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Piani nazionali di ripristino della natura: tra i Paesi Ue l’Italia è protagonista per «ritardi e inadeguatezze»

È quanto emerge dal report di «valutazione intermedia» curato da #RestoreNature riguardo il regolamento europeo Nature restoration in vigore dall’agosto del 2024. Dito puntato sul fatto che l’istituzione formale della struttura di governance del Piano da parte del governo Meloni «è avvenuta solo nell’ottobre 2025, ritardando non solo l’intero processo di redazione, ma soprattutto il coinvolgimento della comunità scientifica e delle parti interessate»
 |  Natura e biodiversità

La coalizione di ong ambientaliste #RestoreNature ha realizzato un report in cui vengono analizzati i progressi compiuti dagli Stati membri dell’Unione europea nella preparazione dei piani nazionali di ripristino della natura (National restoration plans, Nrp), che sono lo strumento chiave per l’attuazione della legge comunitaria sul ripristino della natura, la Nature restoration law, entrata in vigore ormai un anno e mezzo fa. Ogni Stato membro deve presentare una bozza di Nrp entro il 1° settembre 2026 e una versione definitiva entro settembre 2027, definendo le priorità di ripristino, le misure, i finanziamenti e la governance fino al 2050.

L’analisi realizzata dall’alleanza #RestoreNature, composta da BirdLife Europe, ClientEarth, Eeb e Wwf Eu, riguarda 23 Paesi Ue ed esamina se essi abbiano gettato le basi per piani di ripristino efficaci. La disamina dei progressi compiuti riguarda quattro aree essenziali per «Piani di ripristino credibili»: base scientifica (utilizzo delle migliori conoscenze e dati disponibili), ambizione (visione e portata), inclusività (partecipazione e trasparenza) ed empowerment (sostegno politico, coordinamento e risorse). Il report evidenzia che in linea generale molti governi si sono messi sulla strada giusta, mentre altri mostrano ritardi e debolezze. E l’Italia figura in questa lista di situazioni critiche.

Del resto, il rapporto del nostro Paese con la legge europea sul ripristino della natura è stato costantemente conflittuale: il governo Meloni ha portato l’Italia a votare contro, insieme a Ungheria, Polonia, Paesi Bassi, Finlandia e Svezia, e ha poi fatto buon viso a cattivo gioco quando il regolamento comunitario è entrato in vigore. Un primo segnale di quanto e come l’Italia si stia muovendo male su questo fronte è però arrivato la scorsa primavera, quando è stato diffuso il position paper realizzato dall’ASviS col titolo “La ‘Nature restoration law’: un’opportunità per l’Italia”, nel quale tra le altre cose emerge che nella Penisola il 42% degli ecosistemi è in cattivo stato. E ora è arrivato il report di «valutazione intermedia» curato #RestoreNature a confermare i nostri ritardi.

Come sottolinea l’European environmental bureau commentando l’analisi messa a punto dalla rete di ong ambientaliste, «diversi paesi dimostrano come può essere una buona preparazione dei piani nazionali di ripristino della natura. La Repubblica Ceca, la Germania, la Finlandia, la Francia, il Portogallo e la Spagna mostrano un uso più intenso delle prove scientifiche nei loro Nrp. Il Portogallo si distingue come l’unico paese che considera il proprio Nrp come un piano nazionale strategico che copre un’ampia gamma di ecosistemi, piuttosto che come un semplice esercizio di conformità, mentre anche la Croazia e la Germania mostrano una crescente ambizione. La Francia e la Germania dimostrano buone pratiche in materia di inclusività, mentre Finlandia, Irlanda, Spagna, Svezia e Repubblica Ceca mostrano progressi. Questi esempi dimostrano che Npr inclusivi, basati sulla scienza e ambiziosi sono alla portata di tutti, se i governi decidono di investire nel loro sviluppo. Nonostante questo slancio positivo, molti paesi sono ancora indietro e rimangono in una fase “insufficiente” o “preliminare” della preparazione dei Nrp. Le maggiori debolezze sono la mancanza di empowerment politico e di capacità; molti governi devono ancora assegnare il personale, i fondi o l’autorità necessari per massimizzare le opportunità offerte da questa legge innovativa».

Ed ecco quindi la parte dedicata all’Italia, che merita un’attenzione a sé. Le analisi condotte in questi mesi dai ricercatori della coalizione ambientalista #RestoreNature danno come conclusione, in sintesi, quel che segue: «La valutazione intermedia rivela progressi molto limitati e indica che le autorità nazionali devono accelerare il processo di elaborazione e iniziare a condividere le informazioni sullo sviluppo del piano nazionale di ripristino della natura con il pubblico e tutte le parti interessate. La mancanza di trasparenza riguardo allo sviluppo del Piano ostacola la fiducia nella capacità dell’Italia di rispettare la scadenza per l’elaborazione con un piano completo, inclusivo e ambizioso».

In particolare, tra le cose «da migliorare» viene segnalato che «sebbene siano state presentate alcune richieste (in particolare da parte dell’Ispra) di dati e informazioni agli enti pubblici e di ricerca, la raccolta di dati sulla situazione attuale, sui progetti di bonifica esistenti e sulle esigenze individuate deve ancora essere effettuata in modo sistematico».

Alla voce «ritardi e inadeguatezze» si legge invece che «l’istituzione formale della struttura di governance del Piano è avvenuta solo nell’ottobre 2025, ritardando non solo l’intero processo di redazione, ma soprattutto il coinvolgimento della comunità scientifica e delle parti interessate». E poi: «Il ministero dell’Ambiente ha recentemente (novembre 2025) iniziato a pubblicare alcune informazioni sulla governance del Piano nazionale di ripristino; tuttavia, al momento non sono disponibili dettagli sui progressi sostanziali o sul contenuto del Piano».

Tra le raccomandazioni riservate all’Italia c’è la necessità di «avviare discussioni tecniche con la comunità scientifica e garantire che i risultati siano resi pubblicamente disponibili», quella di «garantire il coordinamento interministeriale e rafforzare la cooperazione tra Mase, Masaf e autorità regionali per allineare le politiche, condividere i dati ed evitare sovrapposizioni o incongruenze nell'attuazione», quella di «istituire un sistema trasparente di monitoraggio e rendicontazione e creare una piattaforma online accessibile in cui i progressi, le tappe fondamentali e i dati relativi alle attività di ripristino siano regolarmente aggiornati e resi disponibili al pubblico». Viene inoltre raccomandato di migliorare i meccanismi di partecipazione delle parti interessate: «Istituire processi di consultazione formali che coinvolgano le autorità locali, le ong, i proprietari terrieri, gli agricoltori e gli istituti di ricerca». E di promuovere campagne di comunicazione e sensibilizzazione: «Aumentare la comprensione da parte del pubblico dei benefici ecologici, sociali ed economici del ripristino della natura attraverso iniziative di sensibilizzazione e formazione».

La coalizione #RestoreNature afferma: «I piani nazionali di ripristino sono già in corso in tutta Europa, con diversi precursori che dimostrano ciò che è possibile realizzare. Gli altri devono recuperare rapidamente. I recenti dibattiti politici sulla riapertura della legge sono una distrazione; la vera prova è se i governi presenteranno piani ambiziosi, ben sostenuti e dotati di risorse o se si limiteranno a spuntare delle caselle. La legge sul ripristino della natura offre all’Europa una chiara via d’uscita dal collasso della natura verso la resilienza, e un’attuazione poco convinta non è un’opzione praticabile». Frasi messe nero su bianco guardando al quadro generale dell’Ue, ma che per l’Italia hanno un valore ancor più stringente.

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.