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Libia: il porto sicuro di nuovo nel caos della guerra tra bande

Il procuratore CPI Karim Khan: «C'è una scatola nera di sofferenza in Libia. Riusciremo a romperla»
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In Libia – il porto sicuro di Matteo Salvini e Giorgia Meloni – è nuovamente riesplosa la faida mafiosa tra il governo di Tripoli (riconosciuto dalla comunità internazionale) e le milizie salafite che sarebbero teoricamente sue alleate e che garantiscono gli affari petroliferi dell’Italia e gestiscono ferocemente il flusso dei migranti tra omicidi, torture, volenze sessuali, rapimenti, ricatti e schiavitù. Ed è l’Onu a spiegare che «La competizione per l'enorme ricchezza petrolifera della Libia complica ulteriormente la situazione. Sebbene il Paese produca più di un milione di barili al giorno, le condizioni di vita dei cittadini libici sono migliorate di poco».

Nella Libia pilastro del Piano Mattei del governo Meloni, dopo gli scontri sanguinari dei giorni scorsi, la United Nations Support Mission in Libya (UNSMIL) «Sta monitorando attentamente la fragile tregua a Tripoli e ribadisce con urgenza il suo appello a tutte le formazioni armate affinché tornino alle loro caserme senza indugio». L’UNSMIL sottolinea «L'importanza del pieno rispetto del cessate il fuoco e sollecita tutte le parti ad astenersi da azioni o dichiarazioni che potrebbero esacerbare le tensioni» e si dice «Profondamente allarmata dalle notizie relative all'uso di munizioni vere contro i manifestanti scesi in piazza» il 14 maggio a Tripoli, «Questa risposta solleva serie preoccupazioni in materia di diritti umani, in particolare per quanto riguarda il diritto alla libertà di espressione e di riunione pacifica. Evidenzia un contesto sempre più repressivo in cui il dissenso pacifico viene reagito con la violenza».

Per questo, la Missione Onu in Libia «Invita tutte le autorità a tutelare il diritto dei libici a esprimere le proprie opinioni e a riunirsi pacificamente. Nessun individuo dovrebbe subire violenze o ritorsioni per aver esercitato queste libertà fondamentali. La Missione ricorda a tutte le parti i loro obblighi vincolanti ai sensi del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani. La mancata protezione dei civili e delle infrastrutture civili, il danneggiamento fisico dei civili e la messa a repentaglio della vita e della sicurezza della popolazione possono costituire reati. I responsabili saranno ritenuti responsabili delle loro azioni».

Il portavoce aggiunto del Segretario generale dell’Onu António Guterres, Farhan Haq, ha detto che «Il Segretario generale prende atto della tregua raggiunta a Tripoli e invita tutte le parti ad adottare misure urgenti per sostenerla e rafforzarla attraverso il dialogo. La rapidità dell'escalation, che ha attirato gruppi armati provenienti da fuori città e ha sottoposto quartieri densamente popolati a un pesante fuoco di artiglieria, è stata allarmante. Il Segretario Generale è profondamente addolorato nell'apprendere della morte di almeno 8 civili nei recenti scontri. La rapidità dell'escalation, che ha attirato gruppi armati da fuori città e ha sottoposto quartieri densamente popolati a un pesante fuoco di artiglieria, è stata allarmante. Il Segretario generale ricorda a tutte le parti il loro obbligo di proteggere i civili e le invita a impegnarsi in un dialogo serio e in buona fede per affrontare le cause profonde del conflitto. Le Nazioni Unite sono pronte a mettere a disposizione i propri buoni uffici per facilitare un accordo su un percorso verso una pace e una stabilità durature in Libia».

Anche l'UNSMIL sottolinea l'importanza di mantenere a Tripoli una stabilità che in realtà, non c’è più stata dopo quasi 15 anni del regime del Colonnello Muammar Gheddafi per mano della NATO e delle milizie islamiste che i Paesi occidentali e le dittature arabe hanno armato e continuano ad armare. L'UNSMIL avverte che «L'insicurezza non solo ostacola l'erogazione di servizi pubblici vitali e danneggia le infrastrutture civili essenziali a Tripoli, ma mette anche a rischio la ripresa economica del Paese, il che potrebbe innescare una destabilizzazione più ampia. L'UNSMIL sta collaborando attivamente con i mediatori e sta avviando un meccanismo dedicato per sostenere e mantenere l'attuale tregua. La responsabilità di ridurre l'escalation ricade su tutti gli attori coinvolti. In questo momento critico, l'UNSMIL fa appello a tutti i libici affinché uniscano le forze per colmare le divisioni interne, dare priorità all'unità nazionale e preservare il tessuto sociale del Paese. L'UNSMIL rimane pienamente impegnata a sostenere il popolo libico nel perseguimento di una pace duratura, stabilità e governo democratico».

