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È il proibizionismo solare che minaccia l’agricoltura di qualità, non i pannelli fotovoltaici. In un mercato liberalizzato gli imprenditori energetici non tenterebbero gli agricoltori a dismettere i terreni più produttivi, darebbero opportunità agli altri

 |  Editoriale

In un’epoca in cui l’abbandono dei combustibili fossili rappresenta una priorità ineludibile, i parchi solari a terra emergono come una soluzione strategica per coniugare sostenibilità ambientale, progresso economico e giustizia sociale. Tuttavia, l’opinione pubblica italiana guarda ancora con scetticismo a questa tecnologia, spesso associandola a un presunto “consumo di suolo” e a impatti negativi sull’agricoltura e sulla biodiversità.

Questo scetticismo, come evidenziano le analisi scientifiche, è in gran parte infondato. Lungi dall’essere una minaccia, i parchi solari a terra, se progettati con cura e regolati con lungimiranza, offrono opportunità straordinarie per il Paese: dalla lotta al cambiamento climatico al rilancio delle aree rurali marginali, dal miglioramento della biodiversità alla riduzione dei costi energetici.

Un allarme infondato: il mito del consumo di suolo

Uno dei principali fraintendimenti che circondano i parchi solari a terra riguarda il loro presunto impatto sul suolo. Molti temono che questi impianti sottraggano terreni preziosi all’agricoltura o ne compromettano la fertilità attraverso l’impermeabilizzazione.

In realtà, il solare a terra non comporta un “consumo di suolo” nel senso comune del termine, ovvero la cementificazione di difficile reversibilità del terreno. Gli impianti solari utilizzano il suolo in modo temporaneo e reversibile, senza necessariamente comprometterne la qualità rispetto ad altri usi antropici, come l’agricoltura intensiva o l’urbanizzazione. La reversibilità degli impianti solari è assicurata dal fatto che il valore di rivendita dei materiali a fine vita, quasi tutti riciclabili, è maggiore del costo di smantellamento.

Per comprendere la portata reale di questi impatti, basti considerare i numeri. Gli scenari di decarbonizzazione al 2050, che ottimizzano l’uso delle rinnovabili, indicano che il solare a terra richiederebbe tra i 180.000 e i 240.000 ettari, pari a solo lo 0,6-0,8% della superficie nazionale.

In un Paese dove circa 1 milione di ettari di terreni agricoli giacciono inutilizzati, a cui si aggiungono vasti appezzamenti demaniali in stato di abbandono nelle aree interne, è evidente che lo spazio necessario per i parchi solari è ampiamente disponibile. Secondo lo scenario Terna-Snam, il 27% della superficie nazionale potrebbe essere compatibile con il solare a terra, una disponibilità 38 volte superiore al fabbisogno stimato, che consentirebbe di installare fino a 6.940 GW di fotovoltaico, contro i 150-200 GW necessari al 2050.

Questi dati smentiscono categoricamente l’idea di una competizione tra energia solare e altri usi del suolo.

Nessun conflitto tra cibo ed energia, semmai sinergia

Un altro timore diffuso è che i parchi solari possano entrare in conflitto con la produzione alimentare, minacciando la sicurezza agricola del Paese. Questo rischio, tuttavia, è privo di fondamento. Non solo la superficie necessaria per il solare a terra è una frazione minima rispetto ai terreni disponibili, ma un’accurata progettazione degli impianti può addirittura migliorare le rese agricole nelle aree circostanti. A differenza di altre fonti rinnovabili, come la biomassa, che richiede superfici enormi e compete direttamente con l’agricoltura, il fotovoltaico è due ordini di grandezza più efficiente in termini di suolo utilizzato per unità di energia prodotta.

L’attuale proibizionismo sul solare a terra, con i suoi veti generalizzati, genera però un effetto perverso. Le restrizioni aumentano la pressione economica sugli imprenditori del settore, che offrono canoni sempre più alti agli agricoltori per convertire terreni, talvolta anche di pregio. Questo fenomeno non è una conseguenza intrinseca del solare a terra, ma piuttosto delle politiche restrittive che ne limitano lo sviluppo.

Una liberalizzazione regolata, accompagnata da norme che favoriscano l’uso di terreni marginali o abbandonati, ridurrebbe drasticamente queste pressioni economiche. I canoni solari, in un mercato liberalizzato, non sarebbero competitivi con le colture di alto valore, ma rappresenterebbero un’opportunità per i terreni meno produttivi.

In questo modo, il solare a terra potrebbe diventare un volano per l’agricoltura nelle aree interne, contrastando lo spopolamento e garantendo un reddito aggiuntivo agli agricoltori, senza compromettere la produzione alimentare, anzi migliorandola per gli effetti benefici sugli impollinatori.

