Studio Enea sul suolo: elementi genetici dei batteri possono rivelare la contaminazione da antibiotici e metalli pesanti
Oggi è la Giornata mondiale del suolo, e se l’Italia ha un serio problema riguardo la questione del consumo di suolo, sempre dal nostro Paese arriva però una buona notizia. L’Enea ha identificato un nuovo indicatore attraverso cui ottenere indicazioni circa lo stato di salute dei suoli agricoli. Come si legge in uno studio svolto dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile in collaborazione con Università della Tuscia, l’indicatore in questione è rappresentato dagli
elementi genetici che vivono all’interno dei batteri, detti «integroni», che ospitano geni di resistenza agli antibiotici e ai metalli pesanti, fungendo da biomarcatori di contaminazione e pressione ambientale. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Agriculture e mostra come la struttura di questi «integroni» possa raccontare molto su salute e adattamento microbico dei terreni agricoli, in quanto permettono ai microrganismi di acquisire, scambiare ed esprimere quei geni che consentono un adattamento rapido a fattori di stress ambientali.
I ricercatori hanno esaminato le variazioni nella composizione degli integroni in tre differenti contesti: nel digestato derivato da rifiuti urbani e scarti agricoli e alimentari, nel compost e nei suoli rizosferici, cioè la porzione di terreno attorno alle radici delle piante. Spiega Andrea Visca, coautore dello studio e biotecnologo del laboratorio Enea Innovazione delle filiere agroalimentari: «Il digestato è risultato il più ricco di integroni complessi e diversificati, a testimonianza che i batteri possono facilmente acquisire o scambiare geni di resistenza agli antibiotici, rendendo questo ambiente più ‘a rischio’ per la diffusione delle resistenze». Al contrario, il compost ha mostrato una struttura molto più semplice, dimostrando che alte temperature e processi di maturazione riducono fortemente la complessità degli integroni. Evidenzia Luciana Di Gregorio, biologa e coautrice dello studio presso lo stesso laboratorio Enea: «Per la salute del suolo, quindi, il compost può essere considerato un ammendante più sicuro rispetto al digestato: i suoi integroni presentano una struttura più semplice, quindi meno rischiosa, mentre la ricchezza di microrganismi che contiene può contribuire a migliorare le funzioni ecologiche e la salute del terreno».
Nell’ambito dello studio, sono stati inoltre analizzati i terreni rizosferici di grano duro e tenero, che hanno mostrato caratteristiche intermedie, ma con una buona presenza di geni che conferiscono resistenza ai metalli pesanti come il cromo, probabilmente dovuta a pressioni selettive legate all’uso di ammendanti agricoli o alla composizione geochimica del terreno. «Un aspetto nuovo e interessante emerso dalle nostre indagini è che le due specie di grano prese in considerazione mostravano differenze nella capacità di ‘modellare’ i microrganismi associati alle radici», sottolinea la coautrice dello studio Manuela Costanzo, altra biotecnologa del laboratorio Enea.
«L’organizzazione e la varietà degli integroni diventano quindi una sorta di ‘cartina al tornasole’ sia per monitorare la salute del suolo e la resilienza dei microbi, sia per valutare la sostenibilità delle pratiche agricole e il rischio di diffusione nell’ambiente di geni di resistenza agli antibiotici», aggiunge Visca. «Con la prospettiva di un’agricoltura sempre più attenta alla salute del suolo e alla logica One Health – conclude – il nostro studio apre la strada a nuovi strumenti di monitoraggio ambientale: osservare come cambiano gli integroni potrebbe diventare un modo efficace per guidare scelte agronomiche più sicure e sostenibili. Un esempio è il digestato che, pur essendo una preziosa fonte di nutrienti, può fungere da potenziale vettore di resistenza antimicrobica, rendendo necessari ulteriori trattamenti o un impiego limitato nelle aree più sensibili».