Stefano Benni, in morte di un narratore
Credo di aver letto tutti i libri di Stefano Benni, che aveva 10 anni e quasi un mese più di me, e non ho mai conosciuto, ma che considero un fratello maggiore di penna e idee.
Non mi ricordo quando sono stato fulminato da uno dei suoi libri, ma quasi tutti sono diventati miei compagni di vita, pagine dove ritrovavo i miei pensieri e dove gli ultimi non erano mai davvero sconfitti, anche se soccombevano a cattivi terribili, dove i bimbi costruivano mondi e i vecchi ricordi e dove la lotta tra la natura e i soldi diventava saga, risate, pianti e rimpianti.
Benni era uomo e poeta di Appennino, però le sue storie, i suoi bar, la sua umanità dolente e sorridente, i suoi tipi strani, erano universali, somigliavano a quelli dei nostri scogli battuti dal mare e la Compagnia dei Celestini, il Campionato Mondiale di Pallastrada, eravamo noi e tutti gli eterni bimbi straccioni del mondo, che giocano in piazza, sbucciandosi le ginocchia sull’asfalto.
Da Benni, leggendo i suoi libri e le sue poesie, ho imparato molto del poco che so scrivere. Ho imparato a guardare il mondo di sbieco, da prospettive inusuali, per scoprire gli angoli ciechi, parlare del minore, del dimenticato, del povero e della dignità di chi non perde la speranza, di chi lotta anche quando la sconfitta sembra certa.
È stato un grande scrittore, un grandissimo narratore. Mi mancheranno i suoi libri, i suoi bimbi e le sue ragazze che affrontano il mondo terribile a viso aperto, i suoi graffi e la sua ironia su una società consumistica che sembra senza speranza e che ha invece come antidoto la dignità semplice degli ultimi, di chi va contro corrente, di chi non si arrende, degli innocenti, degli spiriti benevoli e tremendi della natura.
Mi mancherà, soprattutto, aprire un suo nuovo libro e non riuscire a staccarmi da quelle pagine di splendente ironia, scritte così bene che ti viene da credere che non si possa scrivere meglio. Ma Stefano Benni non è morto, vivrà fino a che qualcuno leggerà un suo libro e si innamorerà degli orfani e dei tipi strani, della vita che passa, mai uguale ed eterna.