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I gestori del servizio idrico italiano stanno cambiando pelle, per far fronte alla doppia crisi climatica e demografica. Per il 91% si tratta di aziende a totale o prevalente controllo pubblico, raddoppiati gli investimenti nell’ultimo decennio

 |  Editoriale

Una tempesta perfetta sul settore idrico. Da un lato i cambiamenti climatici impattano in tempi più rapidi del previsto sui territori (siccità, alluvioni) acuendo un fenomeno di “scarsità idrica” a livello nazionale e soprattutto regionale, con conseguenze drammatiche anche sul servizio idrico integrato. Dall’altro le nuove regole europee su Acque potabili, Acque reflue, Riuso e in generale Green deal, che dettano nuovi target importanti nei prossimi anni e determinano quindi investimenti aggiuntivi stimati in alcuni miliardi di euro.

I megatrend cui il settore è interessato sono di due tipi: uno demografico, con una previsione di riduzione sostanziale della popolazione nei prossimi 20 anni, quindi una probabile riduzione dei consumi, ma anche una minore capacità di gettito tariffario, per infrastrutture che rappresentano sostanzialmente “costi fissi”. L’altro di tipo climatico, con la previsione di un costante aumento della temperatura media, ed i conseguenti effetti sia sulla domanda idrica (consumi in tutti i settori) che sull’offerta (siccità, alluvioni).

Nel complesso il Paese è chiamato ad affrontare una sfida nuova e gigantesca, in un quadro di risorse scarse e di livelli tariffari cresciuti molto negli ultimi 15 anni anche se ancora distanti dai valori europei.

Per questo la nuova edizione del Blue book, elaborato dalla Fondazione Utilitatis e promosso da Utilitalia, dedica una grande attenzione allo stato di salute dell’industria idrica nazionale e dalla governance di settore. Se nel 1994 la Legge Galli puntava ad un riassetto industriale nuovo per fare le infrastrutture necessarie in un paese moderno, oggi, a trenta anni di distanza, serve una nuova rivoluzione organizzativa e gestionale per affrontare le nuove sfide.

Il bilancio a livello nazionale dell’assetto industriale e di governance è solo parzialmente positivo. Solo il 54% della popolazione oggi è servita da un “gestore unico” che corrisponde all’Ambito territoriale individuato dalle leggi regionali, in particolare nel centro Italia. Sono ancora molto diffusi (specie nel nord Italia) affidamenti in “plurigestione” (più operatori in uno stesso Ambito), con livelli quindi di frammentazione ancora elevati. Poche le zone in cui le procedure di affidamento al gestore unico sono state definite ma il percorso non si è ancora concluso.  

Restano poi molte (troppe) gestioni in economia (per tutto il servizio idrico o per parti di esso), che riguardano 1.368 comuni e circa 7 milioni di abitanti (12% del totale). Un fenomeno in costante diminuzione negli ultimi anni (erano circa 2.100 i comuni in economia del 2016), ma ancora una quota molto elevata, con standard di qualità e livello di investimenti molto inferiori a quelli delle gestioni industriali.

Mentre quindi il percorso avviato 30 anni fa non si è ancora completato, nelle zone che applicarono tempestivamente la nuova regolamentazione, gli affidamenti di allora stanno scadendo: 22 affidamenti sui 134 esistenti scadranno infatti entro il prossimo anno, per circa 7,7 milioni di abitanti.

Il Rapporto ci dice anche di che tipo sono le gestioni del servizio idrico integrato attive. Il 60% della popolazione è servita da gestori “in house” (come Smat Torino, Abbanoa Sardegna, Abc Napoli, Acquedotto Pugliese, Gaia), il 19% è servito da società quotate in Borsa (Hera, Iren, Acea, A2a), il 16% è servito da società miste non quotate (come Publiacqua, Acque, Nuove acque, Asa, Acquedotto del Fiora, Umbria Acque). Il 5% degli abitanti sono serviti da concessioni a terzi o appalti a privati, selezionati con gara. Un quadro che sottolinea come il 91% delle gestioni è composto da aziende a totale o a prevalente controllo pubblico, con un fenomeno di “privatizzazione” sostanziale limitato a meno del 10% della popolazione.

Pur in un quadro gestionale e organizzativo frammentato sia per copertura territoriale che per tipologia di aziende, l’industria dell’acqua italiana ha dimensioni importanti. Il fatturato globale dei gestori del servizio idrico integrato censito dal Blue Book è pari a 8,9 miliardi di euro, riferito al campione di aziende utilizzato. Se si espande questo dato all’universo dei gestori si supera la soglia dei 10 miliardi di euro (0,5% del Pil italiano). Il valore aggiunto diretto del settore ha superato gli 11 miliardi di euro, con una crescita del 5,5% rispetto al 2015. Considerando l’indotto e le subforniture, il settore idrico genera un valore aggiunto complessivo di oltre 30 miliardi di euro. Oltre 250.000 gli addetti del settore.

Le performance gestionali sono in media positive, con dati migliori nelle gestioni medio grandi. La spesa di un utente medio (famiglia che consuma 150 metri cubi di acqua all’anno) nel 2024 è stata pari a 384 euro, con valori diversi nelle diverse aree del Paese, legati di solito al valore degli investimenti realizzati dal gestore.

I gestori del servizio idrico hanno avuto corrispettivi regolati in costante aumento dal 2014 ad oggi (+40% in dieci anni, il 4 % l’anno), negli ultimi anni particolarmente assorbiti dall’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia.

Nel medesimo periodo di tempo, i gestori hanno fatto registrare un sostanziale raddoppio degli investimenti procapite realizzati, che sono passati da 38 euro nel 2015 ad un valore di 80 euro ad abitante stimato per il 2025. Dal 2012 ad oggi gli investimenti sono aumentati del 99%. Investimenti che sono stati indirizzati verso la riduzione delle perdite, il miglioramento della depurazione e l’adeguamento del sistema fognario, anche per far fronte alle procedure di infrazione europee. Gli investimenti negli ultimi anni hanno anche risentito di una rilevante iniezione di finanza pubblica, grazie al Piano nazionale per gli interventi infrastrutturali (Pniissi) e ai nuovi strumenti europei (Pnrr/ReActEu).

In sintesi, ci attende un futuro fatto di crisi demografica e climatica, nuove previsioni regolatorie e quindi nuovi servizi e investimenti che avranno dimensioni importanti. La struttura industriale e di governance che ha fatto grandi passi avanti in questi ultimi 20 anni, è chiamata ad un altro importante cambio di pelle. Una sfida gigantesca.

Andrea Sbandati

Andrea Sbandati è senior advisor di Confservizi Cispel Toscana (l’Associazione regionale delle imprese di servizio pubblico), dopo esserne stato Direttore fino a novembre 2024. È esperto senior nella regolazione economica della gestione dei rifiuti urbani e dei servizi idrici (sistemi tariffari, piani industriali, benchmark), come nella organizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, energia, altro). Ricercatore senior nel campo della gestione dei rifiuti e dell'acqua, docente in Master di specializzazione nella regolazione economica dei servizi ambientali locali (Sant'Anna, Turin school of regulation). Da venti anni coordinatore ed esperto di progetti di assistenza tecnica e cooperazione internazionale nei servizi pubblici locali (Medio Oriente, Africa, Sud America).