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La conversione ecologica, spiegata da Alex Langer

Lentius, profundius e soavius: con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo
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“Io credo che oggi ci sia pochissima fede, giustamente, nelle parole, perché è difficile distinguere la notizia dalla pubblicità, la realtà dalla fandonia, che se ripetuta autorevolmente e televisivamente diventa realtà essa stessa”. Così diceva Alex Langer nel 1994. Un’analisi attualissima di chi le parole, invece, le sapeva usare in modo efficace, innovativo e profetico. Parole che graffiano. Originali, anticipatrici, dissonanti, spesso non comprese anche nel suo stesso mondo.

Era un piacere ascoltarlo, anche se le sue parole ti sfidavano, ti mettevano in discussione. Quante volte mi invitò e ogni volta non potevo che ringraziarlo. Così come oggi quando le vado a rileggere, quasi un dizionario per un “futuro amico” dove “vivere insieme”. A cominciare da uno dei suoi più intensi scritti, il Caro San Cristoforo del 1990: “Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà” per cambiare comportamento. Invece, aggiungeva rivolgendosi al “Santo traghettatore”, “ci vorrà una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita e un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offrono una bella parabola della ‘conversione ecologica’ oggi necessaria”.

Per conversione ecologica, scriveva, “intendo la svolta che occorre per prevenire il suicidio dell’umanità e per assicurare l’ulteriore abitabilità del nostro pianeta e la convivenza tra i suoi esseri viventi”. E pur uomo di sinistra, molto a sinistra, preferiva “questa espressione, piuttosto che termini come rivoluzione, riforma o ristrutturazione, in quanto meno ipotecata e in quanto contiene una dimensione di pentimento, di svolta, di un volgersi verso una più profonda consapevolezza e verso una riparazione del danno arrecato”. Pentimento che riteneva potesse essere “una delle virtù ‘verdi’ praticabili” come “atteggiamento di chi ha sperimentato l’eccesso, la trasgressione, la violazione e se ne rende conto e non ha lo stesso atteggiamento di innocenza di chi non ha mai peccato”.

Alex parlava di ambiente ma soprattutto di uomini. In particolare, “i lontani”. “Sinora il prezzo per le decisioni ed i provvedimenti del mondo industrializzato ed altamente ‘sviluppato’ è stato fatto pagare essenzialmente ad altri, esclusi per giunta dagli stessi vantaggi che tali decisioni e provvedimenti potevano comportare. Il conto da pagare veniva (e viene) dunque intestato ai lontani: a chi è socialmente ‘lontano’ (i poveri, gli strati deboli della società), a chi è geograficamente ‘lontano’ (il ‘terzo mondo’, i popoli impoveriti), ai ‘lontani’ nel tempo (i posteri)”. Parole che ritroviamo nel 2015 nell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco, che sicuramente aveva letto Langer apprezzandone le profonde analisi, a partire da quelle sull’ecologia integrale.

Questo scriveva Alex nel 1989: “Ora è drasticamente tempo che il mondo industrializzato cominci a vivere a proprie spese e a pagare i propri debiti, smettendola di consumare crediti usurpati presso la biosfera e presso i poveri”. Ma anche cambiare il modo di consumare. “Ogni bene e ogni attività è trasformata in merce, e ha dunque un suo prezzo: si può comperare, vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi) e l’utero (per una gravidanza in ‘leasing’)”. Parole allora non comprese nella loro profondità dalla sinistra. Il destino dei profeti.

“Il motto dei moderni giochi olimpici è diventato legge suprema e universale di una civiltà in espansione illimitata: citiusaltiusfortius, più veloci, più alti, più forti, si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi… competere, insomma. Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del ‘di più’ a una del ‘può bastare’ o del ‘forse è già troppo’”. Lui proponeva “il contrario, il lentiusprofundius e soavius, cioè di capovolgere ognuno di questi termini. Con questo motto non si vince nessuna battaglia frontale, però forse si ha il fiato più lungo”.

Parole davvero attuali e profetiche quelle sul razzismo. “È una brutta bestia, quella che sta nascendo o rinascendo in giro per l’Europa, in forme aperte o sottili, ma sempre pericolose e qualche volta subdole. Parlo del razzismo”. In particolare, quello “su diversi e stranieri soprattutto se poveri”. Ha ben chiaro, e sembra di vedere l’oggi, che “la diversità, l’ignoto, l’estraneo complica la vita, può fare paura, può diventare oggetto di diffidenza e di odio, può suscitare competizione sino all’estremo del ‘mors tua, vita mea’”. Contro questo clima, “non servono prediche ma esperienze e progetti positivi ed una cultura della convivenza”. Così è la sua provocatoria e domestica proposta: “la migliore risposta ai delitti razzisti probabilmente non sarebbe il solo corteo, ma cento inviti a cena per altrettanti immigrati presso altrettante famiglie italiane”. Servono “mediatori, costruttori di ponti, saltatori di muri, esploratori di frontiera”. Proprio come lui.

a cura di Toni Mira

La Nuova Ecologia

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