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Le sindromi Nimby e Nimto frenano anche gli impianti per la gestione rifiuti in ambito Pnrr

Tra i progetti censiti nell’ambito del Piano spiccano quelli per valorizzare la Forsu: e il resto?
 |  Green economy

Anche grazie alle opportunità messe in campo dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), nel 2021 hanno ripreso a correre gli investimenti nel settore rifiuti in Italia.

Secondo il Was report 2022, presentato oggi a Roma dal ceo di Althesys – Alessandro Marangoni – si tratta di 912 mln di euro (+59,6%) messi in campo dai top player (pubblici e privati) nella raccolta, trattamento e/o smaltimento dei rifiuti urbani, sebbene il quadro lungo lo Stivale resti molto frammentato, con pochi grandi operatori e una miriade di piccole e medie imprese: «Si allunga la distanza, già molto consistente – sottolinea il report – tra il primo e l’ultimo esaminato: il valore della produzione della più grande sale da 1,2 a 1,3 miliardi di euro, mentre quello della più piccola scende da 7,7 a 7,6 milioni di euro».

A segnare la variazione maggiore sono le grandi multiutility (+14%), mentre a chiudere la coda ci sono le piccole e medie monoutility (+8%). Anche per questo crescono le operazioni straordinarie censite: acquisizioni e fusioni sono aumentate nel 2021 del 67%, passando a 35 contro le 21 registrate nel 2020, con un incremento soprattutto nel centro Italia.

«Spiccano le partnership – evidenzia il rapporto – che mettono al centro l’innovazione tecnologica. Tra gli ambiti esplorati figurano, ad esempio, lo sviluppo commerciale del “waste-to-chemical”, la valorizzazione degli pneumatici fuori uso per ottenere prodotti chimici ed energetici sostenibili e la pirolisi per il trattamento del plasmix».

Cresce anche l’attenzione verso il mercato dei rifiuti speciali: ad oggi oltre un terzo delle imprese monitorate è attivo anche in questo comparto, seppur con la consueta eterogeneità geografica dato che  il 50% di queste aziende opera nelle regioni settentrionali, il 14% in quelle del centro e il 36% nel sud.

Uno dei principali motori del cambiamento in corso, come già accennato, sta nelle risorse del Pnrr. A poco più di un anno dall’apertura dei bandi, si parla di 1.080 iniziative, di cui 835 hanno ricevuto un punteggio dal ministero dell’Ambiente; i progetti censiti sono relativi agli impianti per il trattamento rifiuti presentati nell’ambito della Missione 2 del Pnrr, Componente 1 “Economia circolare e agricoltura sostenibile”.

«Gran parte dei progetti riguarda le Linee relative agli impianti di trattamento/riciclo dei rifiuti urbani provenienti dalla raccolta differenziata, e quelle degli impianti innovativi per il trattamento di materiali assorbenti ad uso personale (Pad), fanghi di acque reflue, rifiuti di pelletteria e rifiuti tessili. Sono concentrate per lo più nel Meridione. Nel primo caso, il 52%, infatti, è nel sud e isole, il 29% nel centro e il restante 19% nel nord Italia. Il Lazio, con 94 progetti, vede la  maggiore concentrazione, seguito da Calabria e Sicilia. In generale, le aree di intervento includono il revamping o la costruzione di impianti di selezione e/o trattamento, di centri di raccolta, la riconversione di Tmb e persino la riqualificazione di una discarica. Tra tutti, prevalgono gli impianti per il trattamento della Forsu, la frazione organica dei rifiuti solidi urbani».

Anche in ambito Pnrr non mancano però i problemi sulla tipologia d’investimenti, e soprattutto sulla loro messa a terra. Come ha già anticipato stamattina Il Sole 24 Ore in edicola – il quotidiano confindustriale ha infatti potuto consultare in anteprima il report – mentre «non si prevede di sostenere il waste-to-energy di cui vi è ancora necessità, si rischia di generare overcapacity nella Forsu».

In altre parole si è scelto di puntare sugli impianti che incontrano minori – seppur non certo assenti, visto i 184 casi Nimby censiti negli ultimi anni – difficoltà ad incontrare l’accettabilità sociale dei territori, ovvero i pur necessari digestori anaerobici per i rifiuti organici, tralasciando la realizzazione di impianti per recuperare la frazione secca non riciclabile meccanicamente (destinabile al waste-to-energy, cioè i termovalorizzatori, ma anche al più innovativo waste-to-chemicals, ovvero riciclo/recupero chimico).

Ma il problema è più generale. Come insiste il Sole, dall’analisi del rapporto emergono «alcuni elementi significativi, così come alcune criticità. Non mancano i casi di Nimby, soprattutto nel Sud, dove addirittura ci sono progetti ritirati dai Comuni per le proteste dei cittadini dopo che avevano ottenuto un punteggio alto».

È la sindrome non nel mio giardino, cui puntualmente si accompagna quella Nimto (non nel mio mandato elettorale), contri cui torna a scontrarsi la teorica ambizione alla transizione ecologica. Dal 2012 al 2020, come certifica la Corte dei conti, solo il 20% delle opere già finanziate per la gestione dei rifiuti è stata effettivamente realizzata. Il resto si è perso nei rivoli delle proteste territoriali, richiamando una volta di più all’urgenza di un enorme sforzo politico e culturale per far capire che, senza impianti a supporto, quella della transizione ecologica resta e resterà un’ambizione vuota.

L. A. 

Redazione Greenreport

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