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La guerra di corsa è inarrestabile: chi sono i presunti narcotrafficanti e chi lo stabilisce?

Dallo scorso settembre le forze militari Usa hanno ucciso oltre 90 persone, con fondati dubbi di legittimità in base al diritto internazionale
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Ancora otto morti registrati negli ultimi attacchi effettuati dal U.S. Southern Commander – il Comando Meridionale degli Stati Uniti – ubicato a Doral nella Greater Miami, Florida. Si tratta di uno degli undici comandi combattenti unificati del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, schierato contro imbarcazioni che, si presume, trasportino droga: è quanto riferiscono fonti ufficiali della Marina degli Stati Uniti, che ha fatto sapere di aver effettuato mirati attacchi su tre imbarcazioni sospettate di trafficare droga nell'Oceano Pacifico orientale, uccidendo le otto persone che si trovavano a bordo.

Subito dopo l’operazione militare che, occorre ribadire, non ha precedenti nella storia militare del mondo, l’U.S. Southern Commander ha pubblicato sui social media filmati degli attacchi compiuti, dichiarando che le imbarcazioni colpite dai mezzi aerei americani stavano "transitando lungo rotte note di narcotraffico... e si occupavano di narcotraffico". Vale la pena ricordare che negli ultimi mesi più di 20 imbarcazioni nel Pacifico orientale e nei Caraibi sono state prese di mira, affondate deliberatamente, uccidendo almeno 90 persone. Questo è il risultato palese dovuto alla campagna innescata da Donald Trump contro le “gang” che accusa di trasportare droga verso gli Stati Uniti.

Sembra surreale che non si siano sollevate voci autorevoli per affermare che gli attacchi condotti scriteriatamente dalle forze armate americane potrebbero violare, almeno in ipotesi, le leggi che disciplinano i conflitti armati: appare incredibile che i media mondiali diffondano i dati dei morti e delle imbarcazioni affondate in seguito a questi attacchi senza che si esprima alcun commento nel merito, facendoli così passare per atti normali, senza mettere in evidenza la palese violazione del diritto internazionale, fino a sfociare nella pura pirateria.

Abbiamo ben fissato nella memoria che il primo attacco degli Stati Uniti del 2 settembre scorso attirò l’attenzione poiché non ci furono uno ma due distinti attacchi, in cui i sopravvissuti al primo attacco furono uccisi deliberatamente nel secondo. Dall’ora gli attacchi non si sono più fermati e i morti causati da queste operazioni di guerra vera e propria sono diventati 90.

La Casa Bianca, dal canto suo, afferma che le azioni militari portate a segno contro i narcotrafficanti hanno lo scopo di proteggere i cittadini degli Stati Uniti dai cartelli "che cercano di portare veleno sulle nostre coste... distruggendo vite americane".

Quest’affermazione si lega all’accusa portata avanti dall’amministrazione Trump contro il Venezuela, “colpevole” di aver inviato carichi di droga negli Stati Uniti, e in seguito a ciò sono state intensificate le pressioni militari americane nell’intendo di isolare il presidente Nicolás Maduro.

Sappiamo bene che decine di migliaia di soldati e la temibile portaerei USS Gerald R. Ford restano posizionati a distanza d’attacco dalle coste del Venezuela. Infine, ricordiamo che il 10 dicembre scorso, forze statunitensi hanno sequestrato una petroliera che si trovava al largo (in acque internazionali) della costa venezuelana; il pretesto per il sequestro era stato il sospetto che questa venisse adoperata per trasportare petrolio dal Venezuela e Iran in una sorta di "rete illecita di spedizioni di petrolio a sostegno di organizzazioni terroristiche straniere".

Naturalmente, la reazione del governo è stata molto dura, spingendo il ministro degli Esteri venezuelano, Yvan Gil, a definire il sequestro quale un atto di "pirateria internazionale". L’analisi dalle fonti del diritto internazionale e dall’UNCLOS (United Nations Convention Low of Seas) non sembra poter giungere a conclusioni molto diverse.

Redazione Greenreport

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