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Finalmente l’acqua in prima pagina. L’analisi S&P conferma che la crisi climatica è uno spartiacque per l’economia delle Regioni italiane

 |  Editoriale

Ieri nella prima pagina del Sole24 ore, giornale tradizionalmente improntato ai temi dell’economia e della finanza, giganteggiava un titolo per alcuni versi insolito: “S&P: il rischio idrico può pesare su conti e rating delle Regioni”.

Secondo S&P Global Ratings (di cui pubblichiamo il report integrale, ringraziando per la disponibilità, ndr) il rischio legato alla scarsità d’acqua e alla cattiva gestione delle risorse idriche potrebbe pesare sui conti pubblici e sul rating delle Regioni italiane, soprattutto al Sud e in alcune aree del Nord, come la Pianura Padana. La dispersione d’acqua e infrastrutture inefficienti riducono gli investimenti e penalizzano settori chiave come turismo, energia e agricoltura, con effetti negativi sul gettito fiscale locale. Il rischio idrico, avverte S&P, potrebbe frenare la crescita economica e richiedere maggiori spese pubbliche in futuro.

In Italia e Spagna la crescente scarsità d’acqua sta diventando una sfida critica per governi e amministrazioni locali, chiamati a garantire acqua sicura e in quantità sufficiente. Servono investimenti strutturali per migliorare reti, ridurre le perdite, trattare e riutilizzare l’acqua, ma i fondi stanziati restano limitati: in Italia il Pnrr destina solo l’1,8% delle risorse totali alla tutela idrica.

Per affrontare questi problemi serviranno sforzi finanziari prolungati, che rischiano di pesare sui bilanci degli enti locali. Ci vuole un “maratoneta” piuttosto che un “velocista”. Allo stesso tempo, però, non investire in maniera sufficiente potrebbe rivelarsi ancora più costoso in futuro, con danni alla crescita economica e alla solidità finanziaria di queste amministrazioni.

Il modo in cui governi centrali e locali collaboreranno per pianificare e finanziare queste infrastrutture sarà decisivo anche per la valutazione della loro affidabilità creditizia, conclude appunto, la “severa” società internazionale di rating.

Che dire? Finalmente! Per chi propone in ogni sede di discussione e di analisi la necessità di un Piano di lungo periodo sul tema acqua, con risorse finanziarie, umane, tecnologiche e organizzative adeguate ad affrontare gli effetti attuali e futuri del cambiamento climatico, la “sveglia” di S&P risulta “musica”. Investire nell’acqua non è più “soltanto” una azione etica intergenerazionale, che risponde alla domanda su “cosa lasciamo alle nuove generazioni”, ma è, e sarà sempre di più nel tempo, un’azione economica. Che evita perdite e danni, che dà lavoro, anche di alta professionalità, che genera innovazione e sviluppo di tecnologie e che influisce positivamente sulla crescita di breve e ancor di più di lungo periodo del pil nazionale e delle singole regioni.

Magari, solo per fare un appunto a quanto presentato in questa ricerca, verrebbe da suggerire che oltre ai danni, e ai relativi investimenti necessari per prevenirli, derivanti nei diversi territori del paese dalla “troppo poca acqua” sarebbero da aggiungere e considerare con la stessa attenzione quelli derivanti dalla “troppa acqua” (alluvioni fluviali, pluviali e costiere, frane e innalzamento del mare) e quindi “dalla alta temperatura” (incendi, picchi di calore, etc) che non hanno meno virulenza nel sistema-Paese.

Ma ben vengano ricerche di questo tipo, articoli di questo tipo e analisi come quella presentata sul Sole24 Ore. Non può che beneficiarne la comprensione dei fenomeni e della necessità di politiche adeguate di adattamento che purtroppo sembrano avanzare con una certa riluttanza sia nella “élite”, politica ed economica, che nella popolazione nel suo complesso.

Infine, una breve riflessione sull’approccio economico utilizzato da S&P. La valutazione presentata appare molto semplice nella sua definizione: la siccità crea danni diretti, indiretti e indotti nelle singole realtà territoriali del paese. Aggiungiamo noi, non solo la siccità ma anche tutti gli altri fenomeni “critici” causati dal cambiamento climatico in atto. Questi eventi producono perdite in termini di Pil regionale e quindi abbassano il livello di “ricchezza” prodotto annualmente nella regione e quindi, alla lunga in mancanza di interventi, l’abbassamento del livello di capacità fiscale quindi di rating della singola Regione (questa volta con la R maiuscola).

Questa impostazione, pur giusta dal punto di vista dell’approccio economico generale, risulta un po' troppo influenzata dall’esperienza “federale” di tipo statunitense. Da noi, in Italia, il rapporto fra Pil regionale e risorse proprie delle Regioni non è così intenso e diretto. Ci sono tante perequazioni nel mezzo che attenuano questo legame. E poi, ancora di più, i danni degli eventi calamitosi spesso trovano una qualche forma di compensazione di tipo nazionale o di tipo assicurativo (si pensi alla nuova legge sull’obbligo assicurativo delle imprese, ancora “bloccata” ma in fase di attuazione) che attenuano ancora di più l’impatto negativo dei danni regionalizzati sul Pil regionale.

Ma nonostante questo, troviamo interessante il tipo di approccio utilizzato. Può essere che alla fine ogni Regione non riceverà particolari criticità fiscali dai danni accaduti sul proprio territorio. E può essere che su questi si troveranno per buona parte compensazioni esterne in grado di attenuare i “rimbalzi” sull’istituzione regionale. Ma resta comunque l’importanza di cominciare a parlare di economia delle calamità e di passare da un approccio strettamente ambientale, in qualche caso purtroppo interpretato con approccio millenaristico da fine-del-mondo, del tipo “memento mori”, ad una valutazione di tipo economico dove entrano in ballo, come in ogni decisione pubblica ben supportata, i costi e i benefici delle azioni dei soggetti pubblici e privati. Questo nuovo approccio valutativo sarebbe un grande passo avanti per il paese.

Mauro Grassi

Mauro Grassi, economista, ha lavorato come ricercatore capo nell’Istituto di ricerca per la programmazione economica della Toscana (Irpet), ha lavorato a Roma come dirigente caposegreteria del Sottosegretario ai Trasporti Erasmo D’Angelis (Ministero delle Infrastrutture) e quindi come direttore di Italiasicura (Presidenza del Consiglio) con i Governi Renzi e Gentiloni. Attualmente è consulente e direttore della Fondazione earth and water agenda.