Se il "paesaggio fossile" è un valore assoluto, la transizione energetica non si può fare. Una civiltà post-fossile richiede che qualche pala eolica si veda, e pure qualche pannello non sui tetti
Mi permetto di ritornare sul tema del “paesaggio fossile” e “post-fossile”, viste le reazioni che l’uso di questi termini ha suscitato. Qualcuno vi ha letto l’ennesimo tentativo di coprire speculazione, devastazione e sfruttamento del territorio. Una strumentalizzazione che avevo messo in conto, scrivendo quell’articolo.
Intendo per “paesaggio fossile” il risultato dell’interazione tra attività umana e ambiente naturale, nelle sue diverse componenti biotiche e abiotiche, realizzatosi nel secondo dopoguerra in gran parte dei paesi occidentali. Come ogni paesaggio esso è in uno stato di equilibrio dinamico, largamente condizionato dal flusso di energia assicurato dalle fonti fossili. È grazie allo sfruttamento di gas e petrolio se i boschi dell'Appennino e delle Alpi hanno smesso di essere sfruttati per le crescenti necessità energetiche delle popolazioni, riguadagnando superficie e biomassa. Le magnifiche foreste di abete dell’altopiano di Asiago, oggi ferite dalla tempesta Vaia e dal bostrico, non sono “naturali”. Sono il frutto di un massiccio rimboschimento umano seguito alla prima guerra mondiale, dopo essere state prima sfruttate e poi bombardate dagli uomini. Potrei proseguire con altri esempi per significare che la civiltà fossile ha portato da una parte profonde, e spesso brutali, trasformazioni delle pianure e dei fondovalle (urbanizzazione, infrastrutture, zone industriali) ma dall’altra ha permesso di diminuire la pressione antropica sulla risorsa forestale.
Il “paesaggio fossile” è l’esito di questa enorme trasformazione, e “fossile” è inteso qui come “reso possibile dalle fonti fossili”, non in quanto paesaggio cristallizzato una volta per sempre, “fossilizzato”. Non serve puntualizzare che i paesaggi “naturali”, in cui ogni azione antropica è assente, sono in Italia assai pochi, e spesso individuati come tali e tutelati, le riserve integrali per esempio. Tutto il resto è paesaggio antropizzato, ulteriormente interessato negli ultimi decenni dall’accelerazione della crisi climatica, anch’essa di origine “fossile”.
Ciò che ho voluto mettere in luce è la contraddizione di chi sostiene di voler fuoriuscire dalla civiltà fossile, per porre rimedio alla crisi climatica, ma assumendo il paesaggio antropizzato, così come oggi si presenta, come valore assoluto. Per costoro tutti i luoghi ventosi, dove si può ricavare energia rinnovabile, sono un valore paesaggistico intangibile. Tutti i terreni extraurbani, dove si può ricavare energia rinnovabile, sono un valore paesaggistico e agricolo intangibile, e quindi tutta l’energia rinnovabile va ricavate nelle aree urbane e fortemente antropizzate.
Ebbene, su questa premessa la transizione energetica non si può fare; per ragioni fisiche ed economiche il mix ottimale di rinnovabili richiesto necessita di ulteriori spazi. Non si tratta di distese di pannelli o di pale eoliche, le necessità sono in realtà assai limitate, ma non nulle. A questo proposito non posso che rinviare a studi e scenari ampiamente validati (si veda Pastore, de Santoli - 2025, Giusti 2024, Moccia 2024, Marletto e Grosso 2025, 100% Rinnovabili Network 2025, Jacobson 2024).
“Paesaggio post-fossile” non significa la distruzione del “paesaggio fossile” in virtù della transizione, non è né necessario né opportuno, ma riconoscere che a fronte della crisi climatica non tutto il paesaggio è un valore assoluto. Questa assolutezza finisce per impedire la transizione e accelerare il degrado del paesaggio stesso, come dimostrano Vaia e il ritiro dei ghiacciai, le siccità estive e gli allagamenti.
Se riteniamo che ogni pala eolica che spunti a venti chilometri dalla costa sia un “assalto”, e un’altra che svetti su un crinale una “distruzione”, e un pannello fotovoltaico che non sta su un tetto un “divoratore” di suolo, allora dobbiamo dirci che la transizione energetica non la vogliamo. Perché una civiltà post-fossile richiede che qualche pala al largo della costa si veda, qualche altra su un crinale, e pure qualche pannello non sui tetti. E richiede che anche a questo “paesaggio post-fossile” un qualche valore si attribuisca, anche estetico, come nuovo punto di equilibrio tra uomo e natura.