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Ma si illude chi crede che quanti hanno votato Sì lo abbiano fatto contro Renzi

Referendum, il Sì al cambiamento ha conquistato più voti del miglior Pd

Il premier: «Noi vogliamo fare dell’Italia il Paese più verde d’Europa». Lo dimostri coi fatti
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Commentando a caldo i risultati del referendum sulle trivelle, il presidente del Consiglio (schierato apertamente per l’astensione, la linea ufficiale del Pd) Matteo Renzi ha dichiarato che «in politica bisogna saper perdere». Ha ragione. Ieri quanti erano e rimangono schierati per il Sì – vasto agglomerato nel quale ci includiamo – hanno perso una battaglia, l’obiettivo del quorum non è stato raggiunto, nonostante anche la notte del referendum sia macchiata di petrolio. A Genova si è rotta una condotta dell’oleodotto Iplom, richiamando gli sforzi dei Vigili del Fuoco, la marea nera scivola verso il mare e mentre scriviamo la situazione rimane critica. Con consueta e amarissima ironia della sorte, i genovesi come molti italiani fino a ieri non si consideravano toccati dai temi del referendum: in città è andato a votare solo il 25,73% degli aventi diritto.

Risultato della tornata referendaria oggi dice che le piattaforme gasiere e petrolifere sparse entro 12 miglia dalle coste italiane continueranno a godere, almeno per un po’ di tempo, di una rendita di posizione non riconosciuta a nessun’altra attività lungo lo Stivale: nonostante la concessione per l’estrazione di combustibili fossili sia stata loro rilasciata con una scadenza (lo standard è 30 anni), la proroga ad infinitum regalata loro dall’esecutivo solo pochi mesi fa permetterà di dilungare i tempi d’estrazione in attesa di prezzi di mercato più propizi o, in alternativa, temporeggiare a piacimento sui tempi di bonifica (già oggi il 73% delle piattaforme situate entro le 12 miglia marine dalle coste italiane sono non operative, non eroganti o erogano talmente poco da evitare il pagamento di royalty).

Se il Sì ha mancato l’obiettivo del quorum, anche quanti hanno perorato la causa del No o quella dell’astensione farebbero però bene a tenere ancora in frigo la bottiglia di champagne: le associazioni ambientaliste hanno già dichiarato che presenteranno «una denuncia alla Commissione europea contro la norma che concede concessioni illimitate per le estrazioni di petrolio e gas», in quanto in «contrasto con le regole del diritto comunitario sulla libera concorrenza». La battaglia iniziata ieri, dunque, continua. Non è però questo il dato più importante emerso dalla tornata referendaria.

Se in politica «bisogna saper perdere», in democrazia è utile anche saper far di conto. Secondo i dati raccolti dal ministero dell’Interno (tabella a lato), su 50.675.406 cittadini chiamati alle urne hanno esercitato il loro diritto-dovere al voto in 15.806.788 (il 31,19%). Di questi, in 2.198.813 hanno votato No, mentre i Sì hanno raccolto l’85,84 % delle preferenze: si tratta di 13.334.754 cittadini.

Oltre 13 milioni di cittadini. Si tratta di un sostegno assai più robusto di quello che il Partito democratico guidato da Matteo Renzi abbia mai potuto vantare. Durante le europee del 2014 il Pd risultò addirittura il partito più votato d’Europa con 11.172.861 voti, e il già premier Renzi lo rivendicò come «un risultato storico». Ieri il Sì al referendum ha agguantato oltre 2 milioni di voti in più, nonostante poco tempo per fare campagna elettorale, spazi ridottissimi per il dibattito nei media tradizionali il partito oggi leader in Italia schierato apertamente contro: se quello del Pd era «un risultato storico» questo come andrebbe definito?

Secondo Michele Emiliano, governatore della Puglia, si tratta della «più grande aggregazione ambientalista d’Europa, che chiede risposte per nuovo modello industriale ed energetico». È un’esagerazione: un referendum non fa un partito, e il risultato delle urne ha mischiato genuine spinte ambientaliste a un inquinamento di istanze anti-renziane a prescindere. È indubbio però che dal referendum di ieri sia arrivato chiaro e forte il segnale di un’intensa spinta democratica, che grida a istituzioni troppo lente la necessità impellente di un cambiamento. «Mi auguro – ha sottolineato Ermete Realacci, presidente (Pd) della commissione Ambiente della Camera – che il governo e il Parlamento possano rappresentare e trarre forza dai milioni di cittadini che, al di là di strumentalizzazioni partitiche, hanno chiesto una politica energetica più attenta al futuro, al risparmio energetico, alle rinnovabili, in accordo con gli impegni presi dal nostro Paese per contrastare i mutamenti climatici alla ‪Cop21 di Parigi».

Ma sbaglierebbe, e di grosso, chi con un’operazione mal raffazzonata e dannosa – come purtroppo hanno fatto diversi esponenti politici durante la campagna referendaria – volesse annoverare tutti coloro che hanno votato Sì al referendum del 17 aprile tra gli oppositori di Renzi e tra chi è pronto a rendere a Renzi lo “sgarbo” nel referendum sulla modifica della Costituzione. Primo perché l’impatto delle forze politiche di opposizione sul motivare gli elettori ad andare a votare è stato minimo – con qualche comparsata televisiva addirittura dannosa – secondo perché tra chi ha votato Sì moltissimi lo hanno fatto sul quel tema, per il mare e per una svolta energetica, fregandosene di Renzi, Grillo, Brunetta o della stanca sinistra che anche questa volta ha presidiato più i social network (abbastanza svogliatamente) che le piazze. Anzi, una buona fetta dei no-triv e degli ambientalisti che hanno lavorato pancia a terra per un mese non sopportano più gli atteggiamenti di certa politica che risolve il suo contributo con una dichiarazione poco informata o con una comparsata televisiva, dove magari si parla diffusamente della possibilità di  dare un colpo a Renzi invece che al sistema fossile che l’astensione ha protetto.

A parole, il premier Renzi ha già accolto il messaggio delle urne. «Noi vogliamo fare dell’Italia il Paese più verde d’Europa – ha dichiarato – a chi ha votato oggi (ieri, ndr) per un modello energetico diverso dico che è anche la nostra ansia, che l’Italia ha primati in tanti settori alternativi, ma non tutto si può fare dall’oggi al domani e soprattutto non possiamo rinunciare alle fonti che già abbiamo». Lo dimostri coi fatti – e non solo per quanto riguarda la rinnovabilità dell’energia ma anche quella della materia, scritta nell’economia circolare –, perché finora il suo governo è andato ostinatamente in direzione contraria.

Redazione Greenreport

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