Corsa all’oro rosso: Greenpeace denuncia l’assenza di regole sugli impianti di ingrasso del tonno in Italia
Dopo anni di declino, la popolazione di tonno rosso nel Mediterraneo mostra segni di ripresa. Ma questa notizia positiva rischia di trasformarsi in un nuovo pericolo: in Italia, la crescente disponibilità della specie e i fondi europei destinati alla pesca e all’acquacoltura stanno incentivando la diffusione degli impianti di ingrasso intensivo, in un contesto privo di regole ambientali e trasparenza.
Secondo l’indagine dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, contenuta nel report Caccia all'oro rosso, la ripresa del settore avviene in un vuoto normativo preoccupante, dove mancano regole ambientali, criteri per il benessere animale e norme per la gestione sostenibile degli impianti. Il rischio, secondo l’organizzazione, è quello di tornare a una situazione critica per la popolazione di tonno rosso, con conseguenze potenzialmente disastrose per l’equilibrio degli ecosistemi marini.
«Grazie alle campagne delle associazioni ambientaliste e ai limiti sulla pesca introdotti a livello internazionale, oggi la popolazione di tonno rosso è tornata ad essere a rischio minimo dopo aver sfiorato l’estinzione» – dichiara Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia – «Tuttavia, questi risultati rischiano di essere vanificati senza regole chiare per la gestione di questa preziosa risorsa ittica, che garantiscano trasparenza e sostenibilità. Il pericolo di un collasso della specie e di danni agli ecosistemi è dietro l’angolo».
L’indagine svela anche opacità nei dati relativi agli impianti di ingrasso italiani, ufficialmente registrati nel database della Commissione internazionale per la conservazione dei tonni atlantici (Iccat). Su 13 impianti presenti nel database, solo 3 hanno coordinate geografiche fornite, e solo per 6 strutture è indicata la capacità produttiva.
Particolarmente ambigua risulta la situazione dei quattro impianti con maggiore capacità dichiarata – pari a 7525 tonnellate, ovvero l’80% del tonno allevato in Italia – indicati come “di proprietà” del Ministero dell’Agricoltura. Alla richiesta di chiarimenti da parte di Greenpeace, il Ministero ha dichiarato che questi impianti «non risultano operativi».
«Sembrerebbe che l’Italia stia utilizzando il database dell’Iccat non come strumento per monitorare la capacità produttiva italiana, ma come un sistema di prenotazione per avallare future capacità di ingrasso, in modo da poterle poi attribuire a eventuali impianti di nuova costruzione» – spiega ancora Giannì – «Un meccanismo del genere è ovviamente contrario alle finalità dell’Iccat, e fa sospettare che il Ministero stia dando seguito a richieste da parte del mondo produttivo».
Non mancano i segnali di un’intensa attività economica attorno a questa filiera. La FedAgriPesca ha rilanciato da tempo la proposta di una nuova «rotta italiana del tonno rosso», e alla fine del 2024 è stata concessa l’autorizzazione per un nuovo impianto a Battipaglia, in provincia di Salerno.
L'autorizzazione è andata alla società Tuna Sud, una realtà che, secondo l’indagine, non risulta avere dipendenti né fatturato, e che ha ottenuto il via libera senza una Valutazione di impatto ambientale.
Greenpeace denuncia l’assenza di trasparenza nella gestione dei finanziamenti pubblici destinati all’acquacoltura, esponendo il sistema al rischio di frodi e irregolarità. Chiede pertanto l’introduzione urgente di regole chiare, trasparenti e condivise per evitare che pochi soggetti privi di scrupoli possano approfittare dei fondi pubblici a scapito dell’ambiente marino e della sopravvivenza della specie.