Amnesia ecologica. La nostra memoria breve ci ha fatto scordare come era davvero la natura
Lo studio scientifico dei cambiamenti della biodiversità è, in termini storici, relativamente recente, è praticamente iniziato negli anni '50, quando gli effetti dell'attività umana sull'ambiente stavano già diventando evidenti, che so è iniziato a raccogliere sistematicamente dati. Questo significa che, in molti casi, gli unici riferimenti disponibili per gli sforzi di conservazione o ripristino della biodiversità provengono da ecosistemi già alterati. Stiamo gradualmente accettando come normalità una natura, terrestre e martina, che in realtà è molto più povera di quella del passato e questo perché tendiamo a utilizzare come parametro di riferimento per quel che è “normale” la durata della nostra vita. Questo solleva una domanda cruciale: come possiamo studiare l'ecologia di epoche in cui l'impatto umano sugli ecosistemi era minore?
La risposta arriva in parte dallo studio “Integrating historical sources for long-term ecological knowledge and biodiversity conservation” pubblicato recentemente su Nature Reviews Biodiversity e che è il risultato di SOURCES, un simposio e workshop tenutosi nel marzo 2023 alla Casa de la Ciencia di Siviglia nell'ambito del progetto europeo SUMHAL, finanziato dal Ministero spagnolo della Scienza e dell'Innovazione attraverso i fondi FESR dell'Ue, e che ha riunito esperti di biologia della conservazione, ecologia, storia, geografia e paleobiologia per discutere i numerosi tipi di informazioni storiche sulla biodiversità e come queste possano essere integrate nella ricerca e nella gestione della natura. Il team internazionale di ricercatori affronta questa sfida dal punto di vista dell'ecologia storica , un campo che attinge a un'ampia gamma di fonti storiche, artistiche e archeologiche, per ricostruire l'aspetto della biodiversità in passato e come questa conoscenza possa orientare le attuali politiche di conservazione.
Come spiega l’autrice principale dello studio, Laetitia Navarro della Estación Biológica de Doñana, «Le persone tendono a prendere come riferimento per l'aspetto di una natura sana quel che hanno conosciuto nel corso della loro vita o ciò che le loro famiglie hanno trasmesso loro. Ma la trasmissione di informazioni tra le generazioni raramente va oltre i nonni, quindi, generazione dopo generazione, ecosistemi sempre più degradati vengono accettati come la norma». Questo fenomeno, noto come amnesia ecologica o "sindrome dello spostamento della linea di base ", ha un'enorme influenza sulle aspettative sociali in materia di conservazione e sulle attuali politiche sulla biodiversità.
La Navarro aggiunge: «Quando pensiamo allo studio della natura nel passato, le prime cose che ci vengono in mente sono l'analisi di resti archeologici o esemplari conservati in collezioni scientifiche. Ma molti ignorano il potenziale di lettere, dipinti, vecchie mappe o tradizioni orali per far luce sui cambiamenti nella biodiversità e contribuire a progettare strategie di conservazione più consapevoli. Utilizzare una varietà di fonti per ricostruire la conoscenza ecologica a lungo termine può aiutarci a riconnetterci con il nostro patrimonio naturale e ad affinare la nostra percezione del cambiamento della biodiversità».
Il team di ricercatori identifica 8 tipologie di fonti storiche che possono aiutare la comunità scientifica a ottenere preziose informazioni sulle specie, sugli ecosistemi e sulle modalità di interazione delle società con la natura.
La combinazione di più fonti può anche aiutare a chiarire la storia ecologica delle specie. In Spagna, lo studio di ogni tipo di documento storico, ricettario e dizionario geografico ha rivelato che il gambero di fiume, un tempo ritenuto autoctono, è stato in realtà introdotto dall'Italia più di 400 anni fa, una scoperta che costringe a riconsiderare le attuali strategie di conservazione. Un altro esempio proviene dal Messico, dove la tradizione orale, i documenti storici e i reperti archeologici hanno permesso di ricostruire quasi 300 anni di pesca della tartaruga verde del Pacifico orientale , un'informazione fondamentale per stabilire obiettivi di recupero per la specie.
Alle Hawaii, la combinazione di dati provenienti da siti archeologici, etnografie e resoconti sulla pesca ha rivelato periodi storici e contemporanei di ripresa delle popolazioni di corallo. Nella Guinea meridionale, vecchie fotografie aeree, materiali scritti e racconti orali hanno dimostrato che foreste e savane si sono espanse durante il XIX e il XX secolo, contraddicendo le narrazioni coloniali di massiccia deforestazione, che hanno guidato le politiche di gestione del territorio.
L'integrazione di fonti storiche e culturali consente anche ai ricercatori di identificare le cause del cambiamento ecologico sui lunghi periodi e di orientare le politiche di ripristino e conservazione. Nel Canada sudoccidentale, l'analisi di cumuli di conchiglie, resti archeologici e fonti orali ha rivelato che la maggior parte degli incendi boschivi veniva appiccata intenzionalmente dalle comunità indigene come tecnica di gestione del territorio, lasciando un'eredità ecologica sulla composizione e la struttura della regione.
