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Ronchi: «Consolidare l’industria del riciclo vuol dire anche concorrere all’autonomia»

Perché l’economia circolare? Il costo dell’import materiali in Italia è salito a 568 miliardi di euro

Si tratta di un incremento dei costi pari al 34% dal 2019, la dipendenza dalle importazioni nel 2024 è arrivata al 46,6%. Eppure il riciclo di plastiche e Raee è in crisi
 |  Green economy

Il 31% del Pil italiano dipende dall’impiego delle cosiddette materie prime critiche, ovvero quei materiali (34 critici e 17 strategici, per l’esattezza) che l’Ue ha messo al centro del Critical raw materials act, poi acquisito nella normativa italiana da uno specifico decreto legge. Il recentissimo piano ResourcEu approvato dalla Commissione Ue punta a garantire l'approvvigionamento nel Vecchio continente, dalle terre rare al cobalto al litio, con l’Italia a rappresentare il primo Paese per dipendenza da importazioni extra-Ue: il riciclo sarebbe la strada maestra da percorrere per unire autonomia strategica e sviluppo sostenibile, eppure la filiera di maggiore interesse sotto questo profilo – quella dei rifiuti elettrici ed elettronici, Raee – è tra le più in crisi.

È quanto emerge dall’edizione 2025 del rapporto Riciclo in Italia, pubblicata ieri dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile guidata dall’ex ministro dell’Ambiente Edo Ronchi. Basti osservare che la Commissione europea ha proposto l’introduzione di una tassa di 2 euro al Kg per i Raee non raccolti che in Italia comporterebbe un importo di circa 2,6 miliardi all’anno. Si potrebbe utilizzare una cifra equivalente, o almeno una sua parte, invece che da versare come tassa, come investimento, pagato dai produttori, nei sistemi di raccolta (il tasso di raccolta Raee min Italia nel 2024 è sceso sotto il 30%, molto al disotto del target europeo del 65% in vigore dal 2019) e nelle iniziative previste dall’Accordo di programma del Coordinamento Raee con l’Anci.

Più in generale, investire nell’economia circolare permetterebbe di ridurre i rischi per un Paese come l’Italia, che rappresenta la seconda potenza industriale d’Europa ma storicamente possiede poche materie prime critiche. «Il riciclo dei rifiuti è d’importanza strategica per l’industria italiana, fortemente dipendente dall’importazione di materiali a costi crescenti – sottolineano nel merito della Fondazione – Nel 2024 la dipendenza dalle importazioni di materiali dell’Italia è stata del 46,6%, più del doppio della media europea, del 22,4%, maggiore degli altri grandi Paesi, e anche il costo delle importazioni di materiali è salito da 424,2 Mld€ nel 2019 a ben 568,7 Mld€ nel 2024, con un aumento del 34%». Nel computo rientrano anche flussi come quelli dei combustibili fossili, che ovviamente non è possibile riciclare, ma la maggior parte è costituita da metalli, minerali, biomasse e altri materiali.

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In Italia interi settori industriali si reggono sul riciclo grazie al 74,1% dei rifiuti speciali riciclati, che hanno prodotto ben 133 milioni di tonnellate di materiali recuperati. Nel 2024 la produzione di acciaio nazionale deriva per l’89% dal riciclo di rottame ferroso, per quasi 20 milioni di tonnellate. Il 56% della materia prima impiegata nell’ industria cartaria è costituita da macero ricavato dal riciclo di carta e cartone, pari a ben 5,2 milioni di tonnellate. L’industria dei pannelli e dei mobili di legno si basa sul riciclo del 67,2% di rifiuti in legno, pari a circa 2,3 milioni di tonnellate. Il tasso di riciclo delle bottiglie di vetro ha superato l’80% e ha raggiunto 2,1 milioni di tonnellate.  

«In Italia, su un totale di 160 Mt di rifiuti trattati (urbani e speciali), ne vengono avviati a operazioni di riciclo ben 137 Mt – snocciola il rapporto – Di fatto, l’Italia ricicla l'85,6% del totale dei rifiuti gestiti, a fronte di una media europea del 41,2%».

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Occorre però evidenziare anche le ombre di quest’ottima performance: basti osservare che il flusso più ingente di rifiuti generati ogni anno in Italia (quelli da costruzione e demolizione) vanta tassi di riciclo oltre l’80%, ma le stesse imprese di settore informano che «poco più della metà dei rifiuti riciclati oggi viene effettivamente utilizzato». Anche il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo (Cmu), calcolato da Eurostat, ci pone tra i primi della classe – il dato italiano è 2,6% contro una media Ue del 12,2% – ma è solo in parte uno specchio fedele della realtà: come spiegato su queste colonne da Andrea Sbandati e messo in evidenza da un recente rapporto Assoambiente, il tasso di circolarità misura quanta parte dei complessivi flussi di materia impiegati dal nostro sistema economico – in totale oltre 500 mln di tonnellate di materie prime l’anno – provengono dal riciclo dei rifiuti (urbani e speciali), ma lo fa considerando nei flussi di materia anche i combustibili fossili usati (che non possono per natura essere riciclati, ma solo bruciati) e il materiale stoccato in manufatti e beni (come opere, edifici, prodotti): per questo motivo le percentuali risultano così basse: in altre parole, se anche riciclassimo il 100% dei rifiuti, in Italia probabilmente non supereremmo il 25% come tasso di circolarità. Per aumentare ancora il tasso di circolarità non basta riciclare di più (numeratore della formula), occorre consumare in assoluto meno risorse (denominatore della formula).

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Dove il Paese fa indubbiamente molto bene è il riciclo degli imballaggi, che rappresentano però solo l’8% circa di tutti i rifiuti generati. Nel riciclo degli imballaggi l’Italia si conferma un’eccellenza europea con il 76,7%, ben oltre il target del 65% al 2025 e del 70% al 2030 (carta e cartone 92%; vetro 80,3%; acciaio 86,4%; alluminio 68,2%; legno 67%, biocompostabili 57,8%; plastica oltre il target europeo del 50%). Anche a fronte di questo quadro complessivamente positivo emergono però alcune forti criticità, come la crisi del riciclo delle plastiche.

Nonostante anche nel 2024 sia aumentate sia la raccolta differenziata che la quantità avviate al riciclo dei rifiuti degli imballaggi in plastica, arrivando al 51,1, oltre il target europeo del 50%, l’attività industriale di riciclo delle plastiche è entrata in crisi: i fatturati sono calati, domanda e prezzi sono scesi ai minimi.  Nel 2025 la crisi sta peggiorando. Nel 2024, benché la produzione di Pet da riciclo sia aumentata, il fatturato è calato del 18%, anche per la cresciuta concorrenza del Pet vergine a basso costo e per quella del Pet riciclato, proveniente dall’estero, in aumento e occupando circa il 20% del mercato nazionale. La situazione nel 2025 è peggiorata. L’ obbligo del 25% di contenuto riciclato nelle bottiglie di Pet, in vigore dal 1° gennaio 2025, non ha aumentato la domanda del Pet riciclato, probabilmente perché l’obbligo è privo di sanzioni.  La crisi ha coinvolto anche tutti gli altri polimeri plastici generati col riciclo meccanico.

«Nonostante le difficoltà che l’intero sistema industriale sta affrontando nel nostro Paese – commenta Ronchi – il settore del riciclo, complessivamente, sia per quantità trattate sia per i fatturati, mantiene performance positive confermandosi non solo una eccellenza europea ma anche un settore strategico per l’economia italiana. Consolidare l’industria del riciclo vuol dire anche concorrere alla autonomia e sicurezza di approvvigionamento di materiali e ridurre l’alta dipendenza dalle loro importazioni».

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.