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Le caprette di Palmaria e la scienza che non riesce a farsi capire

 |  Natura e biodiversità

Ha fatto scalpore  il servizio di Striscia la Notizia dedicato alle capre dell'isola di Palmaria, per le quali si sono spesi anche personaggi noti.

Per chi ancora non lo sapesse, a Palmaria la capra è stata introdotta dall'uomo; è quindi un animale alloctono per l'ecosistema isolano, che non avendo predatori esercita una forte pressione sulla flora locale e indirettamente sugli animali che da quelle piante dipendono. Palmaria è anche patrimonio UNESCO: se vi è stato errore umano nell'introdurre una specie che rischia di compromettere un patrimonio pubblico unico al mondo, è giusto che l'uomo si rimbocchi le maniche e rimedi al suo errore.

Le polemiche cominciano quando si parla di “come” rimediare: abbattimenti, catture e trasporto sul continente, adozioni… A fare queste valutazioni sono chiamati fior di professionisti, che mettono a frutto anni di studi e di esperienze sul campo. La migliore strategia viene scelta in base al rapporto tra costo (economico e logistico) e beneficio (rimozione), come qualunque altra scelta manageriale in qualunque altro settore. Non ha quindi senso logico sindacare su argomenti per i quali esistono già specialisti che elaborano al posto nostro, e che hanno le competenze necessarie per agire secondo il bene pubblico.

Quel che fa riflettere è come l’emotività pervada ormai ogni ganglio della nostra società industrializzata, anche quando servirebbe un ragionamento razionale e logico per gestire correttamente un patrimonio come quello ambientale.

Viviamo costantemente lontani dal mondo della natura (chi sa oggi cosa è il sovescio? O che cos'è un Tritone crestato?) ma siamo pronti a improvvisarci animalisti quando vediamo “minacciati" animali che suscitano in noi empatia perché film, cartoni animali e libri ce li presentano come meritevoli di affetto. Quanti si schiererebbero a favore di un cucciolo di volpe? Quanti a favore della Salamandrina dagli occhiali? Eppure proprio gli animali più "selvatici" e lontani dalla nostra iconografia edulcolorata, sono quelli che spesso fungono da nodo cardine negli ecosistemi in tutto il mondo: insetti, anfibi, rettili... Organismi che l’animalismo generalmente non prende in considerazione, proprio perché agisce spinto dall’onda emotiva e non dal ragionamento logico. La nostra immagine della natura è finta e plastificata come la società che l’ha prodotta.

Il professionista dell’ambiente dovrebbe quindi fungere da mediatore tra l’emotività della società di massa e la scienza logica della quale è portavoce (ecologia). Questo processo molto frequentemente fallisce, ed ogni volta acquistano credibilità personaggi che con il mondo professionale hanno poco o nulla a che vedere; vediamo quindi critici d’arte parlare di ecologia. Fermo restando che per il progresso qualunque contributo è sempre fondamentale, è evidente che nel campo ambientale più che altrove la credibilità dei professionisti viene ritenuta discutibile, a vantaggio di qualunque predicatore pronto a cavalcare l’onda emotiva.

La “tara” è secondo me da ricercare nella cronica incapacità del mondo scientifico di utilizzare i mezzi e le modalità di comunicazione tipiche del proprio tempo (oggi social network, Instagram, Snapchat, e via dicendo) a vantaggio di linguaggi e modi altamente specialistici, e quindi incomprensibili alla massa. Secoli fa era il latino, oggi è l’inglese tecnico-scientifico e la statistica. Fino a quanto non inizieremo seriamente ad utilizzare un linguaggio più semplice, diretto e accattivante per comunicare sulle tematiche ambientali, facendo ricorso a spot pubblicitari, GIF, MEME, campagne social virali, professionisti del marketing ben pagati, e tutto quello che la massa di oggi è abituata a usare, avremo sempre il giornalista di turno che ci farà lo sgambetto.

Proprio la Scienza, che si è sempre schierata a favore del cambiamento e dell’evoluzione, rischia ora di arenarsi su posizioni statiche ed elitaristiche.

di Andrea Vannini, biologo ambientale

Redazione Greenreport

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