Il mondo in «apatia», fondi umanitari ridotti all’osso e la necessità di mettere subito sul piatto 23 miliardi di dollari per salvare 87 milioni di vite: l’appello delle Nazioni Unite in vista del nuovo anno
Il 2026? L’anno che verrà, per le persone più in difficoltà nel mondo a causa di guerre, crisi climatica e drammatiche problematiche ad esse connesse? Le cifre, innanzitutto. Due, in particolare. La prima: 23 miliardi di dollari. La seconda, legata alla prima: quella somma di denaro è necessaria per salvare nell’immediato 87 milioni di vite in 50 diversi Paesi. Poi le considerazioni: quella somma di denaro è necessaria ma non sufficiente, è di almeno 10 miliardi inferiore a quello che secondo l’Onu sarebbe impellente mettere in campo, è figlia dei drastici tagli ai fondi umanitari decisi a livello globale e in particolare dagli Stati Uniti a guida Trump, ammonta a meno della metà di quanto richiesto nel corso del 2025 e rappresenta l’1% di quanto è stato speso nell’ultimo anno nel mondo per armamenti.
È questo il desolante quadro che emerge dal “Global Humanitarian Overview 2026” (“Panoramica umanitaria globale 2026”) delle Nazioni Unite. Leggendo la valutazione annuale delle esigenze umanitarie globali e delle modalità di risposta alle stesse emerge la discrepanza tra quanto messo a disposizione per far fronte alle emergenze umanitarie e quanto sarebbe necessario avere. L’obiettivo 2026 presentato dall’Onu è così basso non perché le previsioni per il nuovo anno prospettino meno vittime di conflitti, eventi meteo estremi causati dalla crisi climatica, terremoti o epidemie. Il fatto è, spiegano i vertici dell’Ufficio per il coordinamento degli Affari umanitari (Office for the coordination of Humanitarian affairs, Ocha), che si è dovuto decidere dove destinare risorse che ormai sono diventate sempre più scarse. «La priorità immediata è quella di salvare 87 milioni di vite con un finanziamento di 23 miliardi di dollari. L’obiettivo finale, entro il 2026, è quello di raccogliere un totale di 33 miliardi di dollari per sostenere 135 milioni di persone attraverso 23 operazioni nazionali e sei piani per rifugiati e migranti». Il problema è che già i finanziamenti per l’appello Onu del 2025, ovvero 12 miliardi di dollari, «sono stati i più bassi degli ultimi dieci anni e gli aiuti umanitari hanno raggiunto 25 milioni di persone in meno rispetto al 2024», sottolinea l’Ocha. Le conseguenze sono state immediate, viene spiegato: la fame è aumentata, i sistemi sanitari sono stati sottoposti a una pressione schiacciante, l’istruzione è crollata, lo sminamento si è bloccato e le famiglie hanno subito un colpo dopo l’altro, ovvero niente alloggio, niente assistenza in denaro, niente servizi di protezione. E ora arriva il nuovo anno, con risorse ancora troppo basse per far fronte alla realtà. I conti sono questi: «Nel 2026, il più grande piano di risposta individuale è quello per i Territori palestinesi occupati, dove sono necessari 4,1 miliardi di dollari per raggiungere 3 milioni di persone che hanno subito livelli scioccanti di violenza e distruzione. In Sudan, la più grande crisi di sfollati al mondo, sono necessari 2,9 miliardi di dollari per 20 milioni di persone. Il più grande dei piani regionali è quello per la Siria, con 2,8 miliardi di dollari per 8,6 milioni di persone».
Come ha spiegato il responsabile per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, Tom Fletcher, presentando il piano per il 2026 nel corso di un incontro con i media, il report e l’annesso appello Onu «indicano dove dobbiamo concentrare innanzitutto le nostre energie collettive, una vita alla volta»: «La Panoramica umanitaria globale 2026 si basa su riforme, dati concreti ed efficienza. Stiamo trasferendo il potere alle organizzazioni locali, mettendo più denaro direttamente nelle mani delle persone che ne hanno bisogno e, alla base di tutto questo, stiamo rinnovando e ripensando l’azione umanitaria con idealismo, umiltà e speranza».
Il responsabile per gli affari umanitari delle Nazioni Unite ha denunciato il clima di «apatia» di fronte alle sofferenze di milioni di persone e ha tra l’altro fatto presente che i 23 miliardi di dollari necessari per salvare almeno 87 milioni di persone è «una cifra che rappresenta meno dell’1% di quanto il mondo ha speso nell’ultimo anno in armamenti» o «un budget che potrebbe essere coperto se il 10% più ricco del mondo, ovvero tutte le persone che guadagnano più di 100.000 dollari, contribuissero con soli 20 centesimi di dollaro al giorno».
L’Onu presenterà ora l’appello per i finanziamenti 2026 agli Stati membri e chiederà il loro sostegno. I Paesi saranno inoltre esortati a «usare la loro influenza per aumentare la protezione dei civili, compresi gli operatori umanitari, nei conflitti armati, assicurando alla giustizia i responsabili e coloro che li armano». Ha concluso Fletcher: «Condividerò quindi gli importi stanziati e risponderò a una semplice domanda: i governi hanno risposto all’appello? La risposta definirà chi sopravviverà e chi invece cadrà nel dimenticatoio».