Su tutela dell’ambiente, inquinamento e taglio delle emissioni di gas serra il Parlamento europeo ha toccato il punto più basso di credibilità: Green deal fatto a pezzi e politiche sul clima messe ora in mano ai negazionisti climatici
Ursula von der Leyen ha toccato il punto più basso di consensi all’interno del Parlamento europeo. Ma la cosa più preoccupante è un’altra. Ed è che lo stesso Parlamento europeo ha toccato il punto più basso di credibilità. E non in una sola giornata, bensì nel corso di talmente tante sedute che ormai si fatica a tenere il conto.
Ieri, a Strasburgo, a confermare il proprio sostegno alla presidente della Commissione Ue votando contro la mozione di sfiducia presentata dagli europarlamentari di destra sono stati in 360. Cioè la metà esatta degli aventi diritto. Non solo: 360 vuol dire 10 voti in meno di quelli che von der Leyen ha incassato a novembre per l’insediamento della Commissione, che già erano il minimo storico per una votazione di questo tipo. E vuol dire che in un anno von der Leyen si è ulteriormente indebolita, e non di poco: 360 voti sono ben 41 in meno di quanti ne ha raccolti esattamente un anno fa per il via libera al suo secondo mandato di presidente dell’esecutivo comunitario.
Ma è proprio guardando a un anno fa e facendo il confronto con quel che è successo in questi ultimi mesi che viene fuori quanto sia diventato poco credibile il Parlamento europeo su un tema che non è certo marginale: la crisi climatica in atto e le politiche di mitigazione e adattamento per farvi fronte.
A luglio 2024, a Strasburgo, i 401 voti che hanno dato il via all’insediamento della Commissione Ue sono arrivati nel giorno in cui von der Leyen ha messo in cima alla lista delle priorità per questa legislatura europea un nuovo Green deal, la conferma e il rafforzamento dell’Agenda verde realizzata nel precedente mandato, una legge sul clima centrata sul taglio del 90% delle emissioni di gas serra entro il 2040. Oggi, luglio 2025, è emerso in tutta evidenza che la maggioranza di quegli europarlamentari che annuivano e applaudivano ha lavorato in questi mesi per minare alla base l’intero impianto del Green deal, rosicchiato pezzo dopo pezzo le principali norme contenute nell’Agenda verde europea. E ora quegli europarlamentari sono arrivati perfino al paradosso di affidare il cuore delle politiche comunitarie sul clima ai negazionisti del clima: proprio la legge sul taglio del 90% delle emissioni entro il 2040 è stata messa in mano ai Patrioti per l’Europa. Cosa ne faranno? Il presidente del gruppo di estrema destra, Jordan Bardella (esponente del Rassemblement National di Marine Le Pen), non ha fatto mistero di quale sia l’opinione circa il testo messo a punto dalla Commissione Ue: «Siamo risolutamente contrari». E a Strasburgo c’è già chi scommette che il testo sarà affossato e rimarranno sul piatto solo gli obiettivi climatici net-zero relativi al 2050: la solita, vecchia strategia di alzare l’asticella delle ambizioni ma spostando più in là nel tempo il loro raggiungimento.
Come è potuto succedere che una legge così importante per la lotta ai cambiamenti climatici finisse in mano ai negazionisti di destra? Il principale responsabile di quanto avvenuto è il Partito popolare europeo, non foss’altro perché il gruppo del Ppe è il più grande, a Strasburgo: quando in commissione Ambiente si è dato il via al sistema di aste a punti per decidere il relatore, i Patrioti hanno messo sul piatto più punti di tutti. Il Ppe ha deciso di non impegnare un numero sufficienti di punti per prendere il controllo dell’iter di questa legge (ogni gruppo ha un pacchetto di punti proporzionali al numero dei propri parlamentari e che deve gestire nel corso di un trimestre). I Socialisti & Democratici hanno allora presentato in aula insieme ai Verdi e ai liberali di Renew una proposta d’urgenza per far votare più rapidamente il testo, senza lasciare ai Patrioti il tempo per smontarlo o direttamente affossarlo: ma, di nuovo, il Ppe ha deciso che non era il caso di procedere speditamente. Il capogruppo Manfred Weber ha spiegato che la legge sul taglio delle emissioni ha bisogno di più tempo per essere discussa, e i Popolari hanno votato contro.
E così ora anche l’obiettivo climatico al 2040 rischia fortemente di andarsi ad aggiungere alla già lunga lista dei pezzi di Agenda verde fatti fuori con la complicità del Ppe: dopo aver siglato un’intesa con le forze di destra estrema per far rinviare di un anno le nuove norme contro la deforestazione, dopo la battaglia contro le multe alle case automobilistiche che non rispettano i limiti delle emissioni di gas serra e dopo le altre iniziative per annacquare le politiche comunitarie sul clima approvate la scorsa legislatura nascondendosi dietro il bel titolo «per un’agenda di semplificazione» e dopo che è finita nel mirino dei Popolari europei la direttiva anti-greenwashing, ora anche l’impegno per il taglio delle emissioni entro i prossimi 15 anni è sulla buona strada, in mano ai Patrioti, per finire nel dimenticatoio.
C’è chi, tra le stesse fila del Ppe, imputa questo cambio di passo del gruppo impresso da Weber ad ambizioni e risentimenti personali: nel 2019, l’attuale capogruppo dei Popolari europei si era candidato senza successo alla presidenza della Commissione Ue, non incassando però il consenso necessario da parte dei governi comunitari, che gli preferirono invece la connazionale e collega di partito von der Leyen.
Ma una guerra personale non può condizionare a tal punto le dinamiche dell’Europarlamento. La verità è che nel Ppe sono sempre più numerosi gli eurodeputati che giudicano le politiche sul clima troppo penalizzanti per l’industria europea. E tra le fila dei socialdemocratici la battaglia per contrastare quest’impostazione non sempre è stata incisiva come avrebbe dovuto. Tra quanti non si rassegnano a veder smontato pezzo dopo pezzo il Green deal c’è l’europarlamentare italiana Annalisa Corrado (S&D), esponente del Pd e membro della commissione Ambiente a Strasburgo, che dice: «Dobbiamo difendere il Green deal dagli attacchi della destra il più possibile e dobbiamo farlo con nuove risorse e nuovi strumenti». Prima di tutto servirà però un chiarimento politico con il Ppe. «Non è stato bello che il Ppe non abbia approvato la mozione di urgenza per la legge Clima perché rischiamo di arrivare senza nulla alla Cop di Belém a novembre e di lasciare gli obiettivi 2040 nelle mani dell’estrema destra che vuole uccidere la transizione climatica – spiega Corrado – È stato un brutto colpo. Adesso il Ppe parla di mettere sul tavolo un’altra mozione di urgenza a ottobre. Vedremo».
Vedremo. Ma intanto, quello che offre ultimamente il Parlamento europeo, non è affatto un bel vedere.