Belle parole ed impegni che però nascondono il fallimento di ogni tentativo di democratizzazione di un Paese che resta diviso tra due governi - quello di unità nazionale (GNU), riconosciuto a livello internazionale, con sede a Tripoli e il Governo di stabilità nazionale (GNS) a Bengasi - che si contendono il potere sparandosi addosso e che sono sostenuti ognuno da potenze globali e regionali che foraggiano – in cambio di petrolio, gas e ambizioni geopolitiche – milizie di tagliagole e interi eserciti “regolari” che trafficano esseri umani e fanno affari col contrabbando di petrolio, magari utilizzando le motovedette e le infrastrutture messe a disposizione dal governo italiano e le armi fornite da turchi, russi, egiziani, emiratini, qatarioti, francesi, britannici, statunitensi…

Mentre la Libia è nel caos di una guerra civile infinita, al Parlamento italiano si fanno i conti della percentuale di quanti migranti sono diminuiti grazie a questo strazio di democrazia, umanità e diritti civili.
Poi l’UNSMIL, mentre da est e da sud si muovevano verso Tripoli le truppe del generale Khalīfa Belqāsim Ḥaftar al-Ferjānī, padrone del governo dell’Est e alleato dei russi (ma in buoni rapporti con Italia e Turchia) ha ammesso che in Libia «La situazione è profondamente allarmante. Sollecitiamo un cessate il fuoco immediato e incondizionato. Attaccare e danneggiare le infrastrutture civili, danneggiare fisicamente i civili e mettere a repentaglio la vita e la sicurezza della popolazione può costituire un crimine secondo il diritto internazionale».

Intanto, mentre l’Italia cerca di nascondere con il silenzio l’amicizia e la complicità con i capi delle milizie mafiose protagoniste delle volenze, Karim Khan, Procuratore della Corte penale internazionale (CPI) ha annunciato che «Le indagini sui presunti crimini di guerra in Libia sono entrate in una nuova fase, a seguito di una maggiore cooperazione da parte delle autorità del Paese. Durante un briefing al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha citato come esempio positivo l'arresto a gennaio di Osama Elmasry Najim, comandante della Forza di deterrenza speciale (RADA), ora “sciolta” (ma che sembra aver avuto un ruolo anche nei recenti scontri), e il suo controverso ritorno in Libia. «Il signor Najim è stato arrestato dalle autorità italiane sulla base di un mandato di cattura della CPI per crimini di guerra e crimini contro l'umanità connessi agli abusi commessi nel carcere di Metiga. Tuttavia, il suo ritorno è motivo di profonda preoccupazione. Tra le vittime c'era vero sgomento e delusione per il ritorno del signor Njeem sulla scena dei presunti crimini. Nonostante questa battuta d'arresto, il mandato d'arresto ha provocato onde d'urto tra le milizie libiche e i presunti autori di abusi in Libia, segnalando una crescente consapevolezza che lo stato di diritto è entrato nel territorio della Libia. Sono in corso altri mandati di arresto e la CPI ha risposto a una richiesta di assistenza da parte della National Crime Agency del Regno Unito nell'ambito della propria indagine sul signor Njeem. C'è una scatola nera di sofferenza in Libia. Riusciremo a romperla.

Khan ha però dovuto però informare gli ambasciatori all’Onu in videoconferenza perché gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni punitive alla CPI, inclusi membri di alto livello, minacciando di arresto lo stesso pubblico ministero e altri se si recano negli Usa. Una ritorsione contro la CPI dopo i mandati di arresto per il genocidio in corso a Gaza emessi a novembre 2024 nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dell'ex ministro della difesa Yoav Gallant.

Umberto Mazzantini

Scrive per greenreport.it, dove si occupa soprattutto di biodiversità e politica internazionale, e collabora con La Nuova Ecologia ed ElbaReport. Considerato uno dei maggiori esperti dell’ambiente dell’Arcipelago Toscano, è un punto di riferimento per i media per quanto riguarda la natura e le vicende delle isole toscane. E’ responsabile nazionale Isole Minori di Legambiente e responsabile Mare di Legambiente Toscana. Ex sommozzatore professionista ed ex boscaiolo, ha più volte ricoperto la carica di consigliere e componente della giunta esecutiva del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano.