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Le Rapid Support Forces formano un governo alternativo a quello dei militari golpisti con i quali erano alleati

Il Sudan come la Libia: due governi nel Paese devastato da una guerra brutale

Come a Gaza: la fame usata come arma. In Sudan la più grande crisi di profughi del mondo
 |  Approfondimenti

Le Rapid Support Forces (RSF), le feroci milizie sudanesi impegnate da oltre due anni in una guerra brutale con i militari golpisti delle Sudanese Armed Forces (SAF) con i quali erano alleati, hanno annunciato la costituzione di un consiglio presidenziale composto da 15 membri, una coalizione politico-militare egemonizzata dalle RSF e che è stata resa nota il 26 luglio dal Consiglio di Leadership della Sudan Founding Alliance (TASIS) che ha anche nominato il comandante delle RSF, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, presidente di un consiglio presidenziale che include diversi governatori regionali. Abdelaziz Adam al-Hilu, un potente leader ribelle che si dice controlli vaste aree di territorio e truppe nello stato del Kordofan del Sud, ricoprirà la carica di vicepresidente, mentre il politico sudanese Mohamed Hassan Othman al-Ta'ayshi assumerà la carica di primo ministro.

Mentre in Sudan si combatte quella che è attualmente la guerra con più vittime e profughi del mondo, in una nota il TASIS ha sottolineato che «In occasione di questo traguardo storico, il consiglio direttivo estende i suoi saluti e congratulazioni al popolo sudanese che ha sopportato per decenni le fiamme di guerre devastanti», mentre il nuovo autoproclamato governo del Sudan rinnova il suo «Impegno a costruire una patria inclusiva e un nuovo Sudan laico, democratico, decentralizzato e volontariamente unificato, fondato sui principi di libertà, giustizia e uguaglianza».

E’ difficile credere alla professione di democrazia e pace di Dagalo, visto che aveva governato il Sudan insieme al comandante delle SAF e leader de facto del nazione africana, il generale Abdel Fattah Al-Burhan che ha impedito ai civili di prendere il potere dopo aver guidato il colpo di stato del 2019 che rovesciò l'ex presidente Omar al-Bashir. Nell'ottobre 2021, RSF e SAF insieme hanno rovesciato l'autorità di transizione guidata da civili, con la quale avevano condiviso il potere dopo la cacciata di Bashir, e hanno avviato una feroce repressione delle proteste della società civile e di ogni ribellione negli Stati che formano il Sudan.

Gli scontri tra i due ex alleati golpisti e islamisti sono scoppiati nell'aprile 2023, dopo mesi di proteste della società civile sudanese e tensione sull'integrazione delle RSF (resesi colpevoli più volte di massacri di civili per motivi etnici e settari) nell’ambito di una transizione pianificata verso un governo civile che è stata soffocata dal golpe dei militari della SAF.
Ora il Sudan è precipitato – come molti temevano – in una situazione di tipo libico, con due governi appoggiati e armati da potenze straniere che combattono per il potere personale e per conto terzi l’ennesima guerra per il petrolio che ha già fatto decine di migliaia di vittime e milioni di profughi.

L’annuncio TASIS non è un fulmine a ciel sereno: già a febbraio, poche settimane dopo che Burhan aveva annunciato l'intenzione di formare un governo "ad interim" o "in tempo di guerra" da parte dei militari delle SAF, l'RSF aveva firmato un accordo con altri gruppi politici e armati alleati per istituire un "governo di pace e unità".
L’esercito sudanese ha definito il «cosiddetto governo della milizia» come uno stratagemma delle RSF per ingannare gli alleati delle RSF, la cui vera intenzione sarebbe quella di prendere il potere per perseguire ambizioni personali. Verrebbe da dire: da che pulpito viene la predica!

L’accordo di febbraio era stato firmato in Kenya durante un summit indetto dalle RSF e il ministero degli esteri sudanese aveva accusato il governo di Nairobi di aver ospitato «L'evento della firma di un cosiddetto accordo politico tra la milizia terroristica Janjaweed, responsabile dei continui atti di genocidio in Sudan, e i suoi individui e gruppi affiliati. Questa mossa promuove lo smembramento degli stati africani, viola la loro sovranità e interferisce nei loro affari interni».

La guerra civile ha innescato la più grande crisi di profughi del mondo e, secondo un recentissimo rapporto dell’United Nations human rights office (OHCHR), metà della popolazione sudanese si trova in una situazione di grave insicurezza alimentare. Decine di migliaia di persone sono state uccise in quasi tre anni di questa guerra dimenticata dai media ma che vede coinvolte numerose potenze regionali e globali. Una guerra dove la fame viene utilizzata come arma, proprio come a Gaza.

Aprendo l’United Nations Food Systems Summit +4 Stocktake che termina oggi ad Addis Abeba e co-ospitato da Etiopia e Italia, il segretario generale dell’Onu António Guterres ha detto che «I conflitti continuano a causare fame, da Gaza al Sudan e altrove. La fame alimenta ulteriore instabilità e mina la pace».

Guterres ha avvertito che «La fame nel mondo è in aumento. Gli shock commerciali stanno facendo salire i prezzi dei prodotti alimentari a livelli insostenibili. Un terzo della popolazione mondiale non può permettersi una dieta sana, mentre un terzo del cibo mondiale viene perso o sprecato. I costi nascosti dei nostri sistemi alimentari – sulla salute, sulla natura e sulla sofferenza umana – superano i 10 trilioni di dollari all'anno. Si tratta di una cifra pari a più di tre volte il PIL del continente africano. Questa non è solo una crisi di scarsità. E’ una crisi di giustizia, equità e climatica. Quasi il 40% della forza lavoro mondiale è legata ai sistemi alimentari, eppure molti restano intrappolati nella povertà. Il cambiamento climatico sta sconvolgendo i raccolti, le catene di approvvigionamento e la risposta umanitaria».

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.