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La lezione dimenticata della riduzione del “buco dell’ozono”. 40 anni fa la scoperta e il bando globale ai letali gas CFC. Perché oggi il mondo contro il climate change resta paralizzato da negazionisti, follie trumpiane, boicottaggi di ogni accordo?

 |  Editoriale

Era il 1974 quando Frank Sherwood Rowland, lo scrupoloso docente di chimica dell’Università della California, e il suo assistente Mario Molina, ebbero la certezza di un disastro planetario in vista per gli effetti letali dello spietato assottigliamento dello strato di ozono sull’Antartide. Le loro ricerche erano giunte alla temibile conclusione della quasi irreversibilità dei danni per noi viventi prodotti dall’assenza di protezione dai raggi ultravioletti provenienti dal sole: ustioni, tumori della pelle, conseguenze per la salute dall’alterazione del sistema immunitario, l’invecchiamento cutaneo, la vista. Il “buco dell’ozono” era un sorvegliato speciale fin dagli anni '50, e fino ad allora nessuna osservazione scientifica aveva lanciato alert significativi. Le loro rilevazioni, pubblicate sulla rivista Nature, indicavano le prime drammatiche certezze sui micidiali effetti dell’assottigliamento dello strato protettivo di ozono indicando come causa le emissioni gassose di clorofluorocarburi. I gas CFC, sostanze chimiche artificiali utilizzate ovunque e vendute a tutto spiano con il brand commerciale di “Freon”, come refrigeranti per il funzionamento di frigoriferi e condizionatori, come solventi e propellenti per aerosol per bombolette spray, come agenti porofori nella preparazione di materie plastiche espanse e refrigeranti. Erano prodotti di uso comune ma dagli effetti clamorosi ignorati. Ma il rilascio di cloro, bromo e fluoro in atmosfera, raggiunta la stratosfera e scomposti dalla radiazione solare, libera atomi di cloro che reagiscono con le molecole di ozono distruggendole e riducendo la capacità dello strato di ozono di assorbire i dannosi raggi ultravioletti UV del sole.

Il mondo di allora, come fa il nostro mondo oggi, poteva cullarsi nell’illusione della sopravvivenza e del chissenefrega del futuro. Invece, fortunatamente non è andata così.

Arrivarono altre ricerche con certezze sui rischi letali e, nel fortunato primo gennaio del 1985, nei laboratori del British Antarctic Survey il team di scienziati britannici guidato da Joseph Farman con Brian Gardiner e Jonathan Shanklin, l’equipe specializzate nelle prime ricerche scientifiche polari sugli effetti dei cambiamenti climatici con il “Natural Environment Research Council”, analizzando lo stato dei ghiacciai e degli ecosistemi fecero un altro passo in avanti rilevando i dati dell’ozono atmosferico sull’Antartide dalle stazioni scientifiche permanenti sui quei ghiacciai come Rothera, Halley VI e Signy. E anche quelle loro scoperte fecero il giro del mondo confermando il costante assottigliamento dello strato di ozono e i pericoli del fatale “buco” per gli esseri viventi, e in particolare per noi umani.

Alle stesse conclusioni giunsero poi anche i ricercatori dell’ESA e della NASA, di altre università e centri di ricerca con nuove drammatiche analisi dell’inesorabile assottigliamento sopra le regioni polari. In ogni primavera, nell’Emisfero Australe si spalancava un “buco” nello strato di ozono mai osservato in precedenza al punto che, nelle fasi iniziali delle osservazioni, diversi scienziati pensarono a problemi dei loro strumenti. Invece indicavano concentrazioni di ozono ormai crollate sotto la soglia storica di 220 Unità Dobson. E i due scienziati Frank Sherwood Rowland e Mario Molina che, insieme a Paul Crutzen, furono insigniti nel 1995 del premio Nobel per la chimica, chiarirono che i meccanismi di distruzione dell’ozono stratosferico avevano una causa tutta umana. Era nell’uso e abuso di quei clorofluorocarburi-killer che, dal 1985 in poi, venivano indicati in ogni ricerca scientifica con l’inesorabile certezza che ampie aree della Terra rischiavano di restare prive dello schermo protettivo dell’ozono. Anche la NASA dimostrò con dati satellitari l’evoluzione del “buco” dell’ozono in rapida espansione dal 1979 e negli anni ’80 e ’90 raggiungendo dimensioni superiori a 25 milioni di km².

