
Più posti di lavoro e a tempo indeterminato? I dati Istat sgonfiano la retorica Meloni sull’occupazione

Il presidente dell’Istituto nazionale di statistica (Istat) Francesco Maria Chelli ha presentato stamani in Parlamento il “Rapporto annuale 2025. La situazione del Paese”, dal quale emerge un quadro occupazionale molto diverso dalla narrazione del Governo Meloni sul mondo del lavoro.
I problemi partono da lontano, considerando che dal 2000 al 2024 il Pil in Italia è aumentato del 9,3% in termini reali, mentre nello stesso periodo la crescita è stata di circa il 30% in Germania e Francia e di oltre il 45% in Spagna. Nello stesso periodo il numero degli occupati è aumentato del 16%, in linea con Francia e Germania, ma questa crescita è stata sostenuta soprattutto dalle attività dei servizi a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di lavoro – ovvero nei settori a bassa produttività, come il turismo che Meloni presenta come «uno dei motori trainanti» dell’economia – e non compensata dall’espansione delle attività a produttività elevata: come conseguenza, il Pil per occupato in Italia si è ridotto del 5,8%, mentre in Francia, Germania e Spagna è cresciuto di circa l'11-12%.
Come risultato, nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale. Il 23,1% ricade in almeno una delle tre condizioni che definiscono il rischio di povertà o esclusione sociale: rischio di povertà (18,9%), grave deprivazione materiale e sociale (4,6%), bassa intensità di lavoro (9,2%).
Alla luce dell’inquadramento Istat, anche l’effettivo incremento degli occupati nell’ultimo anno si presenta in una prospettiva molto diversa. Nel Paese si contano 23 milioni e 932 mila occupati, ovvero un aumento pari a 352mila unità in corso d’anno, e a crescere sono stati in particolare i posti a tempo indeterminato (+3,3%), mentre quelli a termine risultano in calo (-6,8%). Tutto bene dunque? Non proprio.
«La crescita dell’ultimo anno – spiega l’Istat – è dovuta in più di otto casi su dieci all’aumento degli occupati con 50 anni e oltre, che nel 2024 rappresentano il 40,6% dell’occupazione totale, registrando anche un forte incremento rispetto al 2019 (+12,5%). Al contrario, il numero di occupati 35-49enni (36,9% del totale) rimane al di sotto del valore del 2019 di oltre 500 mila unità, a fronte di un calo di un milione e 393 mila individui residenti in questa classe di età. Il tasso di occupazione cresce soprattutto tra gli individui di 45-54 anni (+1,3% in un anno) e, in misura leggermente maggiore, tra quelli di 55-64 anni (+1,7%). Più contenuto l’aumento per gli individui con età compresa tra 25 e 44 anni, mentre per i giovani di 15-24 anni il tasso di occupazione subisce un calo di 0,7 punti».
La concentrazione del lavoro permanente tra gli individui con 50 anni o più e il maggiore aumento dell’occupazione in questa fascia di età, dovuto a una «combinazione degli effetti demografici e dei cambiamenti strutturali» in particolare sull’allungamento dei tempi di pensionamento, sono anche «alla base dell’aumento del lavoro a tempo indeterminato nell’ultimo anno».
Il “merito” del Governo Meloni sul fronte dell’aumento occupazionale è dunque sostanzialmente legato al non aver messo mano – come invece promesso in campagna elettorale – alla riforma Fornero, mentre le debolezze strutturali del Paese restano ancora tutte da affrontare.
