Il riscaldamento globale va verso +3°C entro fine secolo, ma l’Italia c’è già
A cinque anni di distanza dall’ultimo report, l’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) ha appena pubblicato il suo nuovo Europe’s environment 2025 in cui si dettaglia lo stato di salute ambientale del Vecchio continente. A emergere è l’urgenza di accelerare sulla rotta indicata dal Green deal, con la Eea a sottolineare che l’innalzamento delle temperature e il degrado degli ecosistemi rappresentano una minaccia diretta (anche) per la competitività economica dell’Ue.
Dall’ultimo rapporto annuale di Copernicus, il programma europeo di punta per l’osservazione della Terra, sappiamo che a livello globale il 2024 è l’anno più caldo mai registrato, segnando +1,6°C nella temperatura media atmosferica globale rispetto all’era preindustriale (1850-1900), e +0,72°C rispetto al trentennio climatologico compreso tra il 1991 e il 2020. L’Europa soffre di più, dato che il Vecchio continente nel 2024 presenta un'anomalia di temperatura pari a +1,47°C rispetto al periodo di riferimento compreso tra il 1991 e il 2020: il doppio rispetto al dato globale. Si tratta di ben +2,92°C in più rispetto all'era pre-industriale 1850-1900.
«È verosimile – rincara oggi la dose sul Sole 24 Ore il direttore del Copernicus climate change service (C3S), Carlo Buontempo – che il 2023 e 2024 siano stati i più caldi degli ultimi centomila anni, si tratta di una situazione senza precedenti da quando l’uomo è comparso su questo pianeta».
Il nuovo rapporto Eea informa che, sulla base degli obiettivi attualmente presenti nei piani nazionali sul clima – gli Ndc elaborati nell’ambito dell’Accordo di Parigi –, il mondo è proiettato verso un aumento della temperatura atmosferica a fine secolo tra +2,6°C e +2,8°C rispetto all’era pre-industriale, ben al di là dei limiti di sicurezza (+1,5°C-2°C) individuati dalla comunità scientifica e fatti propri dall’Accordo parigino; stante il fatto che le politiche attuali non sono neanche in grado di garantire il raggiungimento degli obiettivi Ndc, la stima del surriscaldamento globale al 2100 si alza addirittura a +3,1°C.
In questo contesto, l’Europa è particolarmente a rischio in quanto continente che si surriscalda più di tutti, a un ritmo doppio rispetto alla media globale. E l’Italia?
«In base ai dati in mio possesso – spiega a greenreport Michele Brunetti, fisico climatologo dell’Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima (Isac) al Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) – l'anomalia del 2024 per l'Italia è stata di +1.35°C rispetto alla media del trentennio 1991-2020 e +3.22°C rispetto alla media del periodo 1850-1900 (preso dall'ultimo Ipcc come riferimento pre-industriale). Tuttavia, si tende a fare un po' di confusione tra l'anomalia dell'ultimo anno e l'aumento di temperatura: quest'ultima non lo si valuta unicamente in base all'anomalia dell'ultimo dato della serie temporale, bensì su una tendenza o quantomeno sull'anomalia dell'ultimo decennio relativa al periodo rispetto al quale si vuole stimare tale crescita».
Da qui la differenza coi dati già riportati su queste colonne da Giulio Betti, meteorologo e climatologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e del Consorzio Lamma, per il quale «in linea coi dati forniti da Copernicus, sappiamo che l’anomalia italiana oscilla tra 2,1 e 2,4°C», dato che Copernicus lavora con dati storicizzati e spazializzati in modo più ampio mentre i dati Cnr derivano da un processo di omogeneizzazione di dati osservati.
Il dato di fondo comunque non cambia: l’Italia, il Mediterraneo e l’Europa si stanno surriscaldando a velocità doppia rispetto alla media globale, anticipando i disastri climatici che attendono anche il resto del mondo a fine secolo.
«Com’è noto – argomentano nel merito da Italy for climate – l’aumento delle temperature ha conseguenze dirette sulla frequenza e sull’intensità degli eventi meteoclimatici estremi. Nel 2024 ne sono stati registrati 3.631, con un incremento del +228% rispetto al 2018. Crescono soprattutto le piogge intense (+452%), le raffiche di vento (+183%), le grandinate (+145%) e i tornado (+76%). Dal 1980 a oggi, l’Italia ha subito oltre 90 miliardi di euro di danni (un decimo di tutta la spesa pubblica nazionale), risultando il terzo Paese europeo più colpito dopo Germania e Francia. Ma, oltre all’aumento delle temperature, l’altra grande sfida per l’Italia nell’epoca dei cambiamenti climatici è la gestione della risorsa idrica. Dall’inizio del Novecento la disponibilità di acqua si è ridotta del 20% (rispetto al 1921-1950, ndr) e le stime indicano che potrebbe diminuire di un ulteriore 10% con un aumento delle temperature globali di +2°C, e addirittura del 40% nello scenario attuale di +3-4°C entro fine secolo».
In base all’ultimo rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (Snpa), Il clima in Italia nel 2024, già nell’ultimo anno il Paese è stato diviso in due dall’acqua: quasi il 50% dell’Italia (prevalentemente Sud Italia e Isole Maggiori) è stato colpito da siccità, mentre sul resto dello Stivale si sono abbattute alluvioni.
È comunque utile ricordare che, nonostante il trend in calo sul lungo periodo per la disponibilità idrica, in Italia l’acqua non manca. Lungo lo Stivale le precipitazioni annue valgono in media 296 mld mc l’anno nel periodo 2010-2023, secondo le stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) sulla base dei dati forniti dal modello Big-bang dell’Ispra, e nel 2024 le precipitazioni sono arrivate a 319 miliardi di metri cubi. E anche nel 2050 le precipitazioni non dovrebbero essere diverse rispetto a quelle del 1951: -4,4%.
Sottraendo dal valore delle precipitazioni quello dell’evapotraspirazione (in forte aumento a causa del riscaldamento globale) il dato si riduce oggi a circa 140 mld mc/a, ovvero la disponibilità idrica (internal flow), mentre i prelievi idrici per uso antropico si fermano a 34. Considerando anche i fabbisogni per la vita ecologica di fiumi e laghi ad oggi l’Italia vanta un surplus idrico stimato in 63,6 mld mc/a, che nel 2050 dovrebbe ridursi a 35,5 mld mc/a.
La morale? Oltre a sostituire rapidamente i combustibili fossili investendo in efficienza energetica e fonti rinnovabili, occorre accelerare sul fronte dell’adattamento climatico. In tutto questo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) è di fatto fermo al palo: approvato nel gennaio 2024 dal Governo Meloni dopo lunghissima gestazione, ha individuato 361 azioni settoriali da mettere in campo ma manca di fondi e governance per attuarle; per fare davvero i conti con l’acqua – in base alle stime elaborate dalla Fondazione Earth and water agenda (Ewa) – servirebbero 10 mld di euro aggiuntivi l’anno, a fronte dei 7 che il sistema-Paese finora riesce a stanziare. Volendo limitare il conto ai soli investimenti incentrati sulla lotta al dissesto idrogeologico, si scende comunque a 38,5 miliardi di euro complessivi in un decennio (in linea con gli investimenti stimati già nel 2019 per realizzare gli 11mila cantieri messi in fila dalla struttura di missione "Italiasicura", che ha lavorato coi Governi Renzi e Gentiloni).