In Italia le dispersioni di metano sono 56 volte superiori alla media atmosferica
La media atmosferica del metano è di circa 2 parti per milione (ppm). Ma in Italia ci sono zone in cui è arrivata a toccare 1.600 ppm o addirittura 2.600 ppm. Sono casi isolati ed eclatanti, è vero, registrati in aree dove sono presenti impianti di regolazione e misura, ma la media sul territorio nazionale non è affatto di poco conto, aggirandosi tra le 50 e 60 volte quel valore a causa delle dispersioni di metano dalle infrastrutture del gas, dovute sia a perdite causate da una manutenzione assente o insufficiente degli impianti sia a pratiche di venting (rilascio diretto di metano in atmosfera). A gettare luce sul fenomeno è Legambiente, che oggi ha presentato il report “Italia hub degli sprechi”, in cui si traccia il bilancio della terza edizione di “C’è Puzza di Gas - Per il futuro del Pianeta non tapparti il naso”, la campagna nazionale dedicata al monitoraggio delle dispersioni di metano dalle infrastrutture del gas fossile, quest’anno realizzata su incarico dell’Environmental investigation agency nell’ambito del Methane matters coalition.
Per la precisione, segnala l’associazione ambientalista sulla base delle analisi effettuate nel corso del tempo sono 56 volte superiori alla media atmosferica di metano le dispersioni del gas fossile rilevate nelle 61 infrastrutture della rete monitorate: la concentrazione media complessiva misurata su 153 componenti - tra flange, valvole e giunzioni - raggiunge 111,7 ppm. Un valore significativo che, se confrontato con le soglie di riferimento utilizzate, si colloca in una fascia di livello medio.
Dietro questo valore medio si nasconde un quadro di criticità diffuse: il monitoraggio, condotto con lo strumento del “naso elettronico” in oltre 60 impianti distribuiti in otto regioni italiane (Basilicata, Piemonte, Campania, Marche, Lombardia, Veneto, Umbria e Calabria) mostra infatti che il 55,3% delle misurazioni supera la soglia dei 10 ppm, oltre la quale le emissioni, dal punto di vista climatico, non possono essere considerate trascurabili.
Il quadro resta preoccupante anche analizzando le medie per singolo elemento: cinque componenti su un totale di 153 presentano concentrazioni elevate, con valori oltre i 1.000 ppm; 20 rientrano nella fascia media (tra 100 e 1.000 ppm); 91 mostrano livelli bassi e 37 si collocano nella fascia irrilevante, con valori fino a 10 ppm. Tra i casi più significativi spiccano la stazione di valvola di Jesi (AN), dove due flange hanno registrato una concentrazione media di 2.665 ppm; l’impianto di regolazione e misura di via Moglia a Settimo Torinese (TO), con cinque tubi di sfiato a 2.008 ppm; e la cameretta di misura di Grumento Nova (PZ), in Basilicata, che ha fatto segnare una media di 1.653 ppm, tutti in una fascia di livello alto.
Da sottolineare che i dati emersi nel monitoraggio di Legambiente sono sottostimati rispetto a quella che potrebbe essere la realtà. Infatti, dovendo rimanere al di fuori del perimetro dell’impianto stesso, le analisi sono state svolte a distanza. Se lo stesso fosse avvenuto nei pressi degli elementi, a pochi centimetri di distanza, i risultati sarebbero stati decisamente più elevati.
«In Italia, il tema delle dispersioni di metano non è considerato prioritario, nonostante l'urgenza di affrontarlo per contrastare il cambiamento climatico, ridurre la dipendenza dal gas e fermare lo spreco di una risorsa che il Governo italiano continua, erroneamente, a ritenere insostituibile», sostiene Katiuscia Eroe, responsabile energia Legambiente. «Il monitoraggio delle emissioni, portato avanti da Legambiente con C'è Puzza di Gas, mette in luce come le perdite di metano siano un problema significativo, aggravato da alcuni ritardi nell'attuazione del Regolamento europeo sul metano. I dati, che riportano risultati decisamente cautelativi considerando che i monitoraggi sono avvenuti a una certa distanza dalle infrastrutture, evidenziano anche la necessità di un cambiamento radicale nelle politiche energetiche, con un deciso spostamento dalle fonti fossili alle energie pulite, attraverso politiche di efficienza energetica, sviluppo delle rinnovabili, accumuli e reti, per garantire una produzione energetica più sostenibile, meno costosa e più democratica. Una strategia mirata per ridurre le perdite lungo le filiere fossili e migliorare le infrastrutture potrebbe portare benefici concreti: una minore necessità di importazioni di gas, una riduzione dei costi per le bollette energetiche e vantaggi per gli operatori, che potrebbero ottimizzare la distribuzione del gas. Fondamentale, inoltre, che il nostro Paese avvii subito politiche di cooperazione con i Paesi importatori per stabilire standard di importazione. Su questo il Regolamento europeo è fortemente critico».
Legambiente non si limita a segnalare il problema, ma avanza anche sette proposte per sollecitare un impegno deciso da parte delle istituzioni italiane per rispettare i tempi previsti dall’Europa e adottare misure ancora più ambiziose. Secondo l'associazione ambientalista solo attraverso politiche tempestive e coraggiose, l'Italia potrà emergere come esempio per l'Europa, seguendo il modello virtuoso della Norvegia, che nonostante sia il Paese europeo con le maggiori esportazioni, ha ridotto le proprie emissioni di gas metano, fino quasi ad azzerarle, grazie a politiche stringenti di monitoraggio e controllo.
