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Il 94,5% dei Comuni è rischio dissesto idrogeologico, ma il Governo ha tagliato 6,5 miliardi di euro alla prevenzione. L’Ance indica la strada per invertire la rotta

 |  Editoriale

«Investire oggi in prevenzione e adattamento climatico non è solo una scelta ambientale, ma anche una strategia indispensabile per garantire la sostenibilità economica e finanziaria del Paese nel medio-lungo periodo». Ormai ad affermarlo non sono (solo) le associazioni ambientaliste: queste parole sono di Federica Brancaccio, ovvero la presidente dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), che ha chiarito la posizione del comparto intervenendo in audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul rischio idrogeologico e sismico.

Il nuovo rapporto dell’Ispra sul dissesto idrogeologico mostra – oltre a evidenti difficoltà di spesa, dato che su questo fronte sono stati stanziati dallo Stato 19,2 miliardi in 25 anni, ma solo il 27% è stato speso – rischi crescenti: il 94,5% dei comuni italiani (7.463) è a rischio per frane, alluvioni, valanghe e/o erosione costiera e nel Paese sono attive oltre 636.000 frane, circa i due terzi di quelle censite in tutta Europa.

In questo contesto, il Rapporto Ance-Cresme 2023 ha stimato che dal 1944 a oggi, oltre l’incalcolabile bilancio in termini di vite umane, i danni da terremoti e dissesto abbiano superato i 358 miliardi di euro; in particolare, mentre la spesa per riparare gli eventi sismici è rimasta costante (2,7 miliardi nel periodo 2009-2023 contro 3,1 dei periodi precedenti), la spesa per contrastare i fenomeni di dissesto idrogeologico è triplicata da una media annua di 1 miliardo precedente al 2009 a 3,3 miliardi nel periodo 2009-2023.

In occasione della VII Giornata nazionale della prevenzione sismica, organizzata da fondazione Inarcassa insieme al Consiglio nazionale degli ingegneri e a quello degli architetti poco prima di Natale, è emerso che oggi in Italia sono circa 18 milioni gli immobili a uso residenziale a rischio sismico e che necessiterebbero di interventi immediati, una grande opera di manutenzione straordinaria che richiederebbe una spesa di 219 miliardi di euro, tenendo conto delle diverse aliquote a seconda del rischio sismico e delle agevolazioni del Sismabonus. Servirebbero, quindi, poco più di 7 miliardi di euro all’anno per 30 anni per mettere in sicurezza il nostro patrimonio immobiliare e per mitigare il rischio.

Per quanto riguarda invece il dissesto idrogeologico, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è di fatto fermo al palo: approvato nel gennaio 2024 dal Governo Meloni dopo lunghissima gestazione, ha individuato 361 azioni settoriali da mettere in campo ma manca di fondi e governance per attuarle; per fare davvero i conti con l’acqua – in base alle stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) –, oltre a saper spendere le risorse disponibili, servirebbero 10 mld di euro aggiuntivi l’anno, a fronte dei 7 che il sistema-Paese finora riesce a stanziare. Volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni).

Ma di un simile piano d’investimenti non c’è traccia, anzi. Come osservato dall’Ance in audizione parlamentare, la Legge di bilancio per il 2025 (legge n. 207/2024, commi 796-798 e 801) ha disposto tagli per circa 6,5 miliardi di euro nel periodo 2025–2034, di cui 673 milioni concentrati nel triennio 2025–2027.

«Non possiamo continuare a rincorrere le emergenze, serve una svolta», argomenta Brancaccio, intrecciando i recenti dati dell’Ispra sulla vulnerabilità idrogeologica del territorio, aggravata dal cambiamento climatico, con quelli del Rapporto Ance-Cresme 2023. Un piano pluriennale con fondi certi, una cabina di regia unica a livello nazionale e un sistema informativo integrato per la gestione degli interventi. Sono le tre direttrici indicate dall’Associazione nazionale dei costruttori edili per affrontare in maniera strutturale il dissesto idrogeologico che colpisce in modo ricorrente il territorio italiano. Ma anche per quello sismico, per cui l’Ance sollecita subito la stesura di un piano di prevenzione su tutte le strutture pubbliche, con una visione unitaria e con la necessaria concentrazione dei fondi, e l’attivazione della leva fiscale per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare privato.

Investire in prevenzione conviene eccome: secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, mantenendo invariate le attuali politiche climatiche, l’impatto del clima potrebbe raggiungere 5,1 punti percentuali del Pil (oltre 100 miliardi) entro il 2050. Al contrario, con politiche efficaci e coordinate a livello globale volte al raggiungimento della neutralità carbonica, l’impatto potrebbe essere contenuto a 0,9 punti di Pil, con una riduzione di oltre cinque volte.

«Tutte sfide – sottolinea Brancaccio – che richiedono una visione di lungo periodo, attraverso lo sviluppo di piani strategici di ‘adattamento al futuro’ (a 10, 15 e 20 anni), come fanno le principali città europee (Londra, Parigi, Amsterdam, Barcellona). Questi piani potranno consentire di programmare per tempo gli investimenti necessari ad affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici. Si pensi all’innalzamento del livello del mare, alle ondate di calore e alle inondazioni, tutti fenomeni che potranno essere gestiti attraverso una programmazione che comprenda la realizzazione di infrastrutture resilienti, la prevenzione e gestione dei rischi naturali, come alluvioni e terremoti, e la promozione dell’uso di energie rinnovabili».

Non a caso la manifestazione Ance “Città nel futuro”, che si terrà dal 7 al 9 ottobre al Maxxi di Roma, vuole rilanciare il dibattito nazionale sulle politiche urbane e proporre un’agenda condivisa per costruire città più giuste, accessibili, sostenibili e competitive, prevedendo, tra i temi cruciali per il futuro prossimo, l’adattamento ai cambiamenti climatici.

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Luca Aterini

Luca Aterini, toscano, nasce settimino il 1 dicembre 1988. Non ha particolari talenti ma, come Einstein, si dichiara solo appassionatamente curioso: nel suo caso non è una battuta di spirito. Nell’infanzia non disegna, ma scarabocchia su fogli bianchi un’infinità di mappe del tesoro; fonda il Club della Natura, e prosegue il suo impegno studiando Scienze per la pace. Scrive da sempre e dal 2010 per greenreport, di cui è oggi caporedattore.