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L’eradicazione e le pappardelle. Risposta a Feri sui cinghiali all’Elba

Quando si parla di eradicazione non si parla di culinaria o di piatti tipici
 |  Natura e biodiversità

Ho letto con attenzione l’intervento/risposta del mio amico Stefano Feri sulla questione filiera e/o eradicazione dei cinghiali e devo dire francamente che l’ho trovato abbastanza riduttivo e un po’ “democristiano”.

Infatti, non intendevo certo mettere in dubbio l’impegno e l’efficacia degli interventi del Parco Nazionale per contenere la popolazione elbana di cinghiali – che conosco bene, visto che li ho anche chiesti e approvati come rappresentante delle associazioni in Consiglio Direttivo del Parco – né il fatto che i piatti a base di cinghiale siano gustosi e che ci si possano fare ottimi prosciutti, salumi e salsicce… Quello che intendevo dire è proprio quello che Stefano sottolinea nella prima parte del suo intervento (il Parco è l’unica istituzione a fare davvero qualcosa e l’eradicazione è ostacolata da altri interessi, anche politico/amministrativi), per poi sminuirla  nella seconda parte parafrasando i gatti bianchi e neri  e i topi di Deng Xiaoping: non importa come si cucinano i cinghiali, basta che si eliminino. Il problema è che il problema sta proprio qui.

E’ evidente che la filiera elbana del cinghiale  (caccia – macellazione – trasformazione – vendita) viene proposta come alternativa all’eradicazione e presuppone la conservazione della “risorsa” – cioè i cinghiali che all’Elba non ci dovrebbero essere –  mentre l’eradicazione prevede l’eliminazione totale della risorsa – i cinghiali – nel tempo più breve possibile, sotto controllo scientifico e non certo per rimpinguare il mercato della carne (a quello illegale ci pensano già i bracconieri) e far guadagnare chi quel problema lo ha creato e allevato.

L’eradicazione di una specie invasiva non può essere “lenta” (se qualcuno pensa a un investimento per 20 anni, scrive giustamente Stefano) perché non servirebbe a salvaguardare le altre specie e sarebbe solo l’attuale “gestione” che perpetua -  pur con i numeri di catture e abbattimenti che dice il Presidente facente funzione e con l’impegno solitario del Parco -  l’attuale insostenibile popolazione di cinghiali (e mufloni).

Feri evidenzia tra le righe l’esistenza di un problema politico, ma i problemi politici si risolvono richiamando Governo, Ministero dell’Ambiente, Regione e Comuni alle loro responsabilità, pretendendo che si attuino quelle misure di contrasto alle specie invasive e difesa della biodiversità autoctona previste dalla normativa europea, altrimenti, se andrà bene, la discussione sui cinghiali resterà quella sulla ricetta e l’etichetta del vasetto del sugo per le pappardelle o sulla giusta stagionatura del prosciutto.

Io non ho niente contro i cinghiali, che mi sono simpatici e mi piacciono anche cucinati, ce l’ho invece con chi li ha introdotti e allevati e ancor di più con chi – per non perdere qualche voto -  li ha lasciati proliferare non facendo le scelte necessarie, per poi dare la colpa a un incolpevole Parco. Ecco, quando si parla di eradicazione non si parla di culinaria  o di piatti tipici, si parla di intervenire per porre fine a un disastro ecologico causato da scelte politiche e venatorie sbagliate. Se il Parco Nazionale vuole davvero l’eradicazione di cinghiali e mufloni, come abbiamo asserito nelle deliberazioni che abbiamo approvato, è arrivato il tempo che chieda conto con forza di tutto questo a chi non vuole affrontare la situazione. E, come hanno dimostrato i fallimenti delle “alternative” proposte in passato,  i diversivi e le proposte balzane servono solo a non affrontare la situazione.

Umberto Mazzantini, Direttivo Parco Nazionale Arcipelago Toscano

Redazione Greenreport

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