Fermare la grande corsa verso l’atomica. I 9 Stati nucleari - Usa, Russia, Cina, Francia, India, Pakistan, Regno Unito, Israele, Corea del nord - stivano oggi 12.000 bombe H. Dall’orrore dei test all’atollo martire di Bikini ai Trattati da far rispettare
“Hello, Dimitri?...Uno dei nostri comandanti di base ha avuto come…beh, insomma, gli è girato il boccino…Beh, sai, è diventato un po’ strano…Insomma, ha fatto una sciocchezzuola…ha ordinato ai suoi aerei di venirvi a bombardare”. Chi non ricorda Peter Sellers alias Merkin Muffley caricatura del Presidente Usa, protagonista del film cult "Il dottor Stranamore" girato nel 1964 da Stanley Kubrick? Nell’atmosfera radioattiva degli anni della guerra fredda, cerca di spiegare al telefono al presidente sovietico che il suo generale Jack D. Ripper comandante di una base aerea, è impazzito e ha trasmesso ai piloti dei bombardieri strategici B-52 in volo l'ordine esecutivo del mostruoso “Piano R" ovvero l’attacco atomico all’Unione Sovietica.

Domanda delle cento pistole: quanti emuli di Ripper al secolo il grande Slim Pickens immortalato nel film foto al massimo della felicità mentre cavalca un’atomica, e di Stranamore - personaggio creato dallo scrittore gallese Peter George - hanno una qualche responsabilità nei governi in questo nostro mondo dove arsenali militari atomici di Stati democratici o di paesi nelle mani di autocrazie e dittature continuano a stivare atomic bomb e altri armamenti da fine di mondo per essere pronti per l’attacco o per la difesa, per quel che poi servirebbe in caso di conflitto nucleare?
Quel che è certo è il ritorno di minacce, avvertimenti, linguaggi brutali in codice militare, blitz come l’“Operazione Martello di Mezzanotte” del 22 giugno scorso contro i siti nucleari iraniani lanciata dagli Stati Uniti con Israele e seguita da Trump e dal suo stato maggiore nella Situation Room della Casa Bianca. Dai tempi della “guerra fredda”, mai come oggi, gli investimenti si decuplicano e, nella peggiore crisi degli ultimi 80 anni, come ha spiegato con realismo il ministro della difesa Guido Crosetto, bisogna stare attenti perché “se qualcuno impazzisce” bisogna fermarlo in tempo e “far di tutto perché i conflitti in atto non ci portino alla guerra”. E se aumenta l’economia di guerra aumenta anche la paura atomica che, negli ultimi cinquant’anni, è stata controllata dal termometro della deterrenza ma facendo accumulare nei depositi sotterranei bombe nucleari a fissione o a fusione termonucleare, bombe H o al neutrone e al cobalto con scie radioattive prolungate, armi all'uranio impoverito sottoprodotto del processo di arricchimento nucleare, con una quota di ordigni nucleari tenuti in stato di allerta operativa, pronti per essere montati su lanciatori terrestri, sottomarini o aerei.
Oggi i 9 Stati nucleari stivano qualcosa come 12.200 testate atomiche, 3.900 delle quali dispiegate in basi missilistiche e pronte all’imbarco su bombardieri più moderni come gli statunitensi B-2 Spirit stealth, il supersonico B-1B Lancer e il futuribile B-21 Raider che mandano in pensione i vecchi B-36, B-47 e B-49. L’Archivio Ricerche Internazionali e Archivio Disarmo, e le stime 2025 sullo stato delle forze nucleari mondiali elaborate dallo Stockholm International Peace Research Institute e dalla Federation of American Scientist, indicano Russia e Stati Uniti come detentori della quasi totalità degli armamenti atomici e complessivamente stivano 10.636 testate nucleari: 5.459 russe con 2.591 bombe in depositi militari pronte per l’uso, e 5.177 statunitensi di cui 1.930 in riserva-stock militare e 1.770 dispiegate in sistemi operativi. Insieme totalizzano l’87% dell’arsenale nucleare mondiale. Seguono la Cina con 576 bombe, la Francia con 290, l’India con 180, il Pakistan con 170, il Regno Unito con 225, Israele con 90, la Corea del Nord con 50. Per la prima volta, non solo il rischio di un loro utilizzo è ritenuto superiore rispetto alla fase nucleare della guerra fredda, ma la spesa globale per gli arsenali nucleari - che nel 2024 aveva raggiunto i 100,2 miliardi di dollari, con un più 11% sul 2023 -, continua a salire al punto che in ogni secondo vengono spesi 3.169 dollari per armi atomiche.