Le proposte sono le seguenti: 1) Rispettare tutte le scadenze del Regolamento UE sul metano e avere un ruolo attivo in Europa per impedire che venga incluso nel pacchetto Omnibus, che semplifica alcune norme climatiche e ambientali a livello europeo; 2) Raggiungere l'obiettivo di cooperare con i Paesi esportatori di combustibili fossili per ridurre le emissioni di metano, anticipando l’introduzione a livello Ue della soglia di intensità di metano delle importazioni; 3) Creare un piano di riduzione delle emissioni per tutti i settori, con particolare attenzione al settore energetico, prevedendo monitoraggi mensili delle perdite e interventi tempestivi per chiudere tutte le dispersioni, modulando i tempi di riparazione in base alla grandezza delle perdite, senza escludere quelle più piccole. Il tutto evitando aumenti delle bollette e garantendo trasparenza sui costi; 4) Quantificare le emissioni per comprendere l'entità del problema, in modo da poter elaborare un piano efficace di riduzione e garantire il rispetto degli obiettivi del Global Methane Pledge. Inoltre, stabilire standard chiari e qualificati per le imprese e gli operatori del settore; 5) Il Governo deve impegnarsi a seguito della presentazione dell’inventario dei pozzi inattivi, a presentare la relazione delle emissioni di metano associate, e al conseguente piano per la loro chiusura definitiva e bonifica 6) Introdurre severe sanzioni economiche per chi pratica attività inquinanti come venting e flaring e rivedere il meccanismo di ARERA che attualmente riconosce i costi per le perdite di rete su criteri standard; 7) Considerare la manutenzione e il monitoraggio degli impianti come standard minimi garantiti, che gli operatori del settore devono assicurare per ridurre le emissioni.
A sottolineare l’urgenza di interventi concreti nella lotta al cambiamento climatico, compresa la riduzione immediata delle emissioni di metano, è il presidente nazionale Legambiente, Stefano Ciafani, che ribadisce l’impegno dell’Italia nel Global Methane Pledge e nel Regolamento europeo: «Il Paese, insieme ad altri 160 Stati, ha aderito volontariamente al Global Methane Pledge, impegnandosi entro il 2030 a ridurre del 30% le emissioni di metano rispetto ai livelli del 2020. Tuttavia, dal 2020 le emissioni globali del settore petrolifero e del gas sono aumentate del 6%, un segnale preoccupante che evidenzia quanto, stando alle politiche attuali, sia difficile raggiungere gli obiettivi fissati. Un segnale positivo arriva dal Regolamento europeo sul metano, che per la prima volta introduce norme più rigorose e scadenze chiare per gli operatori. Nonostante ciò, l’Italia - tra i Paesi con la maggiore intensità di emissioni - è ancora priva di un sistema efficace di monitoraggio e quantificazione, rischiando di compromettere sia gli obiettivi del Global Methane Pledge sia quelli di decarbonizzazione. A destare preoccupazione è anche il persistere dei ritardi nell’attuazione delle scadenze previste dal Regolamento: su 11 termini fissati per il 2025, solo sette sono stati rispettati. In particolare, questioni cruciali come l’approvazione delle autorità competenti e l’introduzione delle sanzioni rimangono ancora aperte. Inoltre, la previsione di introdurre standard di qualità alle importazioni solo tra cinque anni è troppo tardi, considerando che oltre il 50% dei contratti di importazione scadrà entro i prossimi 5 anni e quasi il 60% entro 10 anni. Questo ritardo potrebbe vanificare gli sforzi europei e globali nella riduzione delle emissioni, mettendo seriamente a rischio il rispetto degli impegni internazionali».
Nel report l’associazione ambientalista dedica una sezione al potenziale di riduzione delle emissioni in Italia, sottolineando come il settore energetico rappresenti il comparto con le maggiori opportunità di intervento immediato sulle dispersioni di metano, rispetto ad altri settori come rifiuti, agricoltura e allevamento. Un potenziale legato alla disponibilità di soluzioni tecnologiche già mature ed economicamente sostenibili, in grado di migliorare il monitoraggio degli impianti e di contenere le dispersioni, anche attraverso pratiche di reimmissione del gas in rete. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, anche senza phase-out delle fonti fossili, in Italia sarebbe possibile ridurre del 65% le emissioni di metano lungo la filiera petrolifera e del gas, generando ricavi stimati in 20 milioni di dollari, di cui oltre la metà a costo netto zero. Nel nostro Paese le misure più efficaci e a basso costo riguardano soprattutto il settore del downstream del gas, attraverso attività più frequenti di rilevamento e riparazione delle perdite e la sostituzione di dispositivi pneumatici con motori elettrici. Nonostante questo potenziale, l’Italia non dispone ancora di una strategia concreta sul metano: nel PNIEC 2024 le misure sono indicate in termini generici, prevedendo monitoraggio della filiera, riparazione delle perdite, riduzione dello sfiato e del flaring, cattura dei volumi dispersi e controllo dell’impronta emissiva negli import, anche attraverso l’uso di tecnologie avanzate come droni, satelliti e intelligenza artificiale.