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Ucraina, se arretra la Ue avanzano i dittatori. Per proteggere il Vecchio continente serve una difesa europea anziché riarmi nazionali, e una reale indipendenza energetica basata sulle rinnovabili

 |  Editoriale

L’Europa si trova di fronte a una verità nota e scomoda: l’Unione europea non ha la coesione e la forza – politica, istituzionale, finanziaria – da essere in grado di rispondere con la determinazione e ambizione necessarie alla sfida esistenziale che le pone una coalizione, di fatto e senza precedenti, fra regimi illiberali e nazionalisti, le big tech soprattutto americane e cinesi. È necessario attrezzarsi nel quadro di una battaglia da vincere prima di tutto all’interno della Ue, perché i nemici di democrazia, diritti individuali, pace e creazione di una nuova economia più sostenibile ed equa sono sempre più forti dentro la Ue, dove agiscono, a dispetto della loro agenda nazionalista da destra ma anche da sinistra, come emissari di Trump e Putin.

Non è solo una questione di difesa nel senso militare del termine e di adeguatezza della Nato. Anzi. Riarmarsi a tutta birra e individualmente, magari sostenendo con ingenti fondi pubblici imprese nazionali che competono fra loro sugli stessi dispositivi, lasciando da parte politiche sociali e climatiche, non ci renderà né più autonomi né più sicuri. L’Ue è molto più forte di ciò che i suoi nemici vogliono farci credere e non ha bisogno di 27 eserciti armati fino ai denti per dimostrarlo.

Questo è il contesto nel quale si è svolge la missione di Zelensky a Roma. La presidente del Consiglio Meloni mantiene una posizione ambigua e resta legata alla sua cultura politica di destra nazionalista. Questo la porta a insistere sulla necessità di tenere unite le due sponde dell’Atlantico nel sostegno a Kiev, ma allo stesso tempo, in nome di un “atlantismo” vicino alla visione di Trump, ostacola attivamente la coesione e l’autonomia dell’Unione europea. Lo fa sostenendo politiche che indeboliscono le istituzioni europee, puntano sul riarmo nazionale, mettono in discussione la transizione ecologica e i valori di inclusione e integrazione, e riducono lo spazio di azione della stampa libera e della società civile, sia in Italia che in Europa.

Questa è la realtà, dietro ad un rapporto sempre cordiale ed empatico che la nostra presidente del Consiglio è riuscita a creare con la maggior parte dei leader europei e internazionali, illiberali, autocrati o democratici che siano. Ecco perché è necessario, pur sostenendo e riconoscendo la coerenza dell’Italia nel sostegno a Kiev, insistere sul fatto che gli Usa di Trump sono pericolosi avversari e non alleati. Che continuare a inchinarsi e a sperare di non farselo nemico non serve assolutamente a niente.

Uno dei vari punti in comune fra Trump e Putin è il fatto che riconoscono solo la logica dei rapporti di forza. Ed è un grave errore pensare che cedere alle attuali pretese di Trump servirà a bloccarne altre. L’esperienza ci dice il contrario. È assolutamente necessario che il Governo italiano smetta di essere la colonna di Trump e delle big tech che stanno entrando a gamba tesa per rivedere e smontare leggi che difendono i nostri cittadini e imprese, dalle norme sul digitale a quelle sulla transizione energetica e sui diritti.

Siccome non è sicuro che il Governo cambi radicalmente strada, c’è un grande lavoro da fare da parte dell’opposizione, anche per costruire un’alternativa convincente e attraente in tempo per le prossime elezioni. 

Innanzitutto, bisogna ribaltare completamente la deriva intergovernativa della Ue e tornare a coinvolgere partiti pro-europei e movimenti sociali nella battaglia per una vera federazione europea; che passa sicuramente dall’abolizione dei veti nazionali e un maggiore coinvolgimento del Parlamento europeo, ma anche dal rafforzamento degli strumenti di partecipazione e deliberazione cittadina che hanno dimostrato di potere funzionare, ma che sono stati poi delegittimati e sprecati dall’azione dei Governi nazionali e dalla distrazione della Commissione europea, a partire dalla Conferenza sul futuro dell’Europa e le iniziative dei cittadini europei.

Non stiamo parlando di aria fritta. Solo una partecipazione attiva dei cittadini, capace di riportare al centro il dibattito sul futuro di un’Europa libera e unita nelle sue diversità, può impedirne la deriva sotto la pressione congiunta dei grandi interessi economici e delle forze anti-europee. È un aspetto cruciale: oggi le democrazie che garantiscono libertà, partecipazione e una società aperta e plurale sono poche, e l’Unione europea è ancora la più importante tra esse.

In secondo luogo, è necessario rendere chiaro concretamente, con dati e numeri, la differenza fra una vera difesa europea e un riarmo nazionale, magari condito con la reintroduzione della leva obbligatoria o volontaria senza prima avere condotto alcuna seria valutazione su come organizzare una difesa efficace in termini di risorse umane e materiali; cosa che passa per la messa in comune degli armamenti, ma anche di competenze cibernetiche, intelligence, nuove tecnologie, che potrebbero essere molto meno dispendiose di ciò che ci viene ripetuto ogni giorno, e solidi strumenti di azione diplomatica e civica.

Questo è assolutamente fondamentale perché la narrativa dominante è quella di confondere l’urgenza di aiutare l’Ucraina con il progetto a medio lungo periodo di rivedere le capacità di deterrenza europee, moltiplicando semplicemente le risorse per armarsi a livello nazionale, magari comprando armi americane, nell’illusione di tenere buono Trump. 

In terzo luogo, bisogna rilegittimare il ruolo della Ue come portatrice di un modello economico, sociale ed energetico sostenibile, che possa contare su una reale indipendenza energetica, basata su rinnovabili, efficienza energetica, accumuli, e ben lontana da fossili e nucleare, per loro natura in mano a grandi imprese centralizzate e conniventi con le forze politiche più ideologicamente eco-scettiche.

Queste scelte sono difficili ma non più eludibili. Abbiamo bisogno di costruire in fretta una forte alleanza fra politica, impresa, lavoratori e lavoratrici, amministratori locali, società civile per resistere e ribaltare i rapporti di forza e le maggioranze politiche attuali, basati in fondo soprattutto sui soldi. E questo in Europa come a livello nazionale. Come diceva un famoso oppositore russo a chi gli chiedeva consigli su come resistere all’onda autoritaria: bisogna agire fino a che si può. Dopo sarà troppo tardi.

Monica Frassoni

Laureata in scienze politiche, nel 1987 è stata eletta segretario generale della Gioventù Federalista europea e si è trasferita a Bruxelles. Dal 2002 al 2009, è stata Co-presidente del gruppo dei Verdi con Daniel Cohn-Bendit. È stata co-Presidente del Partito Verde Europeo dall’ottobre 2009 al novembre 2019. Dal 2020 presiede il Consiglio Comunale di Ixelles, comune della Regione di Bruxelles. Presiede dal 2011 la European Alliance to Save energy e dal 2013 il European Centre for Electoral Support. Il suo sito è monicafrassoni.eu