Deforestazioni, alluvioni e altri disastri provocati dall’uomo
La deforestazione in ogni angolo del mondo, dalla Svezia al Sudafrica, dal Sud e Centro America alle Filippine, è la causa di molti mali. Non che non ci siano altri mali dell’umanità, ma questo è uno dei principali.
La deforestazione incessante, oltre al danno paesaggistico e naturalistico che arreca all’ambiente, provoca un grave depauperamento di tutto l’ecosistema e della biodiversità con conseguenze che stanno diventando sempre più irreversibili, irrecuperabili, nonostante tutte le buone intenzioni, ammesso che ce ne siano. A giudicare dalle apparenze, le buone intenzioni sono sempre molto formali e fondamentalmente false.
È inutile che le scuole, una volta all’anno, mandino gli scolari a raccogliere le immondizie e la plastica ai margini dei fiumi, nei giardini e nei parchi, quando i genitori di questi stessi bambini gettano nell’ambiente e senza scrupoli i loro rifiuti: cicche di sigarette, cartacce, pacchetti di sigarette vuoti, lattine di ogni tipo, bottiglie, pneumatici e persino frigoriferi. Certo, non tutti si comportano in questo modo, ma basta guardarsi intorno per vedere quanto questa condotta sia frequente. Le autorità locali, persino gli stessi inquinatori (fabbriche, industrie tessili, fonderie, raffinerie eccetera), spesso finanziano delle campagne ecologiste, promuovono persino conferenze sull’ambiente, ma poi sono loro per primi a provocare danni ambientali.
Non voglio citare il Paese che prenderò ora come esempio, ma negli ultimi vent’anni lungo le sue strade di campagna, dove abito, ho visto decimare centinaia di piante secolari, querce in particolare, che sono state abbattute per allargare le strade (lavori non necessari, tra l’altro dispendiosi per la comunità, ma che invitano gli automobilisti ad andare a più di 100 Km/h in queste stradine di campagna), addirittura per disporre cassonetti dell’immondizia che potevano essere collocati altrove, per costruire nuove abitazioni, per fare legna (quello delle querce è un legno molto pregiato sia da ardere sia per la fabbricazione di mobili, anche se in Italia questa industria è praticamente ridotta al lumicino, praticamente tutta delocalizzata).
L’assurdo è che le querce sono piante protette dalla legge, che quindi non dovrebbero essere mai abbattute. Con la scusa della loro pericolosità (poi non si capisce bene quale), il Corpo forestale, senza tanti indugi, concede ai Comuni e alle loro municipalizzate, molto meno ai privati, di abbattere a destra e sinistra senza scrupoli tutto ciò che a loro giudizio ingombra. Questo fa sorgere il sospetto che esista un circolo ristretto di soggetti che ci guadagnano sopra, meno se ne avvantaggia, ovviamente, l’ambiente, che è di tutti, come di tutti sono le piante. Ho visto querce in piena salute e di grossa taglia morire in brevissimo tempo e senza una ragionevole spiegazione. Dicono perché intaccate dalle termiti e dalle formiche, ma questi insetti, per mettere in pericolo una quercia secolare dovrebbero impiegare centinaia di anni, non un paio d’anni. Viene anche il sospetto che ogni tanto qualcuno getti del petrolio sulle loro radici per farle morire. Non sarebbe la prima volta che questo capita sia nel nostro Paese sia all’estero.
Non ci si deve meravigliare. Questo è stato un escamotage per gli agricoltori, in un passato non molto lontano, per facilitare la coltivazione intensiva dei cereali (grano, mais, girasole, colza eccetera), per guadagnare spazio e per evitare di fare tante manovre con i loro trattori, più simili a macchine spaziali gigantesche che ai trattori di un tempo, intorno alle piante secolari e ingombranti, e soprattutto per abbatterle e ricavarci legna da ardere che oggigiorno viene venduta a peso d’oro. In un territorio come quello italiano, sia di pianura sia di montagna, la coltivazione intensiva è stata una grande disgrazia!
Quando si arriva nelle Marche, è di questa Regione che sto parlando, sebbene nelle altre regioni italiane la situazione non sia migliore, anzi, in alcune forse è peggiore, tutto risulta paesaggisticamente molto bello e rilassante, ma questa apparenza nasconde una realtà ben diversa soprattutto agli occhi di chi conosceva il paesaggio per come era un tempo. Se questo è il concetto della modernizzazione e se questi sono i costi che dobbiamo pagare per essa, sarebbe meglio fare delle serie valutazioni e riflessioni a riguardo. Non possiamo più far finta di niente se vogliamo salvare il nostro paesaggio.
In tutte le Regioni italiane esiste un assessorato alla forestazione, a prescindere dal fatto che ci siano o meno grandi foreste nel territorio, esistono delle Agenzie di servizio per il settore agroalimentare, ma insieme non riescono a migliorare la situazione. Molti operatori hanno poi scarsa sensibilità per la protezione del territorio e spesso non sono nemmeno autonomi nei giudizi e soprattutto nelle loro decisioni, per mancanza di fondi adeguati, per condizionamenti politici o altro di questo genere. Altro che gestione forestale sostenibile. Nonostante ciò si continuano a finanziare, non solo in Italia ma in tutto il mondo, delle ricerche, da parte di grandi multinazionali della produzione agricola, orientate più che altro alla coltivazione di prodotti ogm (organismi geneticamente modificati) che, a dispetto dei primi entusiasmi, sembra sia piuttosto negativa, sia dal punto di vista del depauperamento della biodiversità sia perché sembra che queste coltivazioni aumentino la presenza dei parassiti che diventano sempre più resistenti ai fitofarmaci. È come il cane che si morde la coda.
Se poi tutto questo avesse uno scopo, cioè l’aumento della produzione agricola, sarebbe anche accettabile, ma fino a un certo punto. Il fatto è che in un solo anno, le aziende agricole marchigiane che hanno dovuto chiudere o svendere sono state più di quattromila. Se su poco più di diecimila, quattromila sono le aziende nella nostra Regione, cioè quasi quasi la metà, che hanno dovuto chiudere, vuol dire che questo modo di gestire l’agricoltura nelle Marche è fallimentare.
È inutile dire che le foreste e i nostri boschi garantiscono la biodiversità, che sono fondamentali per la stabilità climatica, che sono utili per consolidare il terreno e per evitare frane molto pericolose, smottamenti eccetera, se poi non si prendono provvedimenti seri sul controllo del territorio. Inutile è anche che si facciano convegni a riguardo, alcuni dei quali a livello internazionale, addirittura finanziati dall’Onu e dalla Fao. Queste riunioni servono a ben poco se non si passa poi dalle parole ai fatti.
Non abbiamo tratto nessun insegnamento dalle recenti alluvioni che si sono verificate sia nelle Marche sia in Romagna che hanno spazzato via migliaia di ettari di terreno coltivato a frumento e distrutto interi villaggi, tutti edificati in tempi recenti, senza un serio piano regolatore che limitasse le costruzioni ai margini dei fiumi e dei fiumiciattoli che hanno poi straripato a causa di piogge torrenziali.
Non si potevano prevedere, dato il cambiamento climatico, queste catastrofi? Certo, ma non è stato fatto niente e i fondi fino a ora stanziati sono stati dimezzati per la ricostruzione, che tra l’altro va molto a rilento, ma sono molti pochi per iniziare una politica di insediamento urbano nuovo e diverso. Tutto questo non si riflette solo sulle opere costruite dall’uomo e andate distrutte dalle alluvioni, ma anche sulla biodiversità su cui però non si riflette, e tantomeno lo fanno coloro che sono stati danneggiati direttamente dalle intemperie.
L’International union for conservation of nature (Iucn) ha dichiarato che, dalla scomparsa dei dinosauri, avvenuta circa 65 milioni di anni fa, gli uomini e solo gli uomini degli ultimi due secoli, stanno portando molte specie animali e vegetali all’estinzione più velocemente di quanto sia la loro capacità di evolversi e di dare origine a nuove specie. In sostanza l’uomo sta intervenendo pesantemente sui processi evoluzionistici della nostra vita sulla Terra. Alla fine, quando meno ce lo aspettiamo, sarà la natura tutta a presentarci il conto.