Le atomiche statunitensi peraltro le custodiamo anche in casa nostra, come fanno gli altri Paesi alleati nella NATO: 100 bombe non strategiche di tipo B61-12 sono stivate, infatti, nelle 6 basi aeree europee di Italia, Belgio, Paesi Bassi, Germania e Turchia. Il Nuclear Sharing NATO permette ai paesi membri ma senza armi nucleari, di partecipare comunque alla deterrenza nucleare con testate USA sui propri territori e addestrando i propri piloti a usarle anche su velivoli come i nostri Tornado, anche se l'autorizzazione all’uso resta in capo alle potenze nucleari NATO, gestita dal Gruppo di Pianificazione Nucleare che controlla l’arsenale americano stivato nelle nostre basi di Ghedi e Aviano come a Kleine Brogel in Belgio, a Volkel nei Paesi Bassi, a Büchel in Germania e a Incirlik in Turchia.
I vettori aerei, come indicano gli analisti, sono bombardieri e caccia in grado di lanciare bombe a caduta o missili da crociera. E se gli Stati Uniti dispiegano 65 bombardieri strategici B-52H e B-2A e caccia tattici dual-capable come F‑16, F‑15E e F‑35A, i russi rispondono con 67 bombardieri Tu-95MS e Tu-160 e all’occorrenza possono mettere in pista altri 289 velivoli, mentre la Francia ha disponibili 10 Rafale MF3/4, la Cina 20 H‑6N, il Regno Unito 12 F‑35A, India e Pakistan 48 e 36 aerei con capacità nucleari, Israele 125 aerei potenzialmente nuclear-capable di cui 50 utilizzabili in attacchi nucleari.
Inutile spiegare che trattasi di ordigni in grado di cancellare ogni traccia di vita dove colpiscono. E che ogni Stato atomico, in nome della deterrenza, fa da sé. Donald Trump, il 31 ottobre scorso, ha annunciato la ripresa di test nucleari “on an equal basis” sulla base di ciò che fanno gli altri, ordinando al Dipartimento della Guerra - il vecchio Pentagono -, alla viglia del vertice con il leader cinese Xi Jinping "di iniziare a testare le nostre armi nucleari". Una reazione muscolare agli annunci di Putin dei test di nuovi missili da crociera con testate nucleari in grado volare senza limiti di tempo, e del micidiale siluro Poseidon a propulsione atomica in grado di scatenare anche terrificanti tsunami anche di fronte alle coste americane. A prove di forza atomica come quelle della Cina che sta ampliando il suo arsenale con il piano quinquennale lanciato da Xi Jinping per il “potenziamento delle capacità di deterrenza strategica”, e i servizi segreti Usa calcolano che avranno almeno 1.500 nuove testate nucleari miniaturizzate entro il 2035, ufficialmente per mettersi in pari con l’armamentario degli Usa. A quelle di Vladimir Putin, che continua a mettere sempre tutti in guardia ripetendo il refrain: “Qualcuno sta preparando test nucleari...La Russia farà lo stesso”. E così, tutti gli Stati-Nuke si dicono pronti a metter mano all’atomica nel folle tentativo di far immaginare di poter anticipare chi pensa di premere per primo il grilletto nucleare. Il nuovo equilibrio della deterrenza per scongiurare mosse fatali, si regge sui telefoni rossi sulle linee Washington-Pechino-Mosca.
