Non si può abitare sotto un Ponte. Per case verdi, sostenibili e affitti più bassi servono risorse pubbliche
In Italia, il diritto alla casa è sempre più un'utopia per milioni di cittadini. Se da un lato si moltiplicano gli annunci di grandi opere, a partire dall’ormai mitologico Ponte sullo Stretto, dall'altro la realtà quotidiana è quella di un Paese dove le famiglie faticano a mantenere un tetto sopra la testa, mentre intere generazioni di giovani, anziani e persone fragili sono sempre più lontane dall'idea di un'abitazione dignitosa.
Negli ultimi anni, il fenomeno dell'emergenza abitativa è cresciuto in modo esponenziale, alimentato da una combinazione di povertà, inflazione e inadeguatezza delle politiche pubbliche. Ogni anno in Italia vengono emessi migliaia di provvedimenti di sfratto, di cui una parte consistente legata alla morosità incolpevole: un modo soft per dire che è sempre più difficile riuscire a pagare per avere una casa. Se a questo si aggiunge che il mercato degli affitti è ormai fuori controllo, con una continua inflazione dei prezzi e dinamiche di feroce speculazione, si capisce perché il diritto alla casa non può più essere considerato una questione marginale.
Oggi, quasi 2 milioni di famiglie vivono in condizioni di povertà assoluta, e circa 900.000 di queste sono in affitto. Le politiche abitative pubbliche, purtroppo, non hanno tenuto il passo con l'evoluzione di questa crisi. L’offerta di edilizia sociale è insufficiente e non c’è un piano strutturato per il recupero delle abitazioni in stato di degrado o per l'ampliamento del parco pubblico. Le soluzioni messe in campo sono spesso temporanee e non risolvono il problema alla radice. Ogni anno le famiglie si ritrovano a lottare per mantenere la propria abitazione, con la paura di essere sfrattate, mentre le case popolari, in molti casi, restano chiuse o inutilizzabili.
Nel contesto della crisi abitativa, si inserisce la direttiva europea per la "riqualificazione energetica degli edifici" – il cosiddetto piano “Case verdi” – che impone agli Stati membri di migliorare l’efficienza energetica degli edifici residenziali entro il 2050. Questo provvedimento è un passo importante verso un'Europa più sostenibile, ma deve diventare anche uno strumento per combattere le disuguaglianze, con politiche di supporto adeguate.
Il nostro patrimonio edilizio è per lo più vecchio e inadeguato dal punto di vista energetico. Secondo le stime, oltre il 70% degli edifici residenziali appartiene alle classi energetiche più basse (E, F e G). Il recupero di questi edifici richiede ingenti investimenti, che molti cittadini, soprattutto quelli con redditi bassi, non sono in grado di sostenere. Il rischio è che i costi di ristrutturazione per migliorare l’efficienza energetica ricadano sulle famiglie, accentuando la già forte disuguaglianza sociale e rendendo l’abitare ancora più inaccessibile. Insomma la riqualificazione verde degli edifici non deve solo considerare l'efficienza energetica come un obiettivo tecnico, ma anche come un’opportunità per migliorare le condizioni abitative di milioni di persone attraverso una politica di sostegno per le famiglie vulnerabili.
Mentre la crisi abitativa cresce, le scelte politiche sembrano continuare a ignorare la dimensione sociale dell’abitare. Uno degli esempi più emblematici è la decisione di stanziare risorse ingenti per la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, un’opera infrastrutturale che richiede un investimento di oltre 13 miliardi di euro. Questi fondi potrebbero essere impiegati in modo molto più utile per affrontare la vera emergenza del Paese: l'abitazione. Con la stessa somma, ad esempio, si potrebbero riqualificare centinaia di migliaia di alloggi pubblici, migliorare l'efficienza energetica di edifici residenziali esistenti e costruire nuove abitazioni a canone sociale, destinate a chi oggi vive in condizioni di povertà. A fronte di questa scelta di priorità, la domanda è: è veramente necessario un ponte tra Sicilia e Calabria, quando mancano le risorse per garantire a milioni di persone una casa degna di questo nome?
L’Italia sta invecchiando rapidamente e le politiche abitative non sono riuscite a rispondere adeguatamente alle esigenze delle persone anziane, che si trovano spesso a vivere in case inadatte alle loro necessità. La sfida non è solo quella di garantire l'accesso a una casa, ma di assicurare che l'abitare diventi un ambiente in grado di supportare l'autonomia e la dignità degli anziani, attraverso soluzioni residenziali adatte, come l'edilizia sociale per anziani.
Insomma, invece di costruire il Ponte avremmo bisogno di costruire un vero Piano per l’abitare che metta al centro il diritto alla casa come diritto fondamentale e che preveda misure concrete per garantire a tutti l'accesso a un'abitazione dignitosa. Il piano dovrebbe prevedere il recupero del patrimonio edilizio pubblico, la costruzione di nuovi alloggi sociali e politiche fiscali favorevoli per chi vive in affitto.
L’ultima Legge di bilancio, purtroppo, non sembra aver risposto adeguatamente alle reali necessità del Paese in tema di abitazione. Le risorse stanziate per il settore sono insufficienti, soprattutto se confrontate con l’entità della crisi. In particolare, le misure dedicate agli affitti e alla casa sono largamente insufficienti a far fronte alle sfide quotidiane di milioni di italiani.
Le risorse per l’edilizia residenziale pubblica sono state confermate solo in minima parte, con finanziamenti che non risolvono la carenza di alloggi sociali. Il fondo per il sostegno all'affitto è stato solo parzialmente rinnovato, senza un vero incremento delle risorse necessarie per coprire l'enorme gap esistente. Inoltre, non sono stati previsti interventi strutturali per risolvere il problema degli sfratti per morosità incolpevole, che ogni anno colpiscono migliaia di famiglie, lasciando senza casa chi non ha potuto pagare l’affitto a causa della perdita di lavoro o delle difficoltà economiche.
Non ci resta che mandarli a vivere sotto un Ponte?