
Dal ping pong istituzionale sulle aree idonee al raid contro le rinnovabili in Mugello

Qualche giorno fa un giornalista toscano (uno dei più bravi, a scanso di equivoci), nell’intervistarmi sul raid al cantiere di Monte Giogo, mi ha chiesto: “Sicuri di non avere sbagliato qualcosa in termini di comunicazione?”
Sabato, poi, leggo il consueto imperdibile Areale di Cotugno (il 246 per l’esattezza) e ci trovo la seguente puntuta riflessione: “Forse non riguarda affatto il Mugello, ma il fatto che le rinnovabili siano una tecnologia con un potenziale di cura per il mondo, non vuol dire che, per questo motivo, siano una tecnologia che merita o può godere di una garanzia di immunità etica”.
Come ogni persona coscienziosa, di quelle che guardano prima ai propri errori e solo dopo, eventualmente, a quelli degli altri, mi interrogo quindi in modo impietoso: “Abbiamo dunque sbagliato qualcosa?”. E me lo chiedo con sempre più insistenza, urticato dal fatto che due ottimi giornalisti, obiettivamente molto sensibili alla causa climatica, abbiano manifestato dubbi così strutturali sul tema. Provo qui a esternare, senza filtri, il filo del mio ragionamento.
Prima considerazione. Chi agisce con violenza, delegittima istantaneamente ogni argomentazione di merito. Non solo passa dalla parte del torto, ledendo il patto di reciprocità tra parti legittimamente avverse, ma inquina anche e soprattutto le motivazioni dei propri “contigui” (contrari anch’essi, ma nonviolenti). E benissimo in questo senso, ma non nutrivo dubbi in proposito, hanno fatto CAI e Italia Nostra a condannare fermamente i gravi fatti di Villore una volta resi pubblici da AGSM. Da questo punto di vista, forse, quella prima domanda del giornalista toscano – più che a noi – avrebbe potuto esser rivolta proprio a quelle organizzazioni che della battaglia contro le presunte speculazioni della transizione energetica hanno fatto la loro priorità. Imporre l’onere della prova a chi sta accompagnando con rigore questa complessa fase di riconversione, invece che alle sacche di resistenza conservatrice, mi pare, in tutta sincerità, molto ingiusto.
Seconda considerazione. Abbiamo sbagliato cavallo? Fuor di metafora, nel citare il progetto di parco eolico di Villore come «cantiere» della Transizione Ecologica, siamo stati troppo affrettati? Abbiamo sbagliato qualcosa? Anche qui. Doverosa riflessione; studio; ricerca dei documenti. Ripasso del progetto e della procedura che l’ha sostenuto. Dunque, non sarebbero valse a nulla le 43 ore di audizione e dibattito durante l’Inchiesta Pubblica del maggio/agosto 2020, alle quali non siamo mai mancati? A nulla sarebbero valse le osservazioni costruttive e le integrazioni che hanno fatto modificare e migliorare il progetto alla società proponente? A nulla son valsi i progetti ben realizzati nel passato al Carpinaccio e a Rivoli Veronese dalla stessa impresa? Sinceramente, non credo. Anche riflettendoci a lungo, a freddo, rivendico tutto. Senza timidezze. Ricordo infatti che si tratta di un progetto utile, che come tutti i progetti industriali non è a impatto zero. Comporta il sacrificio di qualche albero per evitare un enorme sacrificio di alberi: la capacità di assorbimento parallela e corrispettiva all’energia pulita che si metterà in circolo con il parco eolico di Villore corrisponde, infatti, all’assorbimento di CO2 di circa 1.300.000 alberi.
Terza considerazione. E siamo, qui, nel campo più divisivo, perché anche al nostro interno ci sono approcci e posizioni diverse, com’è giusto che sia in una grande organizzazione, capillarmente radicata a scala nazionale. Quanto davvero è conveniente per le comunità locali questa transizione? Quanto resta del legittimo margine d’impresa ai territori? Per dirla con Langer: quanto è davvero «desiderabile» abbandonare il modello fossile, che ci ha condotti fin qui, sull’orlo del baratro, e abbracciare con coerenza la rivoluzione distribuita delle rinnovabili? Credo che in fondo, il dilemma di fondo della transizione energetica stia tutto in queste domande.
Ma per rispondere al dilemma occorre, prima, accennare al contesto, globale e locale. Della deriva autocratica, della crisi della democrazia rappresentativa, del divampare di guerre ignominiose (e spesso figlie del «sistema fossile») alle porte dell’Europa, non dirò. Non è questa la sede. Appunto qui, solo come titolo, la circostanza (dolorosa per me), per cui tutte le evidenze scientifiche, tecniche e quindi decisionali che hanno sostanziato le politiche di decarbonizzazione (dagli Accordi di Parigi al Green Deal europeo) nell’ultimo decennio, sono, oggi, messe fortemente in discussione, se non addirittura platealmente negate.
Ebbene: come hanno «governato» questo processo i decisori, quando avrebbero potuto indirizzarlo verso il bene comune? Male, direi. Anzi, per esser più precisi, non lo hanno «governato» affatto. Obblighi, asticelle, aree non idonee, aree idonee, aree idonee assolute, aree di accelerazione. Mappe, definizioni, tabelle di burden sharing territoriale, addirittura ripartizioni provinciali e comunali di potenza teorica installabile. Rimpalli infiniti di responsabilità, tra livello statale e locale. Il risultato? L’immobilismo assoluto, mentre la crisi climatica morde come non mai. Ora, vien da chiedersi: possibile che non si comprenda che se lasci un vuoto, qualcuno poi lo colma? Fuor di metafora: se la politica ha deciso di non decidere, perché criminalizzare quelle imprese che, nonostante tutto, cercano di declinare la propria quota parte di responsabilità nel mettere in opera la transizione? Com’è possibile, ad esempio, accusare un’impresa di “speculare” sulla risorsa vento ai danni di un territorio, quando se va bene quella stessa impresa ammortizzerà i propri costi di realizzazione dopo oltre 10 anni di esercizio di quell’impianto?
Insomma, in attesa del nuovo Decreto Nazionale Aree Idonee, e fiduciosi che si riesca a trovare una formula tecnico/giuridica capace di far compartecipare comunità ed enti locali ai benefici indotti da questi impianti, così cruciali per la transizione ecologica, sono sempre più convinto che l’ottimo è nemico del bene.
Intanto, la concentrazione di CO2 in atmosfera è giunta a 432 ppm (fonte: CAMM di Monte Cimone, febbraio 2025) e la temperatura del Mar Mediterraneo sta sfiorando i +5°C rispetto alla sua media storica per il periodo (fonte: Copernicus, giugno 2025). Tanti cari saluti.
