La crisi ecologica e il maltrattamento degli animali
La crisi ecologica dei nostri tempi va di pari passo con il maltrattamento degli animali. La vita degli animali, soprattutto di quelli selvatici, mai ha raggiunto livelli così distruttivi da parte dell’uomo, senza nessuna eccezione. Di questo grande disastro sono tutti responsabili, incluse le popolazioni umane che vivono ancora nelle foreste, nelle savane africane e in Sud America tra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno o nelle distese ghiacciate dell’Artico (Polo Nord) e anche dell’Antartico (Polo Sud).
Il fatto più grave è che l’Artico, più dell’Antartico, si sta riscaldando a una velocità quattro volte superiore a quella del resto del nostro Pianeta. Entro il 2100, a causa del riscaldamento globale, l’Artico, così come lo conosciamo ora, non ci sarà più.
Nell’Antartico non ci sono popolazioni umane stabili che vivono in quel territorio, ma anche in questo luogo del mondo il disastro ambientale è sotto gli occhi di tutti soprattutto a causa dei cambiamenti climatici e anche per una certa attività antropica, anche se occasionale. Se questo è successo e sta succedendo in un territorio veramente inospitale per l’uomo (al Polo Sud la temperatura può raggiungere anche i 60°C sotto zero), possiamo immaginare quello che è successo e che sta succedendo nelle aree temperate del nostro Pianeta.
In Africa, a causa dell’impatto umano, non certamente solo industriale, c’è una crisi ecologica spaventosa: in molte nazioni africane la popolazione umana sta aumentando vertiginosamente e negli ultimi decenni, per esempio, i gorilla di montagna stanno scomparendo soprattutto a causa del bracconaggio e della deforestazione. Sui Monti Virunga, in cui vivono i gorilla, solo in un anno sono state rimosse dalle guardie forestali centinaia di trappole in cui finiscono, oltre alle antilopi per le quali sono state soprattutto collocate, anche i gorilla e altre scimmie incluso lo scimpanzé comune.
Quest’ultima scimmia, insieme a tante altre scimmie, è nella lista rossa della Iucn (International union for conservation of nature) e quindi in grave pericolo di estinzione. Certo, non dobbiamo pensare solo agli animali appena citati, ne esistono anche altri che sono fondamentali per il mantenimento della biodiversità. La crisi ecologica, non solo in Africa, ma in tutto il Pianeta, è arrivata a un punto tale che è difficile immaginare un’inversione di tendenza. Le leggi internazionali emanate per la protezione della natura, sia in Africa sia nel resto del mondo, vengono spesso disattese, per non parlare dell’inquinamento da sostanze polifluoroalchiliche (Pfas), oltretutto cancerogene, che vengono utilizzate soprattutto in agricoltura, nei cosmetici e persino nei detersivi. In questi ultimi tempi i ricercatori hanno scoperto altri inquinanti con una grande potenzialità tossica, presenti per esempio nella frutta, come il Tfa (acido trifluoroacetico) e il Dfa (acido difluoroacetico). Prima di proseguire su questi fatti molto gravi e che possiamo trovare più dettagliatamente descritti nelle riviste specializzate, c’è da parlare del cosiddetto Overshoot day, il giorno dell’esaurimento della biocapacità del nostro Pianeta impossibile da invertire e che sta raggiungendo livelli allarmanti, anche se naturalmente non sono gli stessi per tutti i Paesi del mondo.
Alcuni infatti hanno l’Overshoot day, per ora, nel mese di novembre (per esempio il Nicaragua l’11 novembre e l’Indonesia il 18 novembre), ma per altri, come gli Stati Uniti d’America, è il 13 marzo. L’Italia non è messa tanto meglio. Per il nostro Paese l’Overshoot day è il 6 maggio. Se l’avvertimento non fosse chiaro, vuol dire che l’Italia il 6 maggio ha già esaurito la possibilità di sfruttare tutte le risorse che il pianeta è in grado di rigenerare e che gli italiani hanno a disposizione per tutto l’anno. Dopo il 6 maggio siamo dunque tutti in debito verso la nostra Terra.