Se l’ultimo test nucleare cinese risale ufficialmente al 1996, se l’ultimo test della Russia è del 1990 ai tempi dell’Urss, se l’ultima esplosione nucleare americana ha fatto saltare sabbia nel deserto del Nuovo Messico il 23 settembre 1992 botto finale ufficialmente di 1.032 test che hanno sollevato funghi radioattivi dai deserti al mare cristallino degli atolli o nelle viscere del Pianeta, è il nome “Bikini” il brand globale immortale che richiama la prima prova atomica che non si scorderà mai.
E pensare che la parola Bikini, prima della bomba fatale per una fetta di paradiso naturale in terra, evocava ancora e solo il dirompente costume da bagno a due pezzi firmato dagli stilisti francesi Louis Reard e Jacob Heim nel 1946. Era il costume più fotografato e glamour, indossato per la prima volta da Rita Hayworth - nella foto -, passato alle cronache rosa come “esplosivo”, parola che evidentemente ha colpito chi decise di provare l’atomica proprio nell’atollo di Bikini.

In quel primo anno del secondo dopoguerra, Bikini era anche l’atollo con 36 isolette polinesiane da sogno delle isole Marshall, lo stato insulare formato da 29 atolli nell'Oceano Pacifico, una delle quali era l’isola chiamata Bikini.

Ma era in corso il Progetto Manhattan, il programma di ricerca Usa per arrivare primi alla prima arma nucleare in competizione contro il temibile programma atomico tedesco avviato nel 1938, dopo la scoperta della fissione nucleare degli scienziati di Hitler Otto Hahn e Fritz Strassmann. Al Manhattan partecipavano i maggiori fisici del Novecento, dal Nobel Enrico Fermi a Ernest Lawrence e a Robert Oppenheimer. Il crescente incubo dei nazisti in grado di far esplodere la nuova bomba atomica dalla potenza mai conosciuta prima dall’umanità, che li avrebbe resi imbattibili, aveva spinto scienziati del calibro di Albert Einstein, a chiedere al Presidente Usa Franklin Delano Roosevelt, di finanziare i primi studi nel campo della fisica nucleare nelle università di Berkley in California e nella Columbia University di New York.
Roosevelt incaricò Robert Oppenheimer e il generale Leslie Groves del coordinamento scientifico e militare dell’Operazione Atomica. Crearono in tre aree abbastanza isolate tre laboratori nucleari: a Oak Ridge nel Tennessee, a Los Alamos nel Nuovo Messico e ad Hanford nell’area di Washington. Non risultavano abitate in nessuna mappa geografica ma, nel top secret, furono reclutati in 125.000 tra scienziati e addetti con le loro famiglie al seguito, per la corsa contro il tempo contro gli scienziati nazisti di Hitler. Dal 13 agosto del 1942, in quei primi laboratori atomici lavoravano i massimi esperti mondiali dei paesi alleati di ogni settore: chimici, fisici, ingegneri, specialisti in esplosivi, militari, medici e i premi Nobel Frank, Compton, Urey, Fermi, Lawrence, Seaborg, McMillan, Segrè, Chamberlain, Wigner, Schwinger, Feynman, Bethe, Alvarez, Rainwater, van Vleck, Fitsch, Fowler e Ramsey.

Per la prima volta, una bomba all’uranio e una al plutonio, furono testate all’alba del 16 luglio del 1945, fatte esplodere senza precauzioni nel deserto della Jornada del Muerto del Nuovo Messico. Chiamarono The Gadget, la prima atomica della storia e, dopo l’esplosione, Oppenheimer e il generale Groves e altri esperti ispezionarono senza alcuna precauzione il sito della deflagrazione, come si vede nelle foto.

