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Pesticidi nel piatto: quasi la metà dei cibi convenzionali contiene residui

Secondo il dossier 2025 di Legambiente cresce il multiresiduo, +14,93% in un anno, e il 75,57% della frutta è contaminata da più sostanze
 |  Enogastronomia moda turismo

Il nuovo dossier Stop pesticidi nel piatto 2025 di Legambiente restituisce un quadro tutt’altro che rassicurante sull’impatto dei fitofarmaci nella filiera agroalimentare italiana. Nonostante anni di promesse e obiettivi europei ambiziosi, la presenza di residui chimici negli alimenti continua a essere diffusa, soprattutto nei prodotti dell’agricoltura convenzionale, mentre l’effetto cocktail rimane totalmente fuori dal perimetro normativo. L’analisi ha preso in esame 4.682 campioni tra frutta, ortaggi, cereali, prodotti trasformati e alimenti di origine animale, provenienti sia da coltivazioni convenzionali che biologiche.

Nel comparto convenzionale quasi la metà dei prodotti, il 47,6%, contiene residui di uno o più fitofarmaci, una quota in crescita. La percentuale di alimenti completamente privi di tracce resta poco sopra la metà ma è in calo rispetto all’anno precedente. Una parte dei campioni, pari al 17,33%, presenta un solo residuo, mentre nel 30,26% si registra la presenza simultanea di più molecole, un fenomeno in aumento che rappresenta l’aspetto più preoccupante perché ancora non considerato dalla normativa europea. Le irregolarità rispetto ai limiti di legge risultano basse, all’1,47%, ma questo dato non riflette il rischio reale, poiché ignora l’esposizione combinata a più principi attivi.

La frutta si conferma il settore più problematico: tre campioni su quattro (75,57%) risultano contaminati e una quota cresce anche nei superamenti dei limiti, pari al 2,21%. Negli ortaggi la presenza di residui interessa il 40,17% dei campioni, anche se le irregolarità rilevate sono poche. Nei prodotti trasformati la percentuale di alimenti con tracce chimiche è del 32,89%. Va meglio negli alimenti di origine animale, dove quasi l’88% risulta completamente privo di residui. Tra i principi attivi più frequenti compaiono insetticidi e fungicidi ampiamente utilizzati, come Acetamiprid, Boscalid, Pirimetanil, Azoxystrobin e Fludioxonil. Il dossier segnala anche la presenza di sostanze vietate da tempo: nei peperoni italiani è stato rilevato Tetramethrin, abolito dal 2002, mentre in patate e zucchine compaiono ancora tracce di DDT, simbolo della persistente contaminazione ambientale.

Il biologico si conferma invece un modello virtuoso: l’87,7% dei campioni risulta completamente privo di residui e le minime tracce rilevate sono attribuibili alla deriva da coltivazioni convenzionali vicine. Solo un campione presenta irregolarità, confermando che i sistemi agricoli a basso impatto chimico rappresentano già oggi un’alternativa concreta, sicura e sostenibile.

«La produzione di cibo biologico risolve il problema alla radice – ha dichiarato Massimo Monti, presidente Consorzio Il Biologico – limitando, nella peggiore delle ipotesi, la presenza di residui a tracce imputabili a derive ambientali. Come Consorzio che da 35 anni promuove diffusione, sviluppo, senso ed utilità della produzione biologica, siamo molto contenti di poter supportare Legambiente in questo percorso di diffusione – trasparente e consistente – di consapevolezza e conoscenza: tutte condizioni necessarie per poter comprendere, agire e migliorare.»

Legambiente sottolinea l’urgenza di un cambio di paradigma. «Questi dati ci dicono che non è sufficiente rispettare i limiti di legge – dichiara Angelo Gentili, responsabile agricoltura di Legambiente – L’obiettivo dev’essere ridurre drasticamente l’uso dei fitofarmaci, attraverso una legislazione europea e nazionale e modelli produttivi che proteggano ecosistemi e salute delle persone. Il multiresiduo resta una minaccia sottovalutata, soprattutto quando parliamo di bambini e fasce più vulnerabili della popolazione, ed è un campanello d’allarme che non possiamo ignorare. Esistono alternative concrete – prosegue Gentili – in chiave agroecologica: l’adozione diffusa di tecniche di biocontrollo, con sostanze naturalmente presenti in natura — come l’acido pelargonico — in grado di eliminare infestanti in modo alternativo rispetto al Glyfosate, rispettando la biodiversità del suolo; l’adozione di rotazioni colturali e sovesci, che ripristinano fertilità e interrompono i cicli di parassiti; la tutela degli insetti impollinatori; la protezione della biodiversità agricola e naturale. Accanto a questo, l’impiego di filiere corte e trasparenti, che riducono l’impatto ambientale e rafforzano il legame tra territorio, produttore e consumatore. Questa è la strada da percorrere per garantire qualità, resilienza e reddito agli agricoltori senza compromettere la salute del suolo, dell’acqua e dell’aria.»

Sul terreno politico Legambiente chiede un’accelerazione decisiva, con l’approvazione urgente del regolamento europeo SUR e del nuovo Piano d’Azione Nazionale sui pesticidi, insieme al rafforzamento del monitoraggio ambientale e delle sanzioni contro il commercio illegale di fitofarmaci. Per l’associazione, il diritto a un’alimentazione sicura non può essere delegato ai soli controlli finali o alle scelte dei consumatori. Serve un Green Deal agricolo ambizioso, capace di sostenere realmente la transizione tramite incentivi mirati alla conversione al biologico, semplificazioni per chi adotta pratiche a basso impatto, un’IVA ridotta sui prodotti più sostenibili e un ruolo strategico delle mense pubbliche, che dovrebbero acquistare in maniera strutturale prodotti biologici, locali e di qualità, orientando così il mercato verso un modello più giusto e resiliente.

Vincenza Soldano

Vincenza per l’anagrafe, Enza per chiunque la conosca, nasce a Livorno il 18/08/1990. Perito chimico ad indirizzo biologico, nutre da sempre un particolare interesse per le tematiche ambientali, che può coltivare in ambito lavorativo a partire dal 2018, quando entra a fare parte della redazione di Greenreport.it