Biodiversità: da minaccia a opportunità

L’impatto dei parchi solari sulla biodiversità è un altro aspetto spesso mal compreso. Lontano dall’essere una minaccia, un approccio progettuale olistico può trasformare questi impianti in veri e propri alleati della natura. L’Unione Europea, nella sua strategia per la biodiversità al 2030, riconosce i “parchi solari con una copertura del suolo rispettosa della biodiversità” come soluzioni a somma positiva, capaci di coniugare produzione energetica e tutela ambientale.

Attraverso l’eco-progettazione, i parchi solari possono diventare “infrastrutture verdi”, offrendo benefici non solo energetici, ma anche ecologici e sociali.

Le aree libere tra i pannelli, se gestite con cura, possono ospitare habitat per impollinatori, aree umide o giardini eco-didattici, contribuendo a una rete di conservazione che collega terreni agricoli, aree naturali e contesti urbani.

L'eco-progettazione dei parchi solari trasforma quella che altrimenti è una voce di costo, il diserbo per evitare vegetazione invasiva sui pannelli e rischi incendi, in un investimento per servizi ecosistemici.

Ad esempio, la piantumazione di siepi lungo i perimetri dei parchi solari può favorire la biodiversità, offrendo rifugio a insetti e avifauna, particolarmente se si ha cura di scegliere una combinazione di varietà per offrire fioritura cadenzata, e di lasciare dei passaggi per piccoli mammiferi. Un parco solare da 10 MW, che occupa circa 12,2 ettari, potrebbe piantumare sul suo perimetro almeno 1,4 km di siepi, e l’installazione di 200 GW di fotovoltaico genererebbe più di 28.000 km di queste infrastrutture verdi, da sole ampiamente sufficienti a compensare i limitati impatti antropici degli impianti.

Inoltre, la creazione di laghetti o zone umide all’interno dei parchi può regolare il rischio idrogeologico, fornire rifugio per anfibi e abbeveramento per uccelli e piccoli mammiferi, mitigare l’effetto isola di calore e incrementare la produttività energetica, allineando gli obiettivi ambientali con quelli economici.

Attualmente, meno del 3% delle campagne italiane è dedicato alla biodiversità (siepi e boschetti, fasce inerbite, canali erbosi e zone umide, si veda questo rapporto del WWF)], un livello ben al di sotto dell’obiettivo nazionale di almeno il 10% indicato dalla Strategia Nazionale della Biodiversità. Anche ipotizzando che tutti i parchi solari fossero realizzati su terreni agricoli, il loro contributo alla biodiversità sarebbe solo una parte della soluzione necessaria per colmare questo divario di almeno 875.000 ettari (su una superfice agricola utile di 12,5 milioni di ettari).

Tutte queste attività di piantumazione e cura del territorio non sarebbero altrimenti possibili se non ci fosse un ricavo economico che le possa sostenere.

L’attività di impresa solare è pertanto allineabile con il tanto necessario obiettivo dell’aumento della biodiversità nelle aree agricole e con il presidio di territori marginali altrimenti destinati a subire i dissesti indotti dal cambiamento climatico.

Il proibizionismo solare, al contrario, ostacola il raggiungimento di questi obiettivi ecologici, privando il Paese di un’opportunità unica per integrare energia pulita e tutela della natura.

Gestire il rischio idrogeologico

Un ulteriore aspetto che solleva preoccupazioni è il potenziale impatto dei parchi solari sul rischio idrogeologico. Tuttavia, questo rischio è facilmente evitabile attraverso norme di buona progettazione che minimizzino l’impermeabilizzazione del suolo.

È importante notare che l’impermeabilizzazione non è solo evitabile, ma anche svantaggiosa per gli stessi impianti solari. La cementificazione crea l’effetto isola di calore, aumentando le temperature intorno ai pannelli e riducendone la produttività. Di conseguenza, i progettisti hanno un interesse intrinseco a preservare la permeabilità del suolo, utilizzando soluzioni come fondazioni a vite o strutture leggere che non compromettono il terreno.

Queste pratiche non richiedono regolamentazioni complesse, ma semplicemente l’adozione di standard tecnici consolidati, che allineano la sostenibilità ambientale con l’efficienza energetica.

La superiorità produttiva del solare a terra

Un elemento cruciale che distingue il solare a terra da quello su tetti è la sua maggiore produttività. Gli impianti a terra generano dal 25% al 150% di energia in più a parità di area di pannelli, grazie a una serie di vantaggi tecnici.

