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La Global Sumud Flotilla può aprire nuovi corridoi umanitari verso Gaza. Il diritto internazionale o la prepotenza di Israele? È ora di scegliere cosa difendere

 |  Editoriale

La Global Sumud Flotilla continua la sua navigazione, pacifica e pienamente rispettosa della Onclus (United Nations Convention on the Law of the Sea). I volontari provenienti da 44 Paesi sono nella grandissima maggioranza rimasti a bordo e proseguono con sagacia e determinazione l’obiettivo principale della loro missione: far arrivare i loro aiuti alla popolazione affamata, derelitta e abbandonata dal resto del mondo, che vive tra disagi inenarrabili, e costituisce la vergogna del mondo.

Di Flotilla si è discusso e si discuterà ancora a lungo per la semplice ragione che questi coraggiosi giovani – mutuando dal motto dell’Arma della Cavalleria italiana – “col cuore oltre l’ostacolo” hanno sortito l’effetto di smuovere l’opinione pubblica e le coscienze di milioni di persone che guardano con crescente preoccupazione agli orrendi crimini perpetrati dall’Idf (Israelian defence force) verso la popolazione di Gaza, sulla quale si è abbattuta e si abbatte a tutt’ora una furia spaventosa, mai vista prima, di cui non si riesce a definire l’orrendo, lucido, organizzato, sistematico massacro; un genocidi che va assumendo la forma di una nuova dimensione di orrore senza fine, e che ha come orizzonte lo sterminio totale dei palestinesi.

Di fronte a questo raccapricciante scenario, di fronte all’impotenza manifesta dell’Onu, alle piroette scabrose e inconcludenti degli Usa e del suo massimo rappresentante – Donald Trump è arrivato anche a ipotizzare speculazioni immobiliari sulla Striscia di Gaza, grondante lacrime e sangue anche di oltre 20mila bambini palestinesi – l’unica fonte attendibile che esprime interesse per le sorti del popolo palestinese è rimasta la Flotilla, figlia legittima del cuore e del pensiero della parte migliore della società, che sa traguardare oltre i miserabili limiti posti dall’appiattimento ipocrita e servile della maggior parte dei governi occidentali, fatte salve alcune onorevoli eccezioni che si sono già distinte riconoscendo lo Stato di Palestina.  

Questo è quello che tutti noi possiamo quotidianamente osservare e, dal nostro punto di vista, spiega la grande attenzione che l’opinione pubblica ha riversato su questa missione, sentendola propria, sentendola come buona e giusta, e ne hanno sposato la causa.

Il segno evidente di tutto ciò lo possiamo cogliere sugli applausi spontanei, fatti agli automobilisti che bloccavano il Gran raccordo anulare a Roma, una cosa mai vista prima: applausi ai manifestanti che bloccavano il traffico sventolando le bandiere e al grido di “Free Palestine”.

Questi fatti concreti hanno allarmato il governo al punto da dichiarare di aver inviato una nave militare – la fregata Virginio Fasan – dopo l’ultimo pesante e ingiustificato attacco, avvenuto con droni in acque internazionali, la cui provenienza riesce assai difficile non collegarla con l’Idf.

La fregata Fasan è una delle unità di punta della Marina Militare, collaudata già in diverse operazioni nel Mar Rosso ed è in grado di intercettare ed abbattere qualsiasi tipo di drone; resta da capire quali ordini sono stati dati al comandante e quale tipo di risposta è autorizzato a dare in caso di reiterazione di attacchi, di qualsiasi tipo, alle unità della Flotilla.

L’unico elemento certo che si conosce è legato al fatto che l’unità militare in questione non debba essere otticamente avvistata dai volontari della Flotilla (sic!) e, molto francamente, ce ne sfugge la ragione.

Ma il vero nodo gordiano da sciogliere resta quello legato al cosiddetto blocco navale, dichiarato da Israele nel 2007, che si estende anche sulla Striscia di Gaza. Moltissimi sono gli esperti del diritto internazionale marittimo ad essersi pronunciati in modo contrario al blocco stesso, a partire proprio dall’Onu. Sull’illegittimità del blocco navale si potrebbe dissertare a lungo; tuttavia, rileva osservare l’estrema prudenza espressa a partire dal capo dello Stato fino ad arrivare al ministro Crosetto, i quali avvisano quanto potrebbe essere rischiosa la reazione dell’Idf nel caso qualcuno forzasse l’illegittimo blocco navale e, per questa ragione, i giovani della Flotilla sono vivamente invitati a desistere dalle loro intensioni e di ricercare soluzione alternative con la Santa Sede – tramite il Patriarcato di Gerusalemme – oppure con Paesi vicini quali Egitto o Cipro. In caso di attacchi, avvisano, una volta fuori dalle acque internazionali non potranno porre in essere nessun tipo di difesa verso i volontari e loro unità, nonostante su molte sventoli il tricolore con le repubbliche marinare al centro.

Quindi, assistiamo impotenti ad un capovolgimento della verità: chi agisce nel rispetto della legalità e del diritto internazionale deve retrocedere dinanzi alla prepotenza di uno Stato che agisce nell’illegalità, confidando nell’aiuto degli Usa e nell’ignavia dei 22 Stati Mediterranei che tollerano, colpevolmente, atti di bullismo marittimo che sovente sconfinano nella pirateria.

Noi restiamo fermi nel sostegno della Flotilla così come fermo resta il rispetto del diritto internazionale marittimo. È infatti utile ricordare che l’obiettivo della Global Sumud Flotilla è quello di portare aiuti il proprio carico di aiuti alla popolazione gazawa, ma soprattutto quello di aprire i corridoi umanitari bloccati o militarizzati da Gaza: secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), a partire dall’avvio dei siti di assistenza militarizzati nella Striscia di Gaza il 27 maggio e fino al 22 settembre almeno 2.340 persone in cerca di assistenza, per lo più giovani uomini e ragazzi, sarebbero state uccise. Solo nell'ultima settimana censita, tra il 17 e il 22 settembre, sono state segnalate 21 vittime palestinesi in cerca di aiuti umanitari, soprattutto nei pressi di tre siti di rifornimento militarizzati a Rafah, Khan Younis e Wadi Gaza, mentre non sono state segnalate vittime nei pressi del valico di Zikim solo perché Israele l’ha chiuso del tutto dal 12 settembre.

In questo contesto, se anche la Flotilla non riuscisse ad attraccare lungo la costa gazawa ma potesse farlo nei pressi di un corridoio umanitario oggi controllato da Israele, come quello di Rafah al confine con l'Egitto, e da lì attivare un flusso di aiuti alla popolazione che esuli dal controllo della Gaza Humanitarian Foundation – la fondazione creata da Israele col supporto Usa per aggirare il ruolo dell’Onu come principale coordinatore degli aiuti umanitari a Gaza –, il successo della spedizione non sarebbe “solo” morale ma dalla cruciale importanza pratica per la sopravvivenza dei palestinesi finora sfuggiti al genocidio.

Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.