal Collegio, poiché realizzando di fatto una applicazione retroattiva delle nuove norme avrebbe generato incertezza e compromesso la continuità degli investimenti già avviati.

Le nuove disposizioni sulle aree idonee sono state introdotte con decreto-legge, quindi con norma primaria. Il Governo ha così innalzato il livello della normativa per evitare ricorsi al Tar, come peraltro spiegano dallo stesso MASE. Stando a recenti notizie stampa, sembrerebbe che la posizione del Dipartimento Energia del MASE sarebbe stata di riscrivere un decreto che seguisse le indicazioni del Tar, ma il Ministero ha dovuto fare i conti con le “sensibilità diverse” degli altri Ministeri e “quando si è capito che riscrivere il decreto avrebbe aperto una fase di contenzioso lunghissimo, si è preferito proseguire con un decreto-legge”.

È vero, con un decreto-legge il Governo scansa il rischio di ricorsi al Tar ma non i rischi di incostituzionalità delle norme e di possibili procedure di infrazione dato che le nuove norme sono in contrasto con la direttiva europea RED II. Inoltre, rischiano anche di compromettere anche la recente misura dell’Energy Release e la realizzazione dei progetti che hanno già partecipato alle aste competitive del FER X Transitorio.

Per non incorrere in questi gravi rischi e per poter installare gli impianti necessari a ridurre i costi dell’energia per le famiglie e le imprese, è necessario che, in sede di conversione del decreto-legge, sia resa esplicita una norma di salvaguardia dei progetti già in sviluppo, garantendo coerenza con precedenti interventi legislativi.

Infatti, entrambe le principali norme che hanno disciplinato il settore negli ultimi 18 mesi, il Testo Unico Rinnovabili (TUFER 190/2024) e il DL Agricoltura, ponendosi il tema della retroattività hanno previsto una esplicita disposizione che ne escludesse l’applicazione ai progetti già in iter autorizzativo.

Inoltre, la nuova disciplina sulle aree idonee introdotta dal DL Transizione 5.0 e Aree idonee si pone in evidente contrasto con lo spirito originario dell’articolo 20, comma 8, del D.Lgs. 199/2021 che aveva dato correttamente attuazione alla Direttiva RED II.

Sarebbe quindi auspicabile ripristinare la disciplina previgente contenuta nel D.Lgs. 199/2021, assicurando così certezza e affidamento agli operatori che in questi anni hanno lavorato sulla base di questa disciplina.

Tornando agli obiettivi, emerge una contraddizione evidente: da un lato il DL impone alle Regioni obiettivi vincolanti di incremento della capacità rinnovabile entro il 2030, dall’altro contiene disposizioni che rendono praticamente impossibile la realizzazione degli impianti, restringendo in modo drastico le aree idonee.

Il nuovo DL fissa l’obiettivo di installare 80 GW di nuova potenza rinnovabile entro il 2030: significa installare oltre 11,5 GW all’anno nei prossimi 5 anni.

Nel 2024 abbiamo installato 7,5 GW di rinnovabili e, probabilmente, nel 2025 faremo solo 6,5 GW.

È evidente la necessità di accelerare per raggiungere il target 2030, come è evidente che, in assenza dei correttivi alle nuove norme sulle aree idonee sopra richiamati, avremo invece una drastica battuta d’arresto.

Entrando più nello specifico, approfondisco le due più gravi criticità introdotte dal nuovo DL.

La prima è l’estensione indiscriminata a qualunque bene oggetto di tutela culturale e paesaggistica della fascia di rispetto di 500 metri per il fotovoltaico e di 3 km per l’eolico, fascia di rispetto che invece prima era applicata solo ai beni oggetto di tutela culturale.

La nuova impostazione amplia in modo eccessivo il perimetro delle esclusioni, perché trai beni oggetto di tutela paesaggistica (articolo 142 del Codice dei beni culturali e del paesaggio) rientrano pure, ad esempio, i corsi d’acqua, aree a usi civici, zone umide, etc.

Peraltro, l’applicazione di fasce di rispetto a tutte le aree paesaggistiche genera un effetto cumulativo: le distanze si sommano e saturano il territorio, riducendo drasticamente la possibilità che le Regioni possano individuare aree idonee. L’effetto espansivo di tali fasce, applicato a categorie così vaste, rischia di rendere la quasi totalità del territorio nazionale non idonea alle rinnovabili.

Un precedente significativo conferma la portata del problema: le norme regionali emanate dalla Sardegna nel settembre 2024 avevano ridotto le aree idonee a meno dell’1% del territorio regionale. Il Governo ha impugnato quelle norme davanti alla Corte Costituzionale e dovrebbe quindi, coerentemente, oggi evitare di fare altrettanto su scala nazionale con una norma di rango primario.

Una ulteriore conferma proviene dall’Umbria dove quasi l’intero territorio sarebbe di fatto qualificato come area non idonea, rendendo impossibile individuare nuove aree per impianti rinnovabili, comprese coperture e parcheggi, in un contesto già fortemente vincolato.

La seconda criticità riguarda le solar belt, le fasce di terreno intorno agli impianti industriali destinate all’installazione di fotovoltaico. Le nuove norme ne hanno previsto il ridimensionamento a 350 metri (prima era 500) e l’applicabilità ai soli impianti e stabilimenti in possesso di una Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). Due disposizioni che di fatto rendono inutilizzabili le solar belt: limitano la superficie disponibile e contraddicono la finalità originaria delle solar belt che era quella di incentivare l’uso di aree già antropizzate e contenere il consumo di suolo agricolo.

In particolare, inoltre, aver previsto che lo stabilimento industriale di riferimento debba essere in possesso di un’AIA riduce drasticamente i siti in cui è possibile avere una solar belt: molti stabilimenti industriali, infatti, pur essendo evidentemente compatibili con l’installazione di fotovoltaico, non rientreranno più in questa categoria e verrebbero esclusi.

Agostino Re Rebaudengo

Agostino Re Rebaudengo, laurea in Economia all’Università di Torino, completa la sua formazione a UCLA e ad Harvard Business School. È Presidente e fondatore di ASJA ENERGY Società Benefit, azienda che produce energia rinnovabile e riduce le emissioni di CO2, e di AgoRen SB, azienda del settore costruzioni e agricoltura sostenibile, Past President di Elettricità Futura, Vice Presidente di Confindustria Energia, Co-fondatore e Vice Presidente della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, di Venice Gardens Foundation, Giornalista pubblicista, Professore all’Università Campus Biomedico di Roma.