L’accordo Usa-Ue sui dazi rallenterà il Pil italiano dello 0,2% e ci costerà 23 miliardi in minor export
«Donald Trump non ha raggiunto un accordo con Ursula von der Leyen, ma piuttosto si è mangiato la presidente della Commissione europea a colazione». La battuta al veleno che pronuncia Viktor Orban commentando in una diretta sulla sua pagina Facebook l’intesa sui dazi al 15% annunciato ieri dalla Scozia sarà pure dettata dall’antipatia che il premier ungherese nutre nei confronti della presidente della Commissione Ue, ma non è poi così lontana dalla realtà. I «dazi reciproci» che il presidente statunitense aveva annunciato ad aprile lanciando l’offensiva commerciale ormai è chiaro che sono tutt’altro che reciproci, viene fagtto notare da più parti. L’Europa per il momento ha deciso di non reagire e di lasciare i dazi sui prodotti americani sulla media dello 0,9%, mentre l’aumento delle tariffe doganali per l’export europeo al 15% rallenterà il Pil della principale economia europea, la Germania, di quasi lo 0,3% e quello italiano di quasi lo 0,2%, secondo i calcoli dell’Ispi. Non solo: come sottolinea sempre l’Istituto per gli studi di politica internazionale, «al danno dei dazi si aggiunge la svalutazione del dollaro, che ha perso il 13% rispetto all’euro dall’insediamento di Trump, rendendo i prodotti europei ulteriormente costosi per i consumatori americani. Per un esportatore italiano, sommando dazio e cambio sfavorevole l’onere totale arriva così a un 21%».
E se parlare in termini di percentuali non dà un quadro chiaro fino in fondo di cosa stiamo parlando, i conti effettuati da altre organizzazioni rendono meglio l’idea di cosa significhi in particolare per l’economia italiana l’accordo Usa-Ue. Confindustria già nei giorni scorsi aveva segnalato le criticità che questa partita ha già comportato per l’Europa, e il Centro studi di viale dell’Astronomia ha calcolato che in futuro le nuove tariffe costeranno al nostro Paese fino a 22,6 miliardi di euro in minori esportazioni, pari a oltre un terzo delle attuali vendite italiane sul mercato americano.
Il 15% di tasse doganali, sottolineano artigiani e imprenditori italiani, avrà ricadute pesanti su tutti i settori. «L'Italia è uno dei principali esportatori negli Stati Uniti e quindi qualsiasi innalzamento dei dazi ha riflessi molto negativi, in particolare sul sistema delle piccole imprese», afferma in una nota la Cna evidenziando che ai 67 miliardi di euro di vendite dirette, occorre sommare circa 40 miliardi di flussi indiretti che in larga parte sono beni intermedi nei settori della meccanica e della moda dove è prevalente la presenza delle piccole imprese. «Si scrive 15 ma si legge 30% - commenta il Presidente della Cna Dario Costantini - ed è una tassa ingiusta e sproporzionata che penalizza il Made in Italy ma avrà riflessi negativi anche sull'economia americana».
Quello che chiede la Cna, così come Confindustrai, sono sostegni e compensazioni per le aziende italiane. «E ci attendiamo a breve la riattivazione del tavolo sull'export a Palazzo Chigi per un confronto su strumenti e criteri per mettere a disposizione del sistema delle imprese i 25 miliardi assicurati dal governo», dice Costantini.