
Sos naufraghi climatici in mare! Isole e isolotti sovrastati dagli oceani, migranti del clima in fuga ma respinti e senza status di rifugiati. Mentre il mondo si volta dall’altra parte, anche in Italia 40 aree costiere sono a rischio sommersione

A nulla è servito il clamoroso collegamento in diretta dall’isola di Tuvalu il 7 novembre del 2021 con l’allora Ministro della Giustizia, Comunicazione e Affari Esteri di Tuvalu Simon Kofe che provò ad allarmare i presenti alla Conferenza sul Clima dell’ONU parlando con i piedi nell’acqua per dimostrare l’impatto dell’aumento del livello delle acque oceaniche per lo scioglimento dei ghiacciai, che sommerge lo Stato insulare polinesiano nel Pacifico. Oggi la fuga è ancora l’unica soluzione, ma c’è chi spera nella sorte, nella lotteria per vincere un “visto” climatico permanente. Già, a sorteggio, e solo il premiato potrà trasferirsi sulla terraferma australiana. Nei primi 4 giorni lo hanno chiesto 8.750 tuvaluani sui 10.643 residenti, ma la dea Fortuna ne sceglierà solo 280 nel 2025 che potranno ottenere il permesso di vivere, lavorare e studiare in Australia. Da non crederci!
L’esodo però è iniziato da tempo poiché due dei nove atolli corallini dell’arcipelago da sogno sono inabitabili e già sott’acqua, e tra oggi e la fine secolo lo saranno inevitabilmente anche gli altri.
Sono solo le avanguardie di 40 piccoli Stati riuniti nell’Alliance of Small Islands, isole esotiche con altezze medie sul livello del mare che non superano i 4,5 metri e dove le maree montanti degli oceani ormai avanzano nel disinteresse mondiale occupando spiagge e coste, inquinando falde idriche litoranee, dilagando nelle aree abitate delle Maldive, delle Carteret, della Papua Nuova Guinea, dell’arcipelago di Kiribati tra le Hawaii e Tahiti e delle isole della Polinesia.
Solo l’Australia ha introdotto la lotteria del visto climatico che apre la via di fuga e di accoglienza, ma nessuno la segue, nemmeno in Europa che pensa ad altro e dove la Corte internazionale di giustizia ha appena sancito che gli effetti del cambiamento climatico sono «una minaccia esistenziale» contro la quale gli Stati hanno «precisi obblighi» e chi li viola commette un «illecito» con conseguenze che «includono il risarcimento integrale del danno subito dagli Stati lesi».
Questo del rialzo delle acque oceaniche e marine è un altro grave problema ma incredibilmente molto sottovalutato. Da Tuvalu alle Carteret e da Papua Nuova Guinea si allarga all’arcipelago di Kiribati tra le Hawaii e Tahiti e alla Polinesia, dalle Maldive alle tante isole e penisole da sogno dove la king tide, la super marea che colpiva solo all’inizio dell’anno, ha ormai esteso il rischio di sommersioni a tutto l’anno su villaggi e spiagge di sabbia bianca. Si aggiunge alle aree già desertificate dell'Africa o a quelle perennemente allagate dell'Asia, e anche al grave e molto rimosso rischio che stanno correndo almeno 40 aree lungo la nostra Penisola.
Lo spettro del rialzo, in realtà, s’aggira da almeno trent’anni nei piani alti dell’Onu, fin dal primo dossier esplosivo firmato dai prudenti economisti della Banca Mondiale all’inizio del terzo millennio che proiettava il XXI secolo come «il secolo dei migranti ambientali». Calcolava, nei prossimi 25 anni, 216 milioni di profughi in fuga da «terre inospitali per effetti di caldo, siccità, desertificazioni, alluvioni, aumento del livello del mare, mancanza d’acqua, degrado degli ecosistemi tra Africa, Asia e America Latina». Si aggiunse il loro secondo clamoroso report “Groundswell: Preparing for Internal Climate Migration” nel quale la Banca Mondiale analizza tre territori - l'Africa subsahariana, l'Asia meridionale e l'America Latina - avvertendo che «…solo politiche di riduzione di emissioni di gas serra e azioni di difesa potranno ridurre le partenze a 40 milioni di migranti climatici», riducendo o evitando la più grande migrazione forzata della storia dell’umanità fuori o anche all'interno dei propri confini nazionali..
