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Non solo referendum: il dibattito pubblico sui migranti è plasmato dalla disinformazione

Gli esperti della Commissione Ue sottolineano la necessità di una migliore comunicazione pubblica: si tratta di un problema che ha pesato anche sul referendum per la cittadinanza
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Sono quasi 15 milioni le persone che hanno votato ai referendum abrogativi in agenda l’8 e 9 giugno, e oltre un terzo di queste ha votato no al quesito sulla cittadinanza, che chiedeva di ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare per poter chiedere la cittadinanza italiana, senza modificare gli altri requisiti necessari per richiederla (come conoscere la lingua, non aver commesso reati, avere un reddito).

Si tratta di un dato politico di rilievo: tutti i referendum non hanno raggiunto il quorum, confermando le enormi difficoltà per la partecipazione democratica alla vita del Paese, ma se per tutti e quattro i referendum sul lavoro i hanno sfiorato quota 90%, per la cittadinanza il 35% ha votato e detto no. Come mai?

Una risposta indiretta arriva da un rapporto appena pubblicato dal Centro comune di ricerca (Jrc) della Commissione Ue, che esplora il problema, ormai di dimensione continentale. Gli esperti sottolineano la necessità di una migliore comunicazione pubblica in materia di migrazione, avviando un dialogo aperto e onesto sulle sfide e sulle opportunità legate alla migrazione, riconoscendo e affrontando le legittime preoccupazioni dei cittadini, ad esempio legate alla concorrenza sul lavoro e alla distribuzione delle risorse nazionali. Esattamente il contrario di quanto sta avvenendo, anche in Italia.

«Il dibattito pubblico sull'immigrazione in Europa – spiegano i ricercatori – è influenzato da narrazioni semplificate e parziali, spesso utilizzate per scopi politici. Queste narrazioni possono essere fuorvianti e creare una visione distorta della realtà, influenzando la percezione pubblica e le decisioni politiche».

In particolare, i «movimenti populisti sfruttano l'evocazione di emozioni forti e negative per creare un senso di crisi», e al contempo «l'ascesa del populismo sta rendendo i politici più moderati cauti nel mostrare debolezza e nel perdere il sostegno pubblico. Di conseguenza, molti politici si sentono costretti a scegliere tra capitalizzare sulle stesse paure sfruttate dai populisti o sostenere soluzioni razionali e tecnocratiche, che spesso contribuiscono a una narrazione contraddittoria. All'interno di questa narrazione, i migranti sono riconosciuti come vittime, ma si insiste costantemente sul tenerli lontani».  

I risultati di quest’approccio populista alla migrazione si toccano con mano anche in Italia. Ad esempio, si ha la percezione di vivere in un Paese sempre più pericoloso, quando invece i reati contro le persone sono in costante calo. Oppure, un quarto dei giovani italiani pensa che le persone migranti in Italia rappresentino oltre il 50% della popolazione, a fronte di una presenza reale che oscilla da un decennio attorno al 9% (la popolazione residente di cittadinanza straniera è pari oggi a 5,4 milioni di persone, il 9,2% del totale, mentre nel 2015 i dati erano rispettivamente 5 mln di persone e 8,3%; anche i migranti irregolari sono sostanzialmente stabili).

Già oggi i migranti contribuiscono a tenere a galla il Paese: gli occupati stranieri offrono un contributo al Pil pari a 164,2 miliardi di euro (8,8%), e il saldo tra quanto i migranti versano (tasse e contributi) e quanto ricevono in servizi di welfare risulta positivo per 1,2 miliardi di euro.

Questa percezione distorta non permette di vedere che il problema reale, semmai, è che i migranti siamo noi: solo nell’ultimo anno sono espatriati 156mila italiani (+36,5%), e secondo i dati Bankitalia a causa del calo demografico l’Italia rischia di perdere il 13% del Pil al 2040. Ma anziché dibattere su come rendere il Paese più attrattivo – per i residenti ancora prima che per gli stranieri – e su come drenare risorse dove sono presenti (ovvero nell’evasione fiscale e tra le fasce più ricche della popolazione) anche per rendere più sicure le nostre città, ci condanniamo al progressivo declino demografico ed economico.

Che fare? Il primo passo è l’invito all’azione rivolto dai ricercatori del Jrc a decisori politici e comunicatori: «Collaborino per promuovere un dibattito pubblico più informato ed equilibrato sulla migrazione».

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.