
L’Italia è arrivata alla Conferenza Onu sugli oceani, ma non ha ancora ratificato il Trattato

Il sottosegretario all’Ambiente Claudio Barbaro ha celebrato ieri a Nizza – dove è in corso la terza Conferenza Onu sugli oceani – il 25° anniversario dell’Accordo Pelagos, ma al tavolo delle Nazioni Unite il nostro Paese si presenta a mani vuote.
«Purtroppo, l'Italia ancora non ha ratificato il Trattato Onu sugli oceani ed è ancora ben lontana dal raggiungere l'ambizioso obiettivo di proteggere almeno il 30% dei nostri mari entro il 2030, così come indica la comunità scientifica per evitare il collasso della biodiversità», spiega Valentina Di Miccoli, Campaigner Mare e Oceani di Greenpeace Italia.
Secondo i dati messi in fila dal National Biodiversity Future Center (NBFC), nel nostro Paese è protetto il 15,5% delle aree marine e il 21,4% degli ambienti terrestri – dunque un ampio ritardo sul target 2030 –, ma secondo gli ambientalisti questa prospettiva è fin troppo rosea: secondo un rapporto Wwf pubblicato lo scorso ottobre «in Italia la superficie terrestre protetta si ferma al 21,68% dell’intero territorio nazionale, e per il mare va ancora peggio perché solo l’11,62% della superficie marina italiana è protetta», mentre Greenpeace evidenzia che «meno dell’1% dei mari italiani è sottoposto a misure di tutela efficaci […] Solo le Amp e i Parchi nazionali hanno regolamenti stringenti in grado di tutelare effettivamente la biodiversità marina, mentre il Santuario Pelagos e i Sic rientrano nella categoria dei cosiddetti “parchi di carta”, aree individuate e definite importanti per la loro biodiversità ma in cui non vengono messe in atto misure di mitigazione o limitazione degli impatti antropici».
Resta ambiguità anche sul fronte delle estrazioni minerarie nei fondali marini internazionali; il presidente del Consiglio dell'Ue António Costa – in rappresentanza di tutti gli Stati membri dell'Unione europea – ha chiesto per la prima volta una moratoria sull’estrazione mineraria in acque profonde, mentre l’Italia non si è ancora espressa nel merito.
Ma il pericolo avanza. Se è reale la necessità di trovare nuove fonti d’approvvigionamento per le risorse minerarie, preziose anche per alimentare la transizione ecologica, c’è chi corre in avanti: ad esempio, mentre l’International seabed authority dell’Onu è al lavoro per dare regole globali al settore, gli Usa di Donald Trump hanno dato via libera al deep sea mining.
La Conferenza deve essere il momento in cui i governi si uniscono per respingere la richiesta della compagnia The Metals Company di iniziare le estrazioni minerarie nei fondali marini internazionali, una mossa che mina sia le Nazioni Unite che la cooperazione multilaterale – aggiunge Di Miccoli – Deve essere anche il momento per una forte dichiarazione sulla riduzione della produzione di plastica in vista dell'ultimo round di negoziati per un trattato globale sulla plastica, e per un'ondata di nuove ratifiche del Trattato Onu sugli oceani».
