Liste d’attesa infinte? La sanità pubblica ha perso 13,1 miliardi di euro negli ultimi 3 anni
È stato presentato nella Sala della Regina della Camera dei Deputati l’VIII Rapporto sul servizio sanitario nazionale (Ssn) elaborato dalla fondazione Gimbe, da cui emerge un definanziamento perenne: dopo i tagli del decennio 2010-2019 e le imponenti risorse assegnate nel 2020-2022 assorbite interamente dalla pandemia, il fondo sanitario nazionale (Fsn) nel triennio 2023-2025 è cresciuto di ben € 11,1 miliardi: da € 125,4 miliardi del 2022 a € 136,5 miliardi del 2025. Risorse in buona parte erose dall’inflazione – che nel 2023 ha toccato il 5,7% – e dall’aumento dei costi energetici.
«Ma dietro l’aumento dei miliardi – spiega Nino Cartabellotta, presidente Gimbe – si cela un imponente e costante definanziamento, perché cambiando unità di misura le rassicuranti cifre assolute diventano solo illusioni contabili».
Infatti, la percentuale del Fsn sul Pil al 31 dicembre 2024 è scesa dal 6,3% del 2022 al 6% del 2023, per attestarsi al 6,1% nel 2024-2025, pari a una riduzione in termini assoluti di € 4,7 miliardi nel 2023, € 3,4 miliardi nel 2024 e € 5 miliardi nel 2025. «In altre parole – snocciola Cartabellotta – se è certo che nel triennio 2023-2025 il Fsn è aumentato di € 11,1 miliardi, è altrettanto vero che con il taglio alla percentuale di Pil la sanità ha lasciato per strada € 13,1 miliardi».
Dal punto di vista previsionale, il Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp) di pochi giorni fa – che include 20 miliardi di euro in più per spese militari – stima un rapporto spesa sanitaria/Pil stabile al 6,4% per gli anni 2025, 2027 e 2028, con un leggero aumento al 6,5% nel 2026, legato alla lieve revisione al ribasso delle stime di crescita economica. Tuttavia, la Legge di bilancio 2025 racconta un’altra storia: la quota di Pil destinata al Fsn scenderà dal 6,1% del 2025-2026 al 5,9% nel 2027 e al 5,8% nel 2028. Questo divario tra previsione di spesa e finanziamento pubblico rischia di scaricarsi sui bilanci delle Regioni: € 7,5 miliardi per il 2025, € 9,2 miliardi nel 2026, € 10,3 miliardi nel 2027, € 13,4 miliardi nel 2028.
«Senza un deciso rifinanziamento a partire dalla legge di Bilancio 2026 – avverte Cartabellotta – questo divario tra stima di spesa e risorse allocate costringerà le Regioni a scelte dolorose per i propri residenti: ridurre i servizi o aumentare la pressione fiscale».
Eppure il finanziamento della sanità pubblica non è una variabile negoziabile, come ribadito dalla Corte Costituzionale con il netto cambio di passo dal “diritto finanziariamente condizionato” alla “spesa costituzionalmente necessaria” per finanziare i Lea: la Consulta ha riaffermato che la tutela della salute è un diritto incomprimibile che lo Stato deve garantire prioritariamente, recuperando le risorse necessarie da altri capitoli di spesa pubblica.
Eppure già oggi 1 italiano su 10 (oltre 5,8 milioni di persone), ossia il 9,9% della popolazione ha dovuto rinunciare a curarsi. «Siamo testimoni di un lento ma inesorabile smantellamento del Servizio sanitario nazionale, che spiana inevitabilmente la strada a interessi privati di ogni forma – conclude Cartabellotta – Continuare a distogliere lo sguardo significa condannare milioni di persone a rinunciare non solo alle cure, ma a un diritto fondamentale: quello alla salute. Da anni i Governi, di ogni colore politico, promettono di difendere il Servizio sanitario nazionale, ma nessuno ha mai avuto la visione e la determinazione necessarie per rilanciarlo con adeguate risorse e riforme strutturali. Le drammatiche conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: aumento delle disuguaglianze, famiglie schiacciate da spese insostenibili, cittadini costretti a rinunciare a prestazioni sanitarie, personale sempre più demotivato che abbandona la sanità pubblica. È la lenta agonia di un bene comune che rischia di trasformarsi in un privilegio per pochi».