Ecco come la crisi climatica guida le aspettative sull’inflazione, spiegato dalla Bce
Ieri la Banca centrale europea ha deciso di mantenere inalterati i tre principali tassi d’interesse vigenti nel Vecchio continente, dato che «l’inflazione rimane prossima all’obiettivo di medio termine del 2%» e che la «valutazione sulle prospettive di inflazione è sostanzialmente invariata».
La decisione è stata annunciata direttamente dalla presidente della Bce Christine Lagarde, durante una conferenza stampa a Firenze: il tasso sui depositi resta al 2%, quello sulle operazioni di rifinanziamento principali al 2,15%, mentre il tasso sulle operazioni di rifinanziamento marginale rimane al 2,4%. Ma i rischi per l’economia non mancano sotto il profilo inflattivo, in una fase storica in cui ancora paghiamo carissima l’ondata d’inflazione iniziata nel 2022 a causa dei rincari nei prezzi dei combustibili fossili, a partire dal gas metano.
«Gli eventi meteorologici estremi e, più in generale, la crisi climatica e ambientale in atto potrebbero far aumentare i prezzi dei prodotti alimentari più del previsto», ha spiegato nel merito Lagarde. E non si tratta solo dei prezzi alimentari, come emerge dal recente working paper della Bce intitolato How do rising temperatures affect inflation expectations?. La Banca centrale europea ha condotto una serie di esperimenti all’interno di un ampio sondaggio rappresentativo della popolazione dell’area euro, assegnando casualmente ai partecipanti scenari ipotetici di cambiamento della temperatura globale, e chiedendo loro in seguito di indicare le proprie aspettative sull’inflazione e su altri principali indicatori macroeconomici in tali condizioni.
«I risultati – dettaglia lo studio – mostrano che un aumento di 0,5 °C della temperatura globale porta a un incremento di 0,65 punti percentuali nelle aspettative di inflazione a cinque anni, con effetti particolarmente marcati tra i consumatori con maggiore consapevolezza del cambiamento climatico. Inoltre, gli intervistati si aspettano effetti negativi del riscaldamento globale sulla crescita economica, sull’occupazione, sul debito pubblico, sul carico fiscale e sul benessere personale. Nonostante queste aspettative pessimistiche, molti consumatori mostrano una disponibilità limitata a pagare per mitigare ulteriori aumenti di temperatura. Al contrario, attribuiscono la responsabilità principale dell’azione climatica ai governi».
E in molti sensi, hanno ragione. Sebbene sia richiesto impegno individuale per far fronte alle emergenze ambientali che abbiamo di fronte – dal risparmio energetico a quello idrico, dai consumi consapevoli alla raccolta differenziata –, la crisi climatica è un problema sistemico che deve dunque essere affrontato a livello sociale e politico per poter mettere in campo risposte efficaci: basti osservare che lo 0,1% più ricco del mondo danneggia il clima in un giorno più del 50% più povero in un anno.
Stiamo attraversando un periodo di trasformazioni profonde – ambientali, politiche, demografiche e sociali – che decisori politici, e spesso noi cittadini con loro, faticano a gestire. I dati scientifici ce lo ricordano con una chiarezza difficile da ignorare. L’autorevole Emission Gap Report delle Nazioni Unite (2024), è esplicito: il mondo si avvia a superare la soglia di 1,5°C di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali di fine Ottocento entro questo decennio, con le politiche attuali che ci portano verso un riscaldamento compreso tra 2,6 e 3,1°C.
Siamo dunque lontani dagli obiettivi fissati a Parigi – non solo dal limite dei 2°C, ma soprattutto da quello, più ambizioso e vitale, di 1,5°C. In termini concreti, significa che ci stiamo avvicinando a un aumento delle temperature – e dell’instabilità climatica – molto superiore a quello che già oggi sperimentiamo, con conseguenze in termini di vite umane, danni economici, migrazioni e tensioni sociali. I dati Copernicus mostrano che l’Europa si riscalda a un ritmo doppio rispetto alla media globale, mentre ondate di calore, incendi e alluvioni stanno diventando la nuova normalità climatica.
A questo quadro già allarmante si aggiungono i risultati di studi più recenti: secondo Forster e colleghi (2025), il mondo è ormai sul punto di superare definitivamente il limite di 1,5°C. Il bilancio di carbonio residuo si sta esaurendo rapidamente e, mantenendo gli attuali livelli di emissioni, potrebbe essere completamente consumato entro il 2028. In altre parole, abbiamo meno di cinque anni per rendere l’Accordo di Parigi ancora una possibilità reale.