Il mondo ne fu terrorizzato e i capi dei governi pressati da scienziati, media e associazioni decisero di reagire. A differenza di quanto sta accadendo da almeno quarant’anni per gli effetti del riscaldamento globale minimizzato dal negazionismo dilagante e anche istituzionale, da bugie e boicottaggi, con il rifiuto e l’incapacità reiterata e diffusa di una qualche reazione di fronte a chiarissimi e accertatissimi danni e rischi soprattutto nelle aree più povere e disperate del Pianeta, allora si mosse l’Onu con decisione. Venne promossa la stesura di un Protocollo globale firmato a Montreal da 197 Paesi nel 1987 sottoforma di un accordo di politiche internazionali senza precedenti. Tutti gli Stati si impegnarono a proteggere lo strato di ozono terrestre, e a ridurre e progressivamente ad eliminare totalmente ogni produzione di sostanze Ozone-Depleting Substances, vietando l’uso e la vendita di clorofluorocarburi (CFC), halon e altre sostanze tossiche per l’atmosfera. Il Protocollo, nonostante tentativi di sabotaggio, entrò in vigore il 1° gennaio del 1989 ed è rimasto come uno degli accordi internazionali di maggior successo. È stato anzi aggiornato più volte e, nel 2016, il “Kigali Amendment” incluse anche la riduzione degli idrofluorocarburi HFC, altri devastanti gas serra. Le aziende iniziarono a investire in ricerca per la transizione verso sostanze non impattanti persino guadagnando in produttività e competitività. E l’impatto è stato positivo per tutti.

Se il 2000 fu l’anno in cui il “buco” dell’ozono raggiunse la sua estensione record, è da allora che finalmente cominciò a ridursi come prevedevano le analisi inserite nel “Protocollo di Montreal” e le proiezioni di istituti di ricerca come il “Massachusetts Institute of Technology”, fino a segnare il traguardo raggiunto oggi. Gli impegni presi dagli Stati, insomma, hanno rimesso il Pianeta sulla giusta strada, e il “buco dell'ozono” sopra l'Antartide si è ridotto in linea con la riduzione delle emissioni di clorofluorocarburi e con la ricostituzione del filtro protettivo. Grazie alle innovazioni di prodotto e all’eliminazione dei gas-killer quella

La lezione conferma che se e quando le governance del Pianeta si danno una mossa, gli effetti si vedono, e valgono un sospirone di sollievo per l’intera umanità. Le politiche di difesa globali contro la dispersione nell’ambiente di clorofluorocarburi progressivamente messi fuorilegge hanno evitato milioni di patologie mortali. Oggi siamo più protetti, e gli ultimi dati raccolti dai ricercatori da Copernicus al Massachussetts Institute of Technology con l’innovativo metodo di «fingerprinting» utilizzato per studi sul cambiamento climatico per distinguere gli effetti antropogenici dalla naturale variabilità meteorologica attraverso simulazioni atmosferiche e analisi satellitari, tracciano un’impronta del recupero dell’ozono come tendenza e dal 2035 non dovrebbero esserci più impoverimenti stagionali dell’ozono antartico, segnando la definitiva chiusura del buco.

Che differenza abissale con la questione climatica aperta almeno da quattro decenni ma sempre appesa agli umori dei Trump di turno di ogni Stato che negano la realtà nonostante una concentrazione media di anidride carbonica - la CO2 - che batte ogni record precedente, inondando l’atmosfera di concentrazioni di gas ad effetto serra in overdose. In un contesto geopolitico segnato da conflitti armati e grandi incertezze e fallimenti nell'agenda diplomatica globale, emergono i vergognosi flop annuali di ogni Conferenza delle Parti dal dopo 2015, l’anno della firma del primo accordo sul clima oggi boicottato con la seconda uscita degli Usa di Trump dal quadro degli impegni.

La grande lezione della battaglia a difesa dello strato di ozono indica però che solo insieme, e solo adottando misure e comportamenti responsabili, è possibile invertire le sorti di una partita globale che oggi appare largamente compromessa. Servirebbero la convinzione e le la mobilitazione di scienziati, politici, economisti, industriali, giornalisti e cittadini per spingere il mondo verso un accordo in tempi storici e non biologici per ridurre i gas serra responsabili dell’aumento delle temperature. Come contro i CFC, è assolutamente possibile sostituire i fossili con tecnologie rinnovabili e non impattanti per riuscire a contenere la temperatura globale - fallito ormai l’obiettivo del limite a più 1,5 gradi - almeno entro i 2 gradi a fine secolo.

È una reazione alla portata dell’Umanità. A oltre 4 decenni dal primo Earth Summit di Rio de Janeiro, in un tempo infinito il mondo ha inutilmente inseguito un accordo. Oggi quei 195 Stati che presero impegni vincolanti contro i gas serra nella Cop21 di Parigi nel 2015 considerando quell'accordo «efficace, equilibrato, durevole e vincolante», hanno il dovere di crederci e di far seguire finalmente i fatti.

Erasmo D'Angelis

Erasmo D’Angelis, giornalista - Rai Radio3, inviato de il Manifesto e direttore de l’Unità -, divulgatore ambientale e autore di libri, guide e reportage, tra i maggiori esperti di acque, infrastrutture idriche, protezione civile. Già Segretario Generale Autorità di bacino Italia Centrale, coordinatore per i governi Renzi e Gentiloni della Struttura di Missione “italiasicura” contro il dissesto idrogeologico, Sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti del governo Letta, Presidente di Publiacqua e per due legislature consigliere regionale in Toscana. È Presidente della Fondazione Earth Water Agenda, tra i promotori di Earth Technology Expo e della candidatura dell’Italia al World Water Forum.