Nel calendario questo indice purtroppo tende a scendere ogni anno e quando arriverà al 1° gennaio sarà la fine: in quel giorno ci mangeremo l’uno con l’altro o ci faremo una guerra atomica totale nella quale moriremo tutti, persino coloro che lanceranno le bombe per primi. Come purtroppo stiamo constatando, si stanno preannunciando tempi molto brutti. Molti scienziati, tra i quali il più noto è certamente Paul Crutzen, premio Nobel per la chimica nel 1995, stanno dicendo che dall’inizio del terzo millennio non viviamo più nell’Olocene, iniziato circa 11 mila anni fa, ma che è iniziata una nuova era geologica: quella dell’Antropocene, cioè quella in cui l’uomo ha iniziato ad avere un impatto incontrovertibile su tutto l’ecosistema, attraverso il riscaldamento globale, il cambiamento climatico, il buco dell’ozono, la scomparsa di moltissime specie animali, soprattutto quelle selvatiche, il disboscamento, lo sfruttamento delle acque dolci, la pesca incontrollata, l’inquinamento eccetera.
A dire il vero, molto tempo prima di Crutzen e dei suoi colleghi, esattamente nel 1873, un geologo italiano, Antonio Stoppani, aveva già preannunciato questa catastrofe ecologica nel nostro Pianeta, definendola però Era antropozoica, un termine molto più calzante di quello utilizzato da Crutzen, in quanto Stoppani mise al centro della sua visione la portata del valore zoologico delle diverse specie animali con all’apice l’uomo. Il fatto singolare è che Stoppani, nonostante le sue anticipazioni, non è stato mai citato né da Crutzen né dagli altri geologi e scienziati che lavorano in questo campo che al riguardo fanno conferenze dappertutto e che sono noti in tutto il mondo, mentre il povero Stoppani non lo conosce nessuno, eppure è stato un grande scienziato e patriota che, tra l’altro, ha combattuto nelle guerre di Indipendenza dell’Italia dal giogo austro-ungarico.
Ma torniamo ai nostri punti di partenza, non tanto alla crisi ecologica di cui abbiamo già parlato, anche se per sommi capi, ma al maltrattamento animale. Nonostante di primo acchito le due questioni sembrino non collegate tra loro, in realtà hanno molti punti in comune. Quali sono? Per spiegare uno dei più importanti, partiamo dal grande poeta latino Quinto Orazio Flacco (65 – 8 a.C). Orazio disse che la violenza sugli animali da parte dell’uomo è la premessa della violenza sugli esseri umani. Orazio però non aggiunse altri aspetti ancora più importanti. Dati i tempi in cui visse non poteva prevederli, non se ne parlava. Non si potevano prevedere le crisi climatiche e altri disastri di questo genere. Ai suoi tempi non c’era ancora una mentalità capace di giudicare i disastri ecologici causati dall’uomo, anche se i due fenomeni, da un lato l’uccisione smisurata degli animali e dall’altro la distruzione dell’ambiente (anche i Romani lo facevano su larga scala), siano sempre stati legati tra loro.
Abbiamo dovuto aspettare più di duemila anni da Orazio, per capire quali siano stati e quali siano tuttora i crimini di proporzioni stupefacenti contro l’ambiente e contro gli animali. In conclusione, per invertire l’ordine delle idee sarebbe necessario penetrare con il nostro pensiero più approfonditamente nella vita degli animali e nelle loro menti, ma non lo facciamo mai. Per capire, anche se non è facile, occorrerebbero una moralità nuova, una ecologia nuova e la proposta di un nuovo paradigma. Non è facile anche perché, dati i tempi in cui viviamo, l’uomo si affida troppo disinvoltamente e in tutti i campi a burattinai globali multimiliardari delle società informatiche che gestiscono, per esempio, gli ultimi chatbot o i social media, che ci spingono verso la disumanizzazione delle relazioni affettive, non solo quelle rivolte verso noi stessi ma verso tutto il mondo della natura, provocando una sorta di demenza digitale dilagante e un forte ritardo cognitivo per chi li usa smodatamente.
A tale proposito, sagge (ma inascoltate) sono state le parole di Papa Francesco, quando disse che è vero che l’intelligenza artificiale è uno strumento che ha molte potenzialità, ma deve soprattutto servire per uno sviluppo più sano, più umano, più ugualitario, più sociale e più integrale di tutta l’umanità.