In Danimarca, all'inizio del 1900, il salmone era così comune che i braccianti agricoli del fiume Skjern, nello Jutland occidentale, avevano stipulato nei loro contratti che non potevano consumare quel pesce per più di cinque pasti a settimana. La notizia è emersa dagli archivi locali quando la madre di uno degli autori del nuovo studio, il biologo Jens-Christian Svenning dell’Aarhus Universitet, ha scoperto la genealogia della famiglia ed è lo stesso scienziato danese a confermare che «Documenti d'archivio come appunti, protocolli e contratti sono ottimi esempi di fonti preziose per comprendere la biodiversità del passato. In questo caso, il contratto rivelava la presenza di molti salmoni nel fiume, anche se il testo era stato originariamente scritto per motivi completamente diversi».
Tornando al concetto di "sindrome della linea di base mutevole", Svenning spiega a sua volta che «Quando ogni generazione considera il proprio tempo come "normale" e il graduale deterioramento della natura viene dimenticato, i cambiamenti ambientali vengono accettati senza riconoscere la perdita. Se consideriamo solo i dati recenti, rischiamo di trascurare quanto fosse ricca la fauna selvatica un tempo. Il “Gårdskarlenes kontrakt ” testimonia che il nostro punto di riferimento contemporaneo per lo “stato naturale” potrebbe essere significativamente più povero rispetto all'esperienza delle generazioni precedenti. Non stiamo solo perdendo specie e popolazioni di animali e piante, ma anche la memoria di che era un tempo era la natura. Documenti storici, disegni e registri non sono una documentazione consolidata, ma molto più che una semplice curiosità. Dato che questo doveva essere menzionato nei contratti, è plausibile supporre che nel sistema fluviale ci fossero molti salmoni».
Ma in molti casi disponiamo solo di riferimenti ad ecosistemi già modificati. Quindi, i ricercatori hanno dovuto risalire alla storia e trovare fonti più antiche con descrizioni – o immagini – dell'ecologia risalenti a periodi in cui l'influenza umana sulla natura era molto minore. Svenning evidenzia che «Un buon esempio sono le pitture rupestri. Nel sud della Francia, si trovano pitture rupestri di leoni incredibilmente dettagliate, raffigurate in modo naturalistico e in branco. Ci forniscono preziose informazioni sull'aspetto e il comportamento degli animali, qualcosa che non possiamo dedurre solo dai reperti scheletrici».
Svenning ha un altro esempio che ama mostrare: un'incisione su rame del XVI secolo con un motivo che raffigura una costa e acque brulicanti di capodogli in migrazione: «Quando parliamo di ambiente marino, è stimolante vedere un'immagine con molti capodogli. Oggi non c'è più una popolazione di capodogli nel Mare del Nord, ma l'illustrazione storica è una chiara testimonianza di come la biodiversità possa scomparire senza lasciare traccia nella nostra memoria collettiva. Tendiamo a considerare la nostra durata di vita – magari ripensando ai nostri genitori o nonni – come un parametro di riferimento per la salute della natura. La nostra memoria collettiva raramente risale a tempi più antichi, e quindi tendiamo ad accettare come normali ecosistemi sempre più degradati. Le fonti antiche aiutano a ripristinare il legame con il nostro patrimonio naturale. Può essere difficile immaginare un Mare del Nord con molte balene, anche molto vicino alla costa, ma fa la differenza sapere che questa era effettivamente la realtà qualche centinaio di anni fa. E’ proprio questa intuizione che può contrastare la sindrome da evoluzione della linea di base e in futuro rafforzare l'ambizione per la natura. L'ecologia storica fornisce informazioni preziose sul passato della biodiversità, e questa conoscenza è fondamentale per prendere decisioni sostenibili per la natura del futuro. In relazione al grønne trepart e ai piani di piantagione di nuovi alberi in Danimarca, sarebbe ovvio che venissero presi in considerazione anche i dati storici sulle nostre antiche foreste. Questo può essere fatto attraverso la raccolta di vecchie fotografie, mappe o opere d'arte. I dipinti del Secolo d'Oro dell'inizio del XIX secolo sono particolarmente preziosi: mostrano l'aspetto del territorio di allora e possono ispirarci a ricreare aree naturali più varie e boscose. Mostrano che le foreste erano in precedenza molto più aperte e luminose, con una ricca composizione strutturale di alberi vecchi e giovani, arbusti ed erbe - condizioni che favoriscono una ricca biodiversità in contrasto con le foreste odierne».
Le nuove tecnologie svolgeranno un ruolo chiave nello studio e nell'utilizzo delle fonti storiche. La digitalizzazione e l'intelligenza artificiale contribuiranno a svelare informazioni su questioni ambientali e di biodiversità che altrimenti sarebbero passate inosservate negli archivi storici. Questa prospettiva promuove lo sviluppo di progetti di lavoro interdisciplinari che integrano storia, ecologia e informatica, per digitalizzare, condividere e integrare i dati storici sulla biodiversità. In modo complementare, la citizen science può svolgere un ruolo essenziale nell'identificazione e nella mobilitazione di dati storici rilevanti sulla biodiversità , sia contribuendo con dati storici personali come vecchie fotografie, sia partecipando a progetti di ricampionamento come il progetto Paisajes centenarios, sia estraendo dati storici da materiale digitalizzato su piattaforme online dedicate.