Scuole a rischio, oltre 30mila edifici scolastici italiani devono essere messi in sicurezza contro terremoti, frane e alluvioni: è l’occasione per rispondere ai dazi di Trump con investimenti interni
I nostri giovani, da 3 a 25 anni, stanno per rientrare a scuola. Sono sempre meno e per questo saremmo propensi a pensare che il Paese dovrebbe essere in grado di dare servizi e strutture sempre migliori. Servizi di insegnamento che vorremmo sempre più qualificati e più aperti al “mondo fuori della scuola”. E strutture più capaci di rispondere alle esigenze crescenti non solo del mondo del lavoro, ma anche del mondo della cultura e della conoscenza. In questa scuola del futuro, un futuro da venire visto che oggi non possiamo ancora dirci all’altezza delle aspettative, un elemento non deve essere trascurato. Ed è quello della sicurezza delle strutture scolastiche in particolare nei confronti dei rischi naturali, come il terremoto e il dissesto idrogeologico, cioè frane e alluvioni, e il crescente rischio incendi.
Secondo il dossier pubblicato da Tuttoscuola, basato sui dati ufficiali dell’Anagrafe nazionale dell’edilizia scolastica relativi all’anno scolastico 2023-24, la situazione è abbastanza critica. Sul totale di circa 39.993 edifici scolastici statali, ben 36.088 – ovvero il 90% – risultano privi di almeno una delle cinque certificazioni obbligatorie: certificato di agibilità, prevenzione incendi, omologazione della centrale termica, piano di evacuazione e documento di valutazione dei rischi. Addirittura, 3.588 edifici, pari al 9%, sono del tutto sprovvisti di tutte le certificazioni: strutture «totalmente irregolari» in termini di normativa sulla sicurezza, frequentate da circa 700.000 studenti e personale scolastico.
Nelle aree considerate a rischio sismico elevato, la situazione è ancora più critica: meno del 50% degli edifici possiede il certificato di collaudo statico, che attesta la stabilità strutturale. Nelle zone meno a rischio, la situazione migliora solo leggermente, attestandosi intorno al 56%.
Una situazione inaccettabile. Anche se, per evitare allarmismi nel mondo di nonni e genitori, edifici “fuori norma” non sono necessariamente “edifici a rischio”, in quanto le norme diventano ogni anno sempre più “stringenti” e mettono “fuori norma”, giustamente, la gran parte degli edifici. Quindi nessun allarmismo eccessivo, ma neppure l’accettazione passiva del solito “tran tran” tanto caro a certa politica e burocrazia italiana, che punta a fare norme di sicurezza sempre più avanzate rimandando però la loro attuazione negli edifici pubblici a “tempi a venire”.
Se prendiamo gli investimenti negli edifici scolastici nell’ultimo ventennio, la situazione non è esaltante. Nonostante il tentativo generoso avviato nel 2015 con Italiasicura-scuola e troppo prematuramente concluso nel 2018, teso a dare un indirizzo e un coordinamento generale alla materia a fronte di un Ministero non proprio vocato alla gestione di cantieri sparsi nei circa 8mila Comuni del paese, il peso della scuola sul totale degli investimenti è sceso dal 2,7% dei primi anni 2000 a non più dell’1,5% del dopo 2020. La situazione non è certamente migliorata neppure con l’immissione dei fondi Pnrr che, come è accaduto in molti altri settori di investimento del Paese, hanno perlopiù sostituito fondi tradizionalmente assegnati al singolo settore piuttosto che rappresentare un elemento aggiuntivo.
Negli anni 2000 l’investimento medio nella scuola è stato di 2,7 miliardi e se guardiamo ai fondi 2023-2025 di natura statale e Pnrr, non ci discostiamo da quel livello.
Secondo i dati del rapporto Tuttoscuola si può dire che ad oggi oltre 30 mila edifici scolastici necessitano di interventi parziali o totali di messa in sicurezza. Si pensi ai tanti edifici che stanno in zone sismiche o che si trovano ine aree sottoposte a frana o a esondazioni fluviali. Sono situazioni da sanare e da mettere in tempi brevi in un percorso di ristrutturazione e di riqualificazione.
I costi della messa in sicurezza complessiva sono significativi ma non impossibili per un paese come l’Italia. A suo tempo il Consiglio nazionale dei geologi parlò, in una Conferenza dedicata alle vittime universitarie del terremoto dell’Aquila, di 50 miliardi di euro. Si tratta di valutazioni di massima. Molto dipende anche dal tipo di sicurezza che si intende progettare e quindi eseguire in una scuola. Un conto, per esempio se si parla di antisismica, è il rafforzamento delle strutture per renderle resistenti a scosse di terremoto e quindi salvare le vite degli insegnanti e degli studenti; un conto è invece riqualificare completamente le strutture, inserendo anche tecnologie innovative, non solo per resistere al “primo impatto”, importante per salvare vite umane, ma anche per rendere le strutture resilienti e consentire l’uso degli edifici per affrontare l’emergenza e per riprendere in tempi brevi l’attività. È evidente che i costi delle due “soluzioni alternative” sono diversificati e richiedono impegni progettuali e finanziari diversi.
Ma il volume di risorse necessarie per la messa in sicurezza degli edifici scolastici sta certamente nel range, a suo tempo individuato, dei 50 miliardi.
E qui si aprono allora due prospettive. Non solo per la messa in sicurezza delle scuole. Ma per l’intero Piano nazionale per la prevenzione dai rischi naturali che riguarda i temi relativi ai terremoti, alle frane, alle alluvioni, agli incendi, ai vulcani, ai maremoti e agli altri rischi di “nicchia” che caratterizzano l’Italia.
La prima prospettiva è quella del “continuiamo come abbiamo sempre fatto”. Gli investimenti come quota del Pil stanno al massimo intorno al 3%. Ed è già un successo se si pensa che veniamo da periodi in cui siamo stati molto prossimi al 2%. E gli investimenti nel settore complessivo della prevenzione stanno a livelli di “marginalità” rispetto al volume complessivo degli investimenti.
È una prospettiva del “tiriamo a campare” e che prevede grandi dibattiti e discussioni post eventi calamitosi in cui ciascuna parte politica ricorda le malefatte dell’altra e, per marcare la differenza, getta sul piatto dell’ultima finanziaria qualche spicciolo per la prevenzione. Dal momento che il grosso delle disponibilità se ne è già andato per coprire i danni delle calamità stesse.
La seconda prospettiva è invece quella tracciata dal Rapporto Draghi, ulteriormente rafforzata dagli atti del presidente Usa Trump, che hanno chiuso almeno per il prossimo decennio il modello export-led dell’Europa e che spingono i Paesi come l’Italia a vedere nei bisogni interni – e quindi investimenti e consumi – la nuova molla del proprio sviluppo.
In questo caso gli investimenti sul Pil potranno, o meglio, dovranno, anche grazie ad un nuovo scenario europeo, andare decisamente sopra il 3% del Pil e quelli legati alla prevenzione dei rischi naturali potranno, anzi dovranno collocarsi in una posizione non più marginale. Anche perché sono attivatori di buona e qualificata occupazione, di sviluppo di nuove imprese e di applicazioni di tecnologie innovative. E poi, cosa di particolare importanza, sono necessarie per la vita in sicurezza del Paese.
In questa seconda prospettiva, la messa in sicurezza delle scuole deve rappresentare uno dei primi capitoli del Piano di prevenzione e adattamento del paese. E magari, una volta che sarà risolto il tema della sicurezza, vediamo se riusciamo anche ad aprire ai nostri ragazzi le porte di scuole sempre più accoglienti, con laboratori e strumenti innovativi, e con un corpo insegnante adeguato a guidare i giovani con meno paure e apprensioni nel prossimo futuro.