Ma concetto di «rifugiato climatico» anche dal rischio di mari e oceani rialzati vede ancora né impegni concreti né a livello internazionale una definizione. L'UNHCR, l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, lavora da anni per la protezione dei migranti ambientali ma sono i primi a denunciare che nessuno sta riconoscendo le cause della migrazione climatica. Quanti sono? Dove andranno? Sono domande che non interessano in un Pianeta con brutali conflitti primitivi e massacri per guerre e aggressioni senza fine. Ogni report presentato nelle Conferenze dell’Onu sul clima con obblighi di soccorsi e finanziamenti inseriti nei dispositivi finali, non fa avviare azioni concrete. Cosicché l’unica certezza è che tanti partono e partiranno dalle aree più colpite e povere per condizioni di vita impossibili.
Le proiezioni dell’IPCC dell’Onu, prevedono entro il 2100, temperature medie globali oltre i 2°C, e un innalzamento del livello medio del mare tra 44 e 76 centimetri con due scenari a basse e alte emissioni, e il più catastrofico superamento di un metro a 1,09 cm. Prospettive inquietanti. Come pure le stime della NASA che prevedono innalzamenti da 30 a 80 cm. Nello scenario peggiore, l’invasione delle acque marine già nei prossimi decenni potrebbe sommergere nel mondo aree urbane a meno di 10 metri sopra il livello del mare dove vivono circa 680 milioni di persone, oltre l’11% della popolazione mondiale, che saliranno a un miliardo entro il 2050, con il rischio peggiore per le 136 principali città costiere del Pianeta, e tra queste megalopoli da oltre 10 milioni di abitanti come New York, Tokyo, Giacarta, Mumbai, Shanghai, Lagos e Il Cairo. Saranno almeno 400 milioni le persone da evacuare, e si aggiungeranno a circa un miliardo di profughi climatici calcolati dall’ONU in fuga da aree dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina.
E anche in Italia l’insidia apparentemente invisibile del rialzo del livello del mare è un grave problema mai affrontato. È un dramma che riguarda già oggi le coste sud dell’Europa, e riguarderà soprattutto la nostra Penisola nel mare, con aree estremamente vulnerabili.
Nei laboratori dell’ENEA, e del Centro Euro-Mediterraneo per i cambiamenti climatici e dell’ISPRA, ci sono rendering con modellistiche previsionali realizzati combinando fusione dei ghiacci, espansione termica di mari e oceani, fenomeni meteo e maree, movimenti della crosta terrestre. Sono proiezioni inquietanti se tutto resterà come è, con possibili sommersioni di una quarantina di tratti anche urbani sia adriatici che tirrenici di ogni regione a pelo d’acqua da Trieste a Venezia a Ravenna al golfo di Taranto e alla piana di Catania, dalla costa del siracusano alle Eolie, dalle piane di Oristano a quella di Cagliari, dalla Piana del Sele e del Volturno al Sud Pontino a Ostia-Fiumicino, dalla Versilia alla Liguria. ENEA ha elaborato mappe grazie a tecnologie satellitari e rilievi sul campo di climatologi, esperti GIS, oceanografi e geologi. Sono trend evolutivi che permettono di pianificare oggi strategie di adattamento e protezione di aree e beni esposti a modifiche anche radicali della morfologia attuale di ambienti costieri fino a 5.500 km2 di pianure sul mare dove si concentrano oltre metà popolazione italiana, agricoltura di qualità e industrie a partire da quella del turismo, e testimonianze storiche e culturali.
Non rischiano solo Tuvalu o le lontane Maldive, ma anche i nostri 1.800 km lineari di litorali. E vanno azionate subito tutte le misure di contenimento dei rischi di inondazioni costiere, erosioni e salinizzazioni di falde dolci.
L’esempio del MOSE che protegge e salva Venezia dalle alte maree, pur con tutte le problematiche aperte, evita eventi catastrofici in serie. È un’opera gigantesca progettata oltre 40 anni fa, alla quale vanno affiancati altri interventi per l’ecosistema lagunare, un modello di ingegneria italiano che indica una reazione, la possibilità di mettere in atto azioni e soluzioni di prevenzione.
