Dal Mare Adriatico a 28°C al temporale autorigenerante che si è abbattuta sulla costa romagnola. Pasini (Cnr): «Se non guardiamo alla crisi climatica di lungo periodo, questa si aggraverà e arriveremo a un punto in cui non riusciremo più a difenderci»
Un mare più caldo rilascia più vapore acqueo nell’atmosfera, e al contempo la fisica (con la legge di Clausius-Clapeyron) ci spiega che per ogni +1°C di aumento della temperatura, l'atmosfera può contenere circa il +7% di umidità in più. Significa che la probabilità di eventi meteo estremi come le alluvioni aumenta, in un Paese ancora impreparato ad affrontarle, come si è visto da ultimo col nubifragio che si è abbattuto sulla costa romagnola nel fine settimana.
Il forte temporale – oltre 50mm di pioggia in sei ore nel riminese con picchi di 74,6 mm nella zona di Rimini interessata dal torrente Ausa – che si è abbattuto sulla costa romagnola alle prime ore dell’alba di ieri ha fatto crollare oltre 260 pini solo a Milano Marittima, portando allagamenti, grandine e lettini divelti lungo tutta la riviera.
«L'afflusso di aria più fresca da nord-nord-ovest ha trovato – spiega Antonello Pasini, fisico del clima al Cnr e tra i principali esperti italiani di cambiamenti climatici – una superficie del Mar Adriatico ancora molto calda (probabilmente intorno ai 28 °C o più, come si vede dalla mappa). Inoltre, gli eventi più intensi si sono avuti da Cesenatico in giù, cioè proprio nella zona in cui le colline si avvicinano sempre più al mare. Perché sono importanti questi due fattori? Perché da un lato il mare caldo fornisce vapore acqueo ed energia ai sistemi atmosferici, dall'altro perché le colline molto vicine accrescono la possibilità di avere innalzamento forzato di aria e formazione di nubi temporalesche molto alte, in maniera continua per alcune ore: in sostanza si creano temporali autorigeneranti».

Vale la pena ricordare che gli eventi meteo estremi si stanno facendo più intensi e probabili a causa della crisi climatica in corso, mentre negli ultimi decenni il Mar Mediterraneo si è riscaldato a un ritmo quasi doppio rispetto alla media globale, diventando un hotspot della crisi climatica.
«In questo contesto – argomenta Pasini – dobbiamo fare due cose: innanzi tutto adattarci a situazioni di questo tipo (per esempio ripensando il verde e il tipo di alberature in città) perché queste situazioni climatiche ce le terremo anche per i prossimi anni (potremo solo stabilizzare la temperatura e con essa l'energia presente in atmosfera, non tornare indietro). Nel contempo dobbiamo assolutamente evitare di giungere a scenari climatici peggiori (con temperature ed energie più alte), e questo lo si fa mitigando, cioè riducendo rapidamente le nostre emissioni di anidride carbonica e altri gas climalteranti che vengono soprattutto dalle combustioni fossili. Attenzione, infine, perché le due cose vanno fatte insieme: non limitiamoci alla soluzione delle emergenze attuali, perché se non guardiamo alla crisi climatica di lungo periodo, questa si aggraverà e arriveremo a un punto in cui non riusciremo più a difenderci unicamente con opere di adattamento».
Il problema per l’Italia è il Paese si presenta molto indietro su entrambi i versanti. Sia sul fronte della mitigazione – con le nuove installazioni di impianti rinnovabili che stanno rallentando a causa delle ampie difficoltà normative, anziché accelerare –, sia su quello dell’adattamento. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è di fatto fermo al palo: approvato nel gennaio 2024 dal Governo Meloni dopo lunghissima gestazione, ha individuato 361 azioni settoriali da mettere in campo ma manca di fondi e governance per attuarle; per fare davvero i conti con l’acqua – in base alle stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) – servirebbero 10 mld di euro aggiuntivi l’anno, a fronte dei 7 che il sistema-Paese finora riesce a stanziare. Col risultato di andare in difficoltà anche in condizioni di temperatura non prettamente eccezionali, come quelle che caratterizzano l’Adriatico in questi giorni.
«Non siamo a record di temperatura del mare nel nord Adriatico, è vero – precisa nel merito Pasini – ma il cambiamento del clima e i suoi influssi non si vedono da un anno all'altro, bensì nel lungo periodo, e ci sono studi che analizzano serie storiche di temperature superficiali per questa zona di mare: si veda, per esempio, https://essd.copernicus.org/articles/11/761/2019/. Qui si nota, in particolare, come negli ultimi anni le temperature superficiali estive superino molto più frequentemente i 28 °C (due giorni fa eravamo sui 28 °C). In sintesi, l'influsso del cambiamento climatico di origine antropica è comunque molto evidente rispetto ai decenni precedenti gli anni '80, anche se in questo momento non siamo a livello di record di temperature superficiali del mare».