Un Paese nel fango. Anche l’Ispra fotografa l’Italia dei record Ue per frane, alluvioni, erosioni costiere. Ma la prevenzione è tabù nonostante vittime e devastazioni: serve una roadmap per la sicurezza
Se è vero, come è vero, quel che scriveva mezzo millennio fa Ser Francesco Guicciardini - “Sono adunque gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città” -, mai come oggi la fortuna delle nostre città e quindi del nostro Paese è fortemente legata alla capacità di chi governa e di noi cittadini di saper prevenire con opere e interventi e con tutte le tecniche e le tecnologie disponibili le ruine per frane, alluvioni e altri dissesti, mezzo millennio dopo, per proteggere vite umane e beni pubblici e privati.
I perché gli incombenti rischi idrogeologici - frane e alluvioni, soprattutto - non spingono all’avvio di una grande opera pubblica nazionale resta un “rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”, come arzigogolava Winston Churchill. È vero che oggi siamo tutti disorientati e distratti da atrocità disumane senza fine, da conflitti tribali, dalle spallate di Trump che tratta come un punching ball l’inerme Europa, al riarmo anche atomico presentato come unico orizzonte per un futuro sicuro.
Ma l’Italia convive da troppo tempo con un tabù, la nostra fragilità genetica, che fa più danni delle guerre, uccide e devasta come e più di un bombardamento. Ma il problema è tabù. E facciamo finta che il Paese più bello non sia il più naturalmente rischioso del mondo, che non abbia due terzi di territorio montuoso e collinare con terreni facili a franare, e l’ultimo terzo non sia un’antica pianura impaludata e alluvionale. Siamo facilmente colpiti da nubifragi o siccità e da ogni altra calamità che esiste sul Pianeta. Facciamo finta che le nostre città non poggino sui più ricchi reticoli di acque tombate o sui più fragili terreni impermeabilizzate negli ultimi 70 anni da cemento e asfalto, con follie urbanistiche uniche al mondo e un consumo di suolo da record - dal 2,8% del 1956 all’8,3% di oggi - sanando una marea di abusi edilizi approfittando di 4 condoni e sanatorie che hanno messo nei guai 8,1 milioni italiani, oggi in balia di frane e alluvioni.
Questa è l’Italia che spende 4 miliardi in media all’anno ogni anno dal dopoguerra per riparare danni e risarcire i sopravvissuti dopo aver contato i morti. Un Paese sano di mente guarderebbe i numeri del nuovo, quarto rapporto sul dissesto idrogeologico dell’Ispra che analizza gli ultimi 3 anni con un alert che non scuote e sembra subito archiviato come un dossier tra i tanti.
Scorrendo la mole dei dati si entra in un teatro di guerra, l’unica guerra che merita di essere combattuta con l’unico “riarmo” ammissibile. Il rischio frane è aumentato del 15% passando dai 55.400 km² del 2021 ai 69.500 km² del 2024, e come la spada di Damocle può abbattersi sul 23% del territorio nazionale abitato. Le Regioni con popolazione più a rischio sono Emilia-Romagna, Toscana e Veneto, Campania, Lombardia e Liguria, la Provincia Autonoma di Bolzano, la Sardegna e la Sicilia e poi la Calabria e tutte le altre.
I dati 2024 inquadrano gravi pericoli incombenti nel 94,5% dei nostri comuni per valanghe e frane, alluvioni o erosioni costiere. La foto di gruppo di un’emergenza sempre più emergenza, collegata all’aumento delle temperature globali e locali con eventi atmosferici sempre più esplosivi, e sempre meno estremi e straordinari.
Dovrebbe scuotere la politica innanzitutto sapere che le oltre 636mila frane dell’Italia sono i due terzi delle frane censite in tutta Europa. Circa il 28% ha una dinamica rapida e un elevato potenziale distruttivo con perdite di vite umane. Si sono aggiunti fenomeni valanghivi per lo scioglimento inesorabile dei ghiacci che condizionano territori montani sopra gli 800 metri di quota. Abbiamo 5,7 milioni di italiani a rischio frana, con 1,28 milioni in aree a maggior pericolosità con 582mila famiglie, 742.000 edifici, quasi 75.000 imprese e 14.000 beni culturali esposti. Per le alluvioni stesso quadro drammatico, come anche sul fronte dell’erosione costiera con 1.890 km di spiagge che hanno subìto alterazioni dell’assetto della linea di riva superiori a 5 metri sul 23% dell’intera costa italiana, con 965 km che risultano in avanzamento e 934 km in erosione. E incombe il rialzo del livello marino del Tirreno e dell’Adriatico, tra gli 80 centimetri e il metro previsto entro la fine secolo.
Far finta di nulla o combattere senz’armi è pura follia e s’intravvede il disastro italiano. O c’è un’inversione di rotta o perderemo su questi fronti punti di Pil e attrattività, oltre a vite umane.
Come uscirne? Facendo fronte comune. La politica, tutta, almeno su questi fondamentali segni una tregua: decida un patto contro il dissesto idrogeologico e i guai meteoclimatici e, con criteri tecnici, decida le priorità aprendo cantieri più utili nei territori e nelle aree urbane più a rischio. Lanci un vero piano di opere e interventi recuperando fondi mai spesi con una visione condivisa e con strutture tecniche da Palazzo Chigi alle Regioni e nei Comuni. L’Italia ha fior di aziende, società superefficienti che operano all’estero mettendo in sicurezza aree urbane e città da ogni rischio, la Pubblica amministrazione tanto vituperata ha un personale tecnico che aspetta di essere motivato e potenziato, le Autorità di bacino hanno un quadro chiarissimo delle aree dove intervenire con urgenza massima, i cittadini devono essere coinvolti e raggiunti da una comunicazione che sia anche formazione contro i rischi utilizzando utilmente anche tecnologie di intelligenza artificiale.
È una grande sfida per la sicurezza dei luoghi in cui viviamo, che sembra titanica ma è assolutamente alla nostra portata. Riconoscere oggi il diritto alla sicurezza dalle catastrofi naturali e meteoclimatiche, uscire dal lockdown della prevenzione strutturale, mettere l’Italia sulla via delle opere di mitigazione e adattamento, significa voler bene a noi stessi e alle nostre città.
Se siamo, come ci vantiamo di essere, un paese di furbi, i furbi lancerebbero immediatamente la roadmap per un futuro meno insicuro e rischioso per tutti.