In primo luogo, i pannelli a terra possono essere orientati in modo ottimale, a differenza delle falde dei tetti, spesso vincolate da orientamenti non ideali (che in Italia è il sud con un’inclinazione di circa 35°).

In secondo luogo, gli impianti a terra beneficiano di un orizzonte libero da ombreggiamenti più facilmente di quelli posti in un contesto urbano. Inoltre, la scala maggiore degli impianti a terra consente ottimizzazioni, come l’uso di inverter più efficienti, e l’adozione di innovazioni, come i moduli bifacciali, che catturano energia anche dal retro, o i sistemi a inseguimento solare, che aumentano la captazione del 20% seguendo il movimento relativo del sole.

Gli impianti su tetti, al contrario, soffrono di limitazioni strutturali e ambientali. La ventilazione ridotta e l’effetto isola di calore delle aree urbane aumentano la temperatura dei pannelli, riducendone l’efficienza.

Questi fattori, combinati con la minore flessibilità progettuale, rendono il solare su tetti meno competitivo in termini di resa energetica.

Questa differenza di produttività ha implicazioni non solo per la quantità di energia prodotta, ma anche per l’efficienza complessiva del sistema energetico, riducendo la necessità di infrastrutture di accumulo e i relativi costi come descritto nella sezione seguente.

Minore necessità di accumuli: un vantaggio sistemico

Per comprendere appieno i benefici del solare a terra, è utile confrontare due scenari estremi: uno in cui il solare a terra e l’eolico sono consentiti, e un altro in cui la produzione è limitata al fotovoltaico su tetti (Moccia, 2024). A parità di energia servita agli utenti, lo scenario basato solo sui tetti richiede il 70% in più di produzione primaria, a causa della minore disponibilità oraria del solare su coperture. Questa minore efficienza si traduce in un maggiore ricorso agli accumuli, con perdite energetiche significative nei cicli di carica e scarica, soprattutto per gli accumuli stagionali, che sono i meno efficienti.

L’impatto di questa differenza è drammatico. Nello scenario basato sui tetti, le potenze di generazione più che raddoppiano, gli accumuli di breve e medio termine aumentano di più del 30%, e quelli di lungo termine, i più dissipativi, crescono di quasi dieci volte.

Al contrario, il solare a terra, grazie alla sua maggiore produttività e alla complementarità con l’eolico, minimizza la necessità di accumuli, riducendo i costi e l’impatto ambientale delle infrastrutture energetiche di almeno un fattore due. Questo vantaggio sistemico si riflette in bollette più basse per i consumatori e in una transizione ecologica più rapida ed efficiente.

Conseguenze del proibizionismo solare

Le attuali restrizioni al solare a terra non solo limitano i benefici descritti, ma generano una serie di effetti negativi a cascata. L’aumento dei costi di produzione elettrica, dovuto alla dipendenza da soluzioni meno efficienti come il solare su tetti, alimenta la povertà energetica, rendendo l’energia meno accessibile per famiglie e imprese. Inoltre, un’energia più costosa accelera la deindustrializzazione, con la perdita di posti di lavoro e il depauperamento del tessuto produttivo del Paese. Infine, il rallentamento dell’elettrificazione dei trasporti e degli usi termici prolunga la dipendenza dai combustibili fossili, compromettendo gli obiettivi di decarbonizzazione.

Un futuro di opportunità

I parchi solari a terra non sono una minaccia, ma un’opportunità per l’Italia. Con una progettazione ecologica e una regolamentazione intelligente, possono diventare un pilastro della decarbonizzazione, migliorando la biodiversità, sostenendo l’agricoltura anche nelle aree interne e riducendo i costi energetici. Superare il proibizionismo solare è essenziale per evitare le conseguenze economiche e ambientali di un sistema energetico inefficiente. Immaginiamo un Paese in cui i parchi solari non solo producono energia pulita, ma ospitano habitat rigogliosi, favoriscono l’agricoltura locale e rivitalizzano le comunità rurali. Questo futuro è alla nostra portata.

Per approfondimenti si rimanda a questo pdf, che riporta – oltre ad un sommario – delle schede divulgative e bibliografia aggiuntiva.

Luigi Moccia

Luigi Moccia è Primo Ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche dove si occupa di ottimizzazione di processi logistici, trasporto pubblico e sistemi energetici. Ha iniziato a interessarsi alle energie rinnovabili durante gli studi di ingegneria e con una tesi sulla promozione del solare termico presso l'ENEA, dove poi è stato borsista nell'unità Reti Energetiche Urbane. Divulgazione e note personali su: Substack, Bluesky