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Dalla fantasia alla scienza: perché il petrolio non deriva dai dinosauri

Capire l’origine del petrolio per cambiare il nostro futuro, dalla trappola fossile alle energie rinnovabili
 |  Scienza e tecnologie

Forse ti è capitato di vedere questa simpatica immagine in cui i dinosauri si trasformano in petrolio, il petrolio diventa plastica e dalla plastica nascono di nuovo dinosauri giocattolo.

petrolio dinosauri

L’idea che il petrolio derivi dai dinosauri è un mito più radicato nella cultura popolare che nella scienza. È diffusa la convinzione che i resti di questi giganteschi animali, dopo milioni di anni, si siano trasformati in petrolio. Tuttavia, la realtà è ben diversa.

Il mito del petrolio dai dinosauri

La correlazione tra dinosauri e petrolio ha origini più pubblicitarie che scientifiche. Negli anni ’30, la Sinclair Oil Corporation, una compagnia petrolifera statunitense, adottò un brontosauro verde chiamato Dino come mascotte.

Logo della Sinclair Oil Corporation petrolio dinosauri

Questo simbolo iconico suggeriva, implicitamente, che il petrolio derivasse dai dinosauri. L’idea ha preso piede, complice il fascino di questi animali preistorici, ma in realtà il petrolio ha un’origine diversa.

Da dove viene veramente il Petrolio?

Il petrolio si forma dalla decomposizione di minuscoli organismi (microorganismi) marini e terrestri vissuti centinaia di milioni di anni fa.
Nelle rocce sedimentarie troviamo i resti di ciò che un tempo era materia organica vivente che possiamo suddividere in:

  • Materia organica marina: deriva da microorganismi come fitoplancton, zooplancton e batteri. Questi organismi, dopo la loro morte, si depositano sul fondo marino, contribuendo alla formazione dei sedimenti.
  • Materia organica continentale: proviene dalle terre emerse ed è formata da elementi come pollini, spore e altri resti vegetali. Tra questi troviamo componenti specifici chiamati palinomacerali, che includono vitrinite, cutinite, inertinite. Trasportati in mare dai fiumi e dai corsi d’acqua, questi organismi si aggiungono ai sedimenti marini e contribuiscono alla formazione del petrolio.

Accumulo e preservazione della Materia Organica

Perché la materia organica si trasformi in petrolio, deve essere isolata dall’ossigeno, per evitare che si decomponga completamente. Per questo motivo, la sua conservazione e accumulo avvengono in ambienti poveri di ossigeno o del tutto privi di esso,definiti anossicio euxinici (dal nome latino del Mar Nero, Pontus Euxinus).

Affinché la materia organica sfugga ai processi di ossidazione e decomposizione completa, è fondamentale che venga rapidamente sepolta sotto strati successivi di sedimenti. Questo rapido seppellimento la isola dall’ossigeno atmosferico e della porzione più superficiale della colonna d’acqua e limita l’azione degli organismi, favorendone la conservazione e la successiva trasformazione nel tempo.

ingv 3Bacino sedimentario dove la materia organica è sepolta da sedimenti successivi andando incontro a seppellimento via via più profondo. Immagine di C. Caricchi, INGV

Trasformazione e Maturazione della Materia Organica

La maturazione della materia organica avviene attraverso tre stadi principali:

 1) Diagenesi (fino a 50°C, ~1000 m di profondità)

  • La materia organica viene trasformata in kerogene, che rappresenta lo stadio intermedio tra la materia organica originale e gli idrocarburi.
  • Questo processo è facilitato dall’azione di batteri che scompongono le molecole più grandi.
  • In questa fase la materia organica contenuta all’interno dei sedimenti è ancora “immatura” per generare idrocarburi.
  • l’azione di decomposizione da parte dei batteri può generare un gas leggero, definito metano biogenico.

2) Catagenesi (50-150°C, > 2 km di profondità)

  • Qui avviene la trasformazione vera e propria: il kerogene, sottoposto a pressioni e temperature più elevate, continua a scomporsi in molecole più semplici. Questo processo porta inizialmente alla formazioni di idrocarburi liquidi (petrolio) e nella fasi finali alla generazione di idrocarburi gassosi come il metano.
  • La maggior parte del petrolio si forma in questa fase, all’interno della cosiddetta “finestra dell’olio” (Oil Window), tra 60°C e 150°C.
  • Le rocce diventano più compatte, riducendo la porosità e la permeabilità.
  • In questa fase la roccia madre (costituita da sedimenti ricchi di materia organica) è definita Matura

3) Metagenesi (oltre 150°C ~5-6 km di profondità))

  • il kerogene continua a maturare, e si possono ancora produrre più o meno limitate quantità di gas naturale (metano).
  • Con l’aumentare della temperatura e pressione il kerogene da maturo diventa sovramaturo, un residuo carbonioso che perde ogni capacità di generare idrocarburi

Queste fasi sono seguite dal metamorfismo, un processo che avviene a temperature ancora più elevate e profondità maggiori, trasformando completamente i sedimenti, e la sostanza organica in esse contenuta, in rocce metamorfiche.

Migrazione e accumulo del petrolio

Una volta formato, il petrolio migra attraverso le rocce permeabili fino a raggiungere una roccia serbatoio, dove si accumula in trappole geologiche. Queste trappole sono costituite da rocce impermeabili che impediscono al petrolio di migrare ulteriormente, creando così i giacimenti petroliferi sfruttati dall’uomo.

ingv 4Esempio di una trappola per Idrocarburi. Gli idorcarburi formatesi nella roccia madre migrano nella roccia serbatoio in cui rimangono intrappolati grazie alla roccia di copertura impermeabile che ne impedisce il passaggio. Immagine di C. Caricchi, INGV

Perché è importante l’origine del petrolio?

Conoscere la vera origine del petrolio non è solo una questione di curiosità, ma aiuta a comprendere meglio il valore di questa risorsa e il suo impatto ambientale.
Il petrolio è il risultato di trasformazioni geologiche accadute nell’arco di milioni di anni. E’ una risorsa non rinnovabile, riflettiamo quindi sull’importanza di utilizzare alternative sostenibili.

Lo sfruttamento intensivo dei giacimenti di idrocarburi è una delle principali cause del cambiamento climatico, poiché contribuisce significativamente all’aumento delle emissioni di gas serra, come il diossido di carbonio. Questo processo accelera il riscaldamento globale e gli eventi meteorologici estremi, rendendo ancora più urgente la transizione verso fonti energetiche pulite e rinnovabili, come l’energia solare ed eolica, per mitigare gli effetti devastanti del cambiamento climatico e garantire un futuro più sostenibile.

di Chiara Caricchi e Simonetta Cirilli

Glossario

Fitoplancton: insieme di piccoli organismi vegetali, fotosintetici, che vivono sia in acque marine che in acque dolci e costituiscono una parte significativa della catena alimentare. La sua distribuzione è strettamente legata alla disponibilità di luce e nutrienti.

Zooplancton: microscopici organismi animali che vivono sospesi nella colonna d’acqua di ambienti acquatici, marini e d’acqua dolce. A differenza del fitoplancton, lo zooplancton si nutre di altri organismi, spesso anche del fitoplancton o di altri componenti del plancton e rappresenta un anello chiave nella catena alimentare.

Cisti di dinoflagellati: I dinoflagellati sono organismi unicellulari flagellati, caratterizzati da una teca cellulosica. Si tratta di alghe essenzialmente marine, appartenenti alla classe Dinophyceae.

Kerogene: un geopolimero, definito come materia organica complessa ed insolubile nei solventi organici.

INGV

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) è stato costituito con Decreto legislativo 29 settembre 1999, n. 381, dalla fusione di cinque istituti già operanti nell'ambito delle discipline geofisiche e vulcanologiche: l’Istituto Nazionale di Geofisica (ING), l’Osservatorio Vesuviano (OV), l’Istituto Internazionale di Vulcanologia di Catania (IIV), l’Istituto di Geochimica dei Fluidi di Palermo (IGF) e l’Istituto di Ricerca sul Rischio Sismico di Milano (IRRS).