
Piketty: «Usa non più affidabili, l’Europa promuova un altro modello di sviluppo»

«Gli Stati Uniti non sono più un paese affidabile». L’analisi che Thomas Piketty fa su Le Monde getta una chiara luce su quel che sta avvenendo intorno alla politica dei dazi avviata da Donald Trump. L’economista francese riconosce che per certi versi non siamo di fronte a una novità: la campagna militare contro l’Iraq all’inizio nei primi anni Duemila ha creato una destabilizzazione nell’intera regione con cui dobbiamo ancora fare i conti, scrive per fare un esempio. Ma, aggiunge, «la crisi attuale è nuova, perché mette in discussione il cuore stesso del potere economico, finanziario e politico del paese, che appare come confuso, governato da un capo instabile e irregolare, senza alcuna forza di richiamo democratico».
Il cuore della questione, scrive Piketty, è il fatto che il Pil della Cina ha superato quello degli Stati Uniti già nel 2016 e attualmente è più alto del 30%. Non solo. In base ai calcoli di economisti di varia provenienza, Pechino raggiungerà il doppio del Pil degli Usa entro il 2035. «La realtà è che gli Stati Uniti stanno perdendo il controllo del mondo», è la conclusione di Piketty. Ancora più grave, aggiunge, è l’accumulo di deficit commerciali che ha portato il paese a un debito estero pubblico e privato di una portata senza precedenti: 70% del Pil nel 2025. «’'aumento dei tassi di interesse potrebbe portare gli Stati Uniti a dover versare al resto del mondo flussi di interessi considerevoli, a cui erano finora sfuggiti grazie alla loro presa sul sistema finanziario mondiale».
C’è poi nel testo di Piketty un paragrafo che potrebbe suscitare una certa apprensione, perché benché non faccia il collegamento diretto tra le due situazioni e il possibile esito analogo, fa un riferimento temporale molto preciso, quello precedente la prima guerra mondiale. Ecco il passaggio: «Da un punto di vista storico, va notato che l'enorme deficit commerciale degli Stati Uniti – circa il 3-4% del Pil in media ogni anno dal 1995 al 2025 – ha un solo precedente per un'economia di queste dimensioni: è approssimativamente il deficit commerciale medio delle principali potenze coloniali europee (Regno Unito, Francia, Germania, Paesi Bassi) tra il 1880 e il 1914». E Trump, aggiunge, «è in fondo solo un leader coloniale impedito»: «Come l'Europa del passato, vorrebbe che la pax americana fosse ricompensata con sussidi versati dal resto del mondo riconoscente, in modo da finanziare eternamente i suoi deficit. Il problema è che il potere statunitense è già in declino, e che l'epoca non si presta più affatto a questo tipo di colonialismo brutale e senza ritegno».
E l’Europa, di fronte a tutto questo? L’Europa, dice Piketty, deve sostenere una profonda riforma della governance del Fmi e della Banca Mondiale, in modo da uscire dall'attuale sistema e dare il giusto posto a paesi come il Brasile, l'India o il Sudafrica. «Se continua ad allearsi con gli Stati Uniti per bloccare questo processo irrimediabile, allora i Brics costruiranno inevitabilmente un'architettura internazionale parallela, sotto la guida della Cina e della Russia». L’Ue, aggiunge, ha commesso un grave errore nel 2024 opponendosi alla proposta di giustizia fiscale promossa al G20 dal Brasile, e votando contro l'istituzione all'Onu di una convenzione quadro sulla tassazione equa, ancora una volta con gli Stati Uniti, «tutto questo per preservare il monopolio dell'Ocse e del club dei paesi ricchi su queste questioni ritenute troppo importanti per essere lasciate ai più poveri».
L’Europa, conclude il ragionamento Piketty, deve finalmente riconoscere il suo ruolo negli squilibri commerciali mondiali. «È facile stigmatizzare le eccedenze oggettivamente molto eccessive della Cina, che come gli occidentali prima di lei abusa del suo potere per sottopagare le materie prime e inondare il mondo di beni manifatturieri». Ma il fatto è che l'Europa tende anche a sottoinvestire sul suo territorio: «Ci vorrà molto di più del rilancio militare e di bilancio tedesco o della mini-tassa sul carbonio alle frontiere attualmente previste perché l'Europa contribuisca finalmente a promuovere un altro modello di sviluppo, sociale, ecologico ed equo».