Oppenheimer, come fecero anche Enrico Fermi e molti altri scienziati, nell’immediato dopoguerra si rifiutò poi di procedere nella ricerca e nei test di nuove bombe a idrogeno, convinti della necessità e possibilità di giungere ad un’intesa internazionale per la non proliferazione delle bombe nucleari. Oppenheimer si rifiutò anche di dare il suo supporto scientifico ai nuovi test nucleari per testare gli effetti delle bombe H su navi da guerra nel Pacifico con l’Operazione Crossroad, proposta il 16 agosto 1945 da Lewis Strauss, già assistente del presidente Usa Herbert Hoover che dopo vari incarichi bancari e militari era al fianco di Harry Truman e sarebbe diventato nel 1953 Presidente della Commissione per l’Energia Atomica, nominato da Eisenhower. Fiero oppositore di Oppenheimer, Strauss mise poi in piedi il processo che portò al ritiro del nullaosta di sicurezza nei confronti dello scienziato, portandolo sotto processo nel periodo della caccia alle streghe, accusandolo di essere un comunista e di aver passato informazioni top secret ai russi, rimuovendolo dalla Commissione per l’Energia Atomica.
Con gli scienziati del Progetto Manhattan, anche i diplomatici si opposero ai test nucleari sostenendone l’inutilità e la pericolosità. Oppenheimer aveva anche scritto inutilmente al Presidente Truman, spiegandogli che si sarebbero potuti raggiungere gli stessi risultati lavorando in laboratorio, risparmiando dollari e radioattività in ambienti terrestri e marini e radiazioni agli abitanti e ai pescatori. Ma l’11 gennaio del 1946, Truman diede il via al test nell’Arcipelago delle Marshall dove, la laguna di Bikini ampia 596 km2, diventò l’area per testare i livelli distruttivi della bomba H Usa. Fu dato l’ordine alla nave USS Sumner di ricavare ampie aperture di accesso nella barriera corallina. E al Commodoro Ben H. Wyatt, governatore militare degli Stati Uniti nelle Isole Marshall, di informare i 167 allibiti residenti locali del loro trasferimento. Domenica 10 febbraio del 1946, all’ombra delle palme dell’atollo polinesiano, come si vede dalla foto, gli abitanti informati. Dovevano sloggiare “per il bene dell’umanità e per porre fine a tutte le guerre mondiali“, e ricrearsi una vita a 128 miglia ad est, nell’atollo disabitato di Rongerik.

L’ammiraglio William H.P. Blandy, capo dell’operazione, ordinò l’invio di 93 “navi e portaerei rottame” nella laguna di Bikini con a bordo anche animali a bordo da sacrificare. Mentre la flotta in disuso veniva fatta ancorare, e tra queste la Saratoga e la corazzata New York, Blandy spiegava che in realtà l’amministrazione Usa avrebbe speso appena 3,7 milioni di dollari nell’Operazione Atomica, che avrebbe ordinato analisi preventive delle condizioni meteo per evitare che la radioattività potesse creare problemi al personale e agli habitat in caso di tempeste oceaniche ed effetti legati alle correnti marine. E, sul perché del basso costo dell’esplosione atomica - che la Casa Bianca calcolava a 450 milioni di dollari -, Blandy lasciò tutti esterrefatti spiegando che dopo conclusi i test avrebbe concesso il via libera alla vendita dei rottami delle imbarcazioni a 10 dollari a tonnellata, coprendo così la grande parte dell’investimento, non sfiorato dalla perenne radioattività dei materiali resi intoccabili.
La mattina del 1 marzo 1954 un lampo spaventoso e infuocato incendiò il cielo e l’atollo di Bikini.

L’atomica, in codice Castle Bravo, era una bomba termonucleare a idruro di litio con potenza mille volte maggiore di quelle di Hiroshima e Nagasaki, produsse un fungo atomico fino a 40 km di altezza che si allargò per oltre 100 km. Nei filmati, militari e scienziati osservavano gli effetti con i binocoli e senza precauzioni. Il test Castle Bravo con una testata da 15 megatoni e un potenziale esplosivo pari a 15 milioni di tonnellate di tritolo, rese 4 isole dell’atollo prive di vita, provocò una ricaduta di materiale radioattivo fino a 11 mila km di distanza, fulminando anche un peschereccio giapponese non bloccato in tempo, il Daigo Fukuryu Maru con 23 marinai a bordo. Il suo lampo accecante fu avvistato persino da Okinawa, a oltre 4.000 chilometri di distanza. Il fallout radioattivo fu disperso dalle correnti oceaniche e dai venti a grandi distanze, ricadendo a terra e nel mare sottoforma di fiocchi di neve color cenere. Furono contaminati anche gli atolli vicini e persino capi di bestiame del Tennessee, a 10.500 km di distanza, risultarono con tracce di materiale radioattivo, rilasciato anche in aree del Giappone, dell’India, dell’Australia, dell’Europa.
Era iniziata quindi la prima serie dei Baker test nucleari dell’Operazione Crossroads. Sulle isole Marshall, e soprattutto a Bikini, furono 67 i test effettuati fino al 1958. Tra questi, il test Able del 1° luglio 1946 con il lancio della bomba nucleare chiamata Gilda che mancò il bersaglio di ben 650 metri, causando danni inferiori a quelli previsti; il test del 25 luglio 1946 che fu devastante con la bomba Helen fatta esplodere a 27 metri di profondità sotto il mare e con l’aerosol radioattivo marino che contaminò un’area talmente vasta da far affermare al chimico e Nobel Glenn T. Seaborg che l’esperimento Baker fu “il primo disastro nucleare al mondo“. E lasciarono l’area off limits per sempre per radioattività con l'isotopo Cesio-137 ancora oggi rilevato nel suolo e assorbito dalle piante non solo nell’area del cratere di Castle Bravo, dove fu fatta esplodere la bomba H, rendendo ogni reinsediamento impossibile.
Ai test-bomba seguirono le due atomiche Usa battezzate Little Boy e Fat Man sganciate sul Giappone, a Hiroshima e a Nagasaki. Il 6 agosto 1945, l’ordigno Little Boy a Hiroshima causò circa 140.000 morti immediati. Tre giorni dopo, il 9 agosto, la bomba Fat Man a Nagasaki lasciò altre 74.000 vittime immediate. Le città furono completamente distrutte e trasformate in macerie con edifici crollati, incendi, e i due funghi nucleari che oscurarono a lungo il cielo. Era la risposta degli USA all'attacco alla loro base militare di Pearl Harbor alle prime luci dell'alba di domenica 7 dicembre 1941, condotto da una flotta di portaerei, corazzate, incrociatori e altre navi della Marina Imperiale giapponese che fece contare 2.403 militari e 57 civili morti e 1.300 feriti. Si vendicarono, e ottennero la resa immediata del Giappone il 15 agosto, ma con costo umano immenso ed effetti di radiazioni acute con un’ondata di leucemie e cancri e conseguenze croniche con radiazioni nel suolo e nell’acqua.

La reazione mondiale contro i test nucleari nell’atmosfera, 9 anni dopo, portò alla firma del trattato per la messa al bando firmato nel 1963. Nel 1969, gli Stati Uniti iniziarono la decontaminazione dell’atollo di Bikini, ma con risultati quasi inesistenti. E se Bikini con le sue falde acquifere e la barriera corallina e le acque marine, resta contaminato, anche le altre aree-test dove sono state sperimentate le atomiche di tutte le altre potenze nucleari sono inaccessibili e a rischio mortale.
Sappiamo che dal 15 luglio 1945 sono stati 2.051 i test atomici nel mondo di Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia, Regno Unito, Cina, India, Pakistan e Israele. Che anche il mare e le isole nell’atollo di Mururoa nell’arcipelago delle Tuamotu nella Polinesia francese sono off limits perché dal 1966 al 1996 sono stati teatro di test nucleari. Che è stata resa altamente radioattiva anche l’area-test di Semipalatinsk scelta dai sovietici per 40 anni, dal 1949 al 1989, come poligono atomico per 456 test nucleari sul totale di 969, esponendo alle radiazioni tra 500mila e 1,5 milioni di persone. Il 29 agosto del 1949, l’Unione Sovietica fece esplodere la sua prima bomba atomica a Semipalatinsk, e il fungo radioattivo prodotto ricadde su popolazioni ignare del pericolo. Oggi il sito atomico è nel Kazakistan, e sotto vediamo un plastico dell’area con una esplosione atomica.

Il poligono nucleare sovietico era immenso, ampio 18.500 km2, quanto il Veneto, e le esplosioni hanno contaminato almeno 300.000 km2 una superficie grande come la Germania, dove le radiazioni potrebbero scendere a livelli accettabili solo tra 24.000 anni. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991, i russi abbandonarono l’area alla radioattività. Il Kazakistan chiuse il sito ed emersero gli effetti letali sulla popolazione. Il governo kazako, dalla fine degli anni Novanta e fino al 2012, con la collaborazione degli Stati Uniti sigillò 180 tunnel e 13 pozzi utilizzati per i test recuperando e mettendo in sicurezza il plutonio del sito. Ma villaggi e città ai margini del poligono non essendo stati evacuati subirono le conseguenze della contaminazione. Grandi città come Kurchatov e Semey con 320.000 abitanti a meno di 100 km dal poligono sono state investite sistematicamente da venti radioattivi. Oggi almeno 200.000 persone vivono in aree contaminate dove si registra un aumento notevole di tumori e deformazioni alla nascita e altre patologie correlate.

La potenza della bomba H fatta esplodere nel Pacifico a Castle Bravo, fu superata dai sovietici lanciando la più potente bomba atomica della storia mai fatta esplodere. Era un ordigno da 57 megatoni chiamata “La Bomba Zar”, con un prototipo innocuo che vediamo nell’immagine messo in mostra a Mosca. Fu progettata in Unione Sovietica da un team di scienziati coordinati da Andrej Sacharov, e il 30 ottobre del 1961 alle ore 11:32, venne sganciata nella baia Mitjušicha sull'arcipelago di Novaja Zemlja a nord del circolo polare artico dal Tupolev Tu-95V n.5800302, decollato dalla base aerea Olenja nella Penisola di Kola. Gli effetti furono devastanti in un raggio di almeno 55 km. Dopo quel terrificante test, anche Sacharov iniziò la sua campagna contro le armi nucleari che lo portò al Premio Nobel per la pace nel 1975.
La mobilitazione mondiale nel 1963 portò Usa, Urss e Regno Unito a firmare il trattato che proibiva test nucleari “nell’atmosfera, nello spazio, sott’acqua o in alto mare”. Nel 1974 un nuovo trattato limitò le esplosioni sotterranee a 150 chilotoni. Il terzo trattato, il più ambizioso Comprehensive Nuclear Test Ban Treaty concluso nel 1996 e firmato da 187 nazioni, non è ratificato da Stati nucleari come Usa, Cina, Iran, Corea del Nord, Israele e Russia. Dal 22 gennaio 2021, con l’entrata in vigore del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari, adottato dalle Nazioni Unite nel 2017 con il consenso pressoché unanime della comunità internazionale, andrebbero messe al bando almeno le bombe più distruttive. Una cornice giuridica imporrebbe l’eliminazione verificabile e irreversibile delle armi nucleari, fornendo assistenza alle vittime del loro uso. I governi sarebbero obbligati a collaborare per chiudere definitivamente l’era delle armi nucleari.