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Tira una brutta aria in America. E non solo metaforicamente parlando: con Trump alla Casa Bianca, le emissioni di gas serra sono aumentate per la prima volta dopo 20 anni di calo costante. La soluzione? Quella dell’Agenzia ambientale: basta monitoraggi

 |  Editoriale

Tira una brutta aria in America. E non è – solo – per la violenza che ha fatto drammaticamente irruzione in un dibattito pubblico sempre più estremizzato, complice un presidente, Donald Trump, che invoca prima ancora che si metta in piedi un processo la pena di morte per il «presunto killer di Charlie Kirk» e alza il livello dello scontro con l’opposizione a seguito di quel brutale omicidio. Tira una brutta aria, letteralmente: per la prima volta dopo 20 anni di continua diminuzione, nel primo semestre del 2025 le emissioni di gas serra sono aumentate. E qui non ci sono dubbi sulla responsabilità di quanto avvenuto, considerando tutte le politiche a favore dei combustibili fossili introdotte dal fautore del «drill, baby, drill» e, contemporaneamente, i veti, i dietrofront e i tagli imposti al settore delle rinnovabili.

Se all’inizio dell’anno, con l’insediamento del tycoon, si trattava di timori o previsioni, ora è arrivata la conferma che le politiche dell’amministrazione Trump stanno provocando un ritorno al passato per quanto riguarda la tutela dell’ambiente e il contrasto alla crisi climatica e anche un peggioramento dei parametri che gli scienziati prendono a riferimento per il monitoraggio e la prevenzione della salute umana. Secondo l’ultimo report pubblicato dal Rhodium group, dopo un ventennio in cui le emissioni di gas serra in America sono costantemente diminuite con un calo medio annuo dell’1,1% (anni 2005-2024), ora siamo in presenza di un quadro in cui è inserito uno scenario sfavorevole con una riduzione annua limitata allo 0,4% tra il 2025 e il 2040, meno della metà del ritmo precedente. Non solo. I dati forniti dal think tank indipendente statunitense per i primi sette mesi del secondo mandato di Trump, che «hanno rappresentato il cambiamento più brusco nella politica energetica e climatica degli ultimi tempi» tra addio agli accordi di Parigi e politiche pro-fossili e anti-rinnovabili varie, dicono anche altro. Leggiamo: «Gli Stati Uniti sono sulla buona strada per ridurre le emissioni di gas serra del 26-41% nel 2040 rispetto ai livelli del 2005. Entro il 2040, stimiamo che i livelli di emissioni di gas serra diminuiranno del 26-35% nel 2035, un cambiamento significativo rispetto al nostro rapporto del 2024, che mostrava un calo più marcato del 38-56% entro tale data». Passando dalle percentuali al dato assoluto, questo significa fino a 1,2 miliardi di tonnellate in più di emissioni rispetto alle stime precedenti.

Tra l’altro, le politiche incentrate sul «drill, baby, drill» devono trovare sbocco anche su mercati esteri, perché più di tanto la domanda interna di petrolio e gas non può crescere. E allora ecco il motivo dell’accordo con l’Ue per la vendita ai Paesi europei di 750 miliardi di dollari entro il 2028 in petrolio e gas naturale liquefatto, con relativo export-import di ulteriori quote di emissioni.

La ciliegina sulla torta è che gli Stati Uniti stanno anche già lavorando non per risolvere il problema, ma per farlo scomparire dalla scena: l’Agenzia per la protezione ambientale (Environmental Protection Agency, Epa) ha proposto che le aziende industriali statunitensi non pubblichino più relazioni sulle emissioni di gas serra. Il motivo addotto è che questo consentirebbe «risparmi» nei bilanci aziendali da poter investire in misure per il «conseguimento di benefici ambientali tangibili». L’Epa, che già in primavera aveva messo in campo iniziative tutt’altro che da agenzia per la protezione ambientale, ha anche già fatto il calcolo: cancellare l’obbligo di pubblicazione delle emissioni farebbe risparmiare all’industria a stelle e strisce, comprese ovviamente le raffinerie di petrolio e le centrali elettriche, 2,4 miliardi di dollari.

Una prima picconata al sistema di monitoraggio era arrivata a luglio, quando di fatto l’Epa aveva sostenuto che i gas serra non sono più un pericolo. Ora è arrivato l’ulteriore passo: «Il Greenhouse Gas Reporting Program non è altro che un processo burocratico che non contribuisce in alcun modo a migliorare la qualità dell’aria», ha affermato l’amministratore dell’Epa, Lee Zeldin, avvocato favorevole alla deregulation in materia di tutela ambientale e nei mesi scorsi messo a capo dell’agenzia da Trump.

Le emissioni delle aziende a stelle e strisce che non diminuiscono come hanno fatto negli ultimi 20 anni, l’obbligo di rendicontazione che dopo quindici anni (è in vigore esattamente dal 2010) viene cancellato nei confronti dei circa ottomila impianti presenti sul territorio: il capo dell’Epa Zeldin parla «liberare il dominio energetico che alimenta il sogno americano», ma quello che sta avvenendo negli Stati Uniti sembra piuttosto un incubo che travalica i confini statunitensi.

 

Simone Collini

Dottore di ricerca in Filosofia e giornalista professionista. Ha lavorato come cronista parlamentare e caposervizio politico al quotidiano l’Unità. Ha scritto per il sito web dell’Agenzia spaziale italiana e per la rivista Global Science. Come esperto in comunicazione politico-istituzionale ha ricoperto il ruolo di portavoce del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel biennio 2017-2018. Consulente per la comunicazione e attività di ufficio stampa anche per l’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, Unisin/Confsal, Ordine degli Architetti di Roma. Ha pubblicato con Castelvecchi il libro “Di sana pianta – L’innovazione